Massa Carrara - Pontremoli

Festa della donna, festa della generosità

di Renato BruschiNel clima dell’imminente «festa della donna», in programma, come è tradizione, il prossimo 8 marzo, vorremo presentare una persona, una donna, un medico, che ha fatto dell’aiuto al prossimo lo scopo fondamentale della propria vita, la ragione che le permette di sostenere non pochi rischi e sacrifici cui è sottoposta quotidianamente la sua esistenza. In questa giornata infatti è facile cadere nella retorica, sciorinando logori slogan sulla parità dei diritti, dimenticandosi che essere donna, significa, prima di tutto, essere «aperti alla vita», come ci insegna l’icona biblica di Eva «madre dei viventi».È vero altresì che non vorremo fare un’apologia poiché dispiacerebbe prima di tutto alla diretta interessata e non risponderebbe alle finalità dell’articolo. A noi preme mettere in evidenza come un modo alternativo per festeggiare l’otto marzo, può essere quello sottolineare con forza una componente primaria della femminilità, che è appunto l’essere portatori e donatori di vita, esercitando una sorta di maternità congenita. Afferma Giovanni Paolo II nella Lettera alle donne del 1995: «Dovunque c’è l’esigenza di un lavoro formativo, si può constatare l’immensa disponibilità delle donne a spendersi nei rapporti umani, specialmente a vantaggio dei più deboli e indifesi. In tale opera esse realizzano una forma di maternità affettiva, culturale e spirituale, dal valore veramente inestimabile, per l’incidenza che ha sullo sviluppo della persona e il futuro della società». (cfr. N° 9). Questa capacità di «spendersi nei rapporti umani» era già stata messa in luce nella enciclica Mulieris dignitatem del 1988 attraverso il concetto di «genio della donna» (cfr.MD, 30) e per questo il Papa concludeva con le parole: «La Chiesa ringrazia per tutte le manifestazioni del “genio” femminile apparse nel corso della storia, in mezzo a tutti i popoli e Nazioni; ringrazia per tutti i carismi che lo Spirito Santo elargisce alle donne nella storia del Popolo di Dio, per tutte le vittorie che essa deve alla loro fede, speranza e carità: ringrazia per tutti i frutti di santità femminile».(MD, 31). Dunque nell’orizzonte del dono di sé, spinto fino a diventare una regola di vita, vogliamo raccontare la storia di Marina Trivelli. Il suo nome è apparso ripetutamente sui giornali, in queste ultime settimane, perché legato ad un evento tragico che è accaduto in Africa. Durante lo spostamento da un villaggio ad un altro, nel cuore dell’Angola, Marina è stata vittima di un incidente stradale che è costato la vita alla compagna di viaggio e a lei gravi ferite su tutto il corpo. «È salva per miracolo – ci ha confidato il padre, l’ingegner Luigi Trivelli -. La sua jeep, si è ribaltata su una delle poche strade sterrate che attraversano l’Angola. Dopo l’incidente la macchina è stata notata dal sindaco di una cittadina limitrofa, che ha provveduto immediatamente ad accelerare l’intervento dei soccorritori. Veramente ha avuto un aiuto dall’alto. Sarebbe bastato un po’ ritardo nei soccorsi… per far accadere il peggio. A causa delle lesioni che presentava alle vertebre cervicali, ed essendo gli ospedali dell’Angola non attrezzati alle cure, Marina è stata portata a Windhoek, capitale della Namibia, in un ospedale gestito da suore benedettine». Da qui, dopo tre settimane, è stata trasferita in Italia, a Massa, dove tutt’ora si trova convalescente. Una «vocazione» davvero particolare la sua, che dovrebbe far riflettere, soprattutto i giovani che sono alla ricerca di una vita autentica e pienamente realizzata a servizio degli altri.

MEDICO TRA GLI INDIGENI

Marina Trivelli dopo gli studi liceali, si è iscritta alla Facoltà di Medicina dell’Università di Pisa, con in testa un progetto ben preciso: diventare medico per andare ad aiutare le persone più povere del mondo, nel cuore dell’Africa. Un’idea che era già maturata quando ancora frequentava le scuole superiori e, racconta, ancora prima a seguito della letture settimanali del giornalino «Il piccolo missionario». Terminata l’Università ha vinto diversi concorsi; alla fine ha scelto Parma per la scuola di specializzazione in Chirurgia generale ed ha iniziato ad avere i primi contatti con il CUAMM (Collegio universitario aspiranti medici missionari) di Padova, che da oltre cinquant’anni si occupa di formazione per coloro che desiderano svolgere la professione di medico in Africa. Le sue esperienze con il mondo dei poveri e dei derelitti, erano iniziate molto prima, quando durante un’estate era andata in India, nelle Filippine e successivamente, per alcuni mesi, nel Camerum. Tuttavia l’incontro con l’organizzazione del CUAMM è stata decisiva. Il CUAMM attraverso alcuni corsi, l’ha preparata ad affrontare il mondo dell’Africa, con le sue insidie e i suoi pericoli. Nel 2002 si è trasferita in Angola, dove ha iniziato da subito a lavorare in un ospedale della missione cattolica di Chiuloe, nel sud del Paese. Qui ha svolto l’attività di medico chirurgo, ma non solo, perché essendo l’unico dottore in un raggio di 100 chilometri, ha dovuto far fronte ad ogni forma di emergenza, sempre «felice di questa scelta» . Finché il mese scorso il terribile incidente.