Vita Chiesa

Festa dell’Assunta: card. Betori richiama alla responsabilità, su Gkn non sia fatta ingiustizia

“Siamo invitati a far nostro lo sguardo di Maria, colmo di speranza e in grado di vedere il futuro di Dio oltre le nebbie del presente umano. Assumiamolo questo sguardo per giudicare anche i nostri giorni, quelli difficili della rinascita mentre la pandemia fatica a lasciarci, quelli ancora più difficili per chi deve tutelare la propria dignità umana difendendo il lavoro, come gli uomini e le donne della GKN. Non posso fare a meno di richiamare anche oggi questo nostro dramma, per far sentire la vicinanza a quanti ne soffrono e per far udire alta la voce che richiama alla responsabilità quanti possono e debbono adoperarsi perché questa ingiustizia non si consumi. Potrà sembrare che una voce sia poco, ma non vogliamo che tacere sia sinonimo di connivenza e ci possa essere rimproverato un giorno di essere restati ignavi di fronte al male che avanza”

Sotto il testo dell’omelia proclamata oggi in Cattedrale dall’Arcivescovo di Firenze, card. Giuseppe Betori nella Solennità dell’Assunzione.

l vangelo pone sulle labbra di Maria le ragioni per cui siamo invitati a riconoscerne grandezza e beatitudine, che giungono a pienezza nell’assunzione al cielo della Madre di Dio, il mistero che oggi celebriamo, a cui la nostra città ha voluto dedicare questa sua cattedrale. La beatitudine che Elisabetta vede risplendere sul volto di Maria, e che questa riconosce aver trasformato la propria vita, da povera fanciulla di Nazaret a Madre del Figlio di Dio, non scaturisce da un suo potere, da una sua virtù, ma è l’esito del proiettarsi in lei della grandezza di Dio e della sua misericordia verso l’umanità. Così il nostro Sommo Poeta: «In te misericordia, in te pietate, / in te magnificenza, in te s’aduna / quantunque in creatura è di bontate» (Paradiso XXXIII, 19-21).

Non che Maria non abbia messo qualcosa di suo in tutto ciò, ma ciò che le è stato chiesto da Dio e che lei ha generosamente concesso è stata l’umile accoglienza dell’agire di lui nella sua vita: lei «serva», lui «il Signore»; lei umile, lui «l’Onnipotente» (Lc 1,46-29). Il tutto in un disegno di misericordia che riguarda il mondo intero, di cui Maria si fa strumento nell’offerta di sé. Guardare alla storia del mondo, alla propria storia con questo sguardo è opera della fede, come riconosce Elisabetta mentre saluta in Maria «colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45). Tutto il contrario dei canoni di questo mondo, che ci invitano a misurare la storia e la vita in termini di poteri e di beni e ci esortano a collocarci nel mondo con potenza e con forza. La fede parte invece dal riconoscimento della grandezza di Dio, l’Onnipotente, una grandezza che però non schiaccia l’uomo, ma lo avvolge nella misericordia, fonte e strumento di salvezza, un abbraccio d’amore in cui il timore non è paura, ma affidamento fiducioso di chi sa di doversi salvare dal male che lo assale ed è consapevole di non potersi salvare da solo, ma, sapendosi bisognoso, non si rifiuta di farsi collaboratore dell’opera di Dio, consegnandosi a lui come suo servitore.

Alla luce di questa fede Maria rilegge la storia e la vede percorsa da una presenza che sfugge agli occhi di chi si chiude alla fede. Per questi la storia è scontro tra poteri e affermazione dei potenti, esibizione di ricchezze e sfoggio di voglie, progetti senza limiti e pretese dispotiche e autoritarie. Eppure, nel tessuto nascosto della storia, i servi di Dio, a imitazione di Maria, si fanno operatori di attenzione verso i poveri, sostegno per i fragili, pane per gli affamati, accoglienza degli emarginati, orientamento ai dispersi, fratelli e padri dei deboli. È questo tessuto di misericordia che salva la storia umana dall’estinzione. Lo abbiamo vissuto e lo stiamo vivendo in questa pandemia, dove le risorse dell’intelligenza dell’uomo mostrano i limiti dei loro poteri se non sono accompagnate da condivisione, servizio, sacrificio. Su questi stessi fronti ci si misura per la sopravvivenza stessa del pianeta, in una crisi ambientale nella quale l’ecologia naturale potrà essere salvata solo se integrata in una ritrovata ecologia umana.

Siamo invitati a far nostro lo sguardo di Maria, colmo di speranza e in grado di vedere il futuro di Dio oltre le nebbie del presente umano. Assumiamolo questo sguardo per giudicare anche i nostri giorni, quelli difficili della rinascita mentre la pandemia fatica a lasciarci, quelli ancora più difficili per chi deve tutelare la propria dignità umana difendendo il lavoro, come gli uomini e le donne della GKN. Non posso fare a meno di richiamare anche oggi questo nostro dramma, per far sentire la vicinanza a quanti ne soffrono e per far udire alta la voce che richiama alla responsabilità quanti possono e debbono adoperarsi perché questa ingiustizia non si consumi. Potrà sembrare che una voce sia poco, ma non vogliamo che tacere sia sinonimo di connivenza e ci possa essere rimproverato un giorno di essere restati ignavi di fronte al male che avanza. C’è qualcuno, nel mondo politico ed economico, disposto ad ascoltare questa voce e a farsi strumento della logica di Dio, che rovescia i potenti e innalza gli umili? Questi giorni sono anche percorsi dalla difficoltà delle nostre generazioni a offrire validi riferimenti e percorsi educativi al servizio della crescita di fanciulli, ragazzi e giovani, compito particolarmente urgente mentre si fa prossima la riapertura delle scuole e delle università, dovendo avere a cuore non solo la ricerca di modalità congrue a rendere possibile l’azione formativa, ma prima ancora il sicuro ancoraggio di essa alla verità sull’umano, oltre ogni mistificazione che indulge a ciò che in questi giorni è stato opportunamente definito la comoda tautologia dell’«essere chi sei», una falsa libertà «senza nessun limite», vuota di contenuti, con cui in realtà si è alla mercé dei luoghi comuni imposti dalle tendenze create dai poteri che dominano la vita economica e sociale, poteri che sono poi all’origine di esclusioni ed emarginazioni.

Maria termina il suo canto indicandoci nel Figlio che porta in grembo il vertice del disegno di misericordia divina che percorre la storia. È Gesù infatti l’adempimento delle promesse che Dio aveva fatto ai padri e che avevano il loro destinatario in Abramo e nella sua discendenza. Gesù è la discendenza di Abramo e da Gesù nasce il popolo che Dio vuole per sé, per colmarlo della sua misericordia.

Ritorna l’appello alla fede e la proposta di porre al centro di essa il Figlio di Dio e di Maria. In lui, che sconfigge la morte risorgendo dai morti, è aperta una strada nuova all’umanità, invitata a collocare la vita nel tempo oltre il tempo, nell’eternità stessa di Dio. Cristo è la «primizia» (1Cor 15,23), ci ha detto san Paolo, ma dopo la primizia il cammino verso la pienezza del Regno è per tutti coloro che sono suoi.  La Vergine Maria Assunta ha già portato a compimento questo cammino nella gloria del cielo e risplende per noi – «donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle» (Ap 12,1) – «segno di sicura speranza e consolazione» (Prefazio). Nella pienezza del Regno ogni potere di questo mondo è sconfitto, anzi «ridotto a nulla» (1Cor 15,24). La strada verso questa pienezza è quella indicata da Maria.

Giuseppe card. Betori