Vita Chiesa
Festa della mamma: dall’inchiostro dei timbri alla porpora, il rapporto tra il cardinale Lojudice e sua madre
Quando le è possibile è con suo figlio a Siena anche se ci confessa che lui «non c’è mai. È fatto così, la sua missione è tra la gente e con la gente». «Con mia madre – racconta il card. Lojudice – ci siamo sempre spalleggiati e sostenuti nel cammino delle nostre vite anche a distanza».
Mamma Olga ci racconta che sin dal primo incarico ha scelto la sede più vicina alla scuola dei figli, a Torre Maura, un quartiere di Roma Sud. Due maschi, Giovanni e Augusto Paolo, e una femmina, Antonella. Oggi anche due nipoti e il più piccolo ha 25 anni. «Volevo essere accanto a loro, erano piccoli – ci spiega – per poterli seguire meglio nella crescita e anche per rendere la vita della nostra famiglia più serena possibile».
«I miei – dice il cardinale – ci hanno fatto battezzare tutti nella basilica di Don Bosco al Tuscolano, erano tanto legati a questa parrocchia anche se in realtà abitavamo in un’altra zona. Nel 1985 ci trasferimmo vicino alla parrocchia di Tor bella Monaca che ancora non esisteva come struttura, fu costruita nel 1987. Mio padre era affascinato da questa modernissima struttura architettonica con la sua prua verso il cielo. Addirittura, nel 1997 ne diventai anche parroco mandato dal cardinale Ruini. E in questo nuovo incarico mia mamma Olga fu fondamentale perché mi aiutò a controllare e fare quadrare i conti. Lei lo aveva fatto come lavoro e fu semplice».
Di quegli anni dell’infanzia accanto alla mamma il cardinale Lojudice ci racconta un aneddoto: «Quando uscivo di casa di fronte alla mia c’era una struttura diroccata con i vetri rotti, ci passavo davanti ogni giorno. Ma una volta chiesi a mia madre se ci abitasse qualcuno e lei mi disse che c’era una famiglia con 4 bambini. Rimasi stupito e chiesi subito: ma perché non vanno in un’altra casa? Mamma mi disse che non avevano i soldi e che dovevano accontentarsi di vivere lì. Un’immagine, quella, che mi è rimasta scolpita dentro e non capivo perché era possibile che ci fosse qualcuno che non aveva i soldi per avere una casa dignitosa. Un interrogativo che mi posi più volte anche negli anni dopo incontrando tante persone in difficoltà. Ma non sempre sono riuscito a dare una risposta».
«La mia sensibilità – aggiunge il cardinale Lojudice – nei confronti delle persone più fragili l’ho ereditata da lei. Nella sua funzione di direttore dell’ufficio delle poste ebbe sempre un’attenzione per le persone anziane e per la gente che non poteva muoversi da casa. Era lei, quando serviva, che portava a domicilio i soldi della pensione con tutti i moduli da firmare. Andava incontro alle difficoltà delle persone».
«Mia mamma – continua – pensava a tutto, e addirittura visto che andai all’asilo nido ancora troppo piccolo, lei mi comprò in un banchetto rosso a mia misura perché quelli della scuola erano troppo grandi. Fu messo accanto alla cattedra della maestra, suor Bruna. In quella scuola delle suore di Nostra Signora del Suffragio frequentai le elementari e le medie».
Il cardinale ci rivela che «durante le vacanze estive lei mi portava a lavoro ed ero diventato la mascotte di tutti i colleghi. Timbrai centinaia di libretti postali e quanto mi divertivo con il timbro e il cuscinetto d’inchiostro! Il premio era una bella merenda. A quei tempi si poteva fare, oggi non sarebbe possibile questo all’interno di un ufficio pubblico».
«Durante i suoi anni universitari da mamma e lavoratrice, all’università di Urbino doveva seguire dei corsi intensivi serali durante il periodo delle ferie e io stavo a casa dei nonni vicino alla città di Raffaello. La sera quando tornava l’aspettavo sul balcone della casa dei miei nonni con quali passavo intere settimane lavorando nel loro forno e consegnando anche il pane a casa. Lei spesso tornava la sera dopo le 23 e parlavamo delle sue giornate così faticose. Doveva mettere insieme tre aspetti: quello di mamma, studentessa universitaria e lavoratrice».
«I dubbi dei miei genitori sulla scelta di fare il sacerdote – spiega il card. Lojudice – furono ancora più funzionali al mio discernimento. Scelsi di essere sacerdote a 19 anni e solo dopo 6 fui ordinato. Oggi il percorso è più lungo. Le loro perplessità erano comprensibili, ritenevano che fossi condizionato perché frequentavo molto la parrocchia. Ma non era così. Superammo tutto serenamente e per loro fu l’occasione per recuperare una vita di fede ancora più intensa».
«Io e mio marito Antonio, scomparso nel dicembre del 2012, abbiamo sempre assecondato – continua – gli interessi di Augusto Paolo. Ad esempio, pochi sanno che è un appassionato di musica classica e per questo decidemmo di fargliela studiare privatamente. Sentirlo suonare l’organo, ma anche altri strumenti è un vero piacere. A lui è sempre piaciuto studiare, tanto che durante il seminario ha conseguito anche la Licenza in teologia, con la specializzazione in Teologia fondamentale presso la Pontificia università gregoriana. Insomma, un figlio modello».
Racconta il card. Lojudice a proposito del suo papà: «La sua morte è stato un colpo molto forte per tutti noi, ma in particolare per mamma che lo aveva conosciuto a 14 anni. Erano legatissimi e hanno vissuto insieme un’esistenza dando l’esempio di una vita coniugale significativa e come quelle di tutti non prive a volte di difficoltà, che hanno saputo superare sempre uniti».
«Ai miei figli – conclude la mamma – ho sempre insegnato che la modestia, l’umiltà, è il migliore biglietto da visita per incontrare gli altri e credo che questa indicazione sia in un certo senso il segno distintivo di Augusto Paolo, oggi cardinale. Per capirci meglio: spesso lui mi dice: “sai mamma mi chiedono perché non ho un autista e gli rispondo: ma certo ce l’ho… è il mio navigatore e quante volte sono stato io l’autista di tante persone che ho incontrato”».