Toscana
Fatima parla ancora
di Claudio Turrini
«Le vicende a cui fa riferimento la terza parte del segreto di Fatima sembrano ormai appartenere al passato». Lo affermava il 13 maggio del 2000 il Segretario di Stato vaticano, il card. Angelo Sodano, nell’annunciare solennemente al mondo la pubblicazione di un testo fino a quel giorno conosciuto solo dai papi e da un ristretto numero di persone (Fatima, tutto è svelato). Dieci anni dopo, sull’aereo che lo stava portando a Lisbona, Benedetto XVI ha sottolineato invece che nella «grande visione della sofferenza del Papa», descritta in quel terzo «segreto» e «che possiamo in prima istanza riferire a Papa Giovanni Paolo II, sono indicate realtà del futuro della Chiesa che man mano si sviluppano e si mostrano» (leggi tetso integrale). Concetto ribadito nel santuario mariano, davanti a 500 mila pellegrini, quando ha detto che «si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa».
Parole sotto certi aspetti sorprendenti. Era stato infatti lo stesso Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la fede, a redigere l’interpretazione teologica che aveva accompagnato nel 2000 la pubblicazione del «terzo segreto» e che sembrava aver posto la parola «fine» sulle possibili interpretazioni (Fatima, tutto è svelato). Uno «stop» ribadito dal suo stretto collaboratore, il card. Tarcisio Bertone, oggi Segretario di Stato, nel libro L’ultima veggente di Fatima, del 2007 (e poi nella nuova versione ampliata del 2010, sempre per Rizzoli editore) dove si lamenta dell’«accanimento mediatico» attorno a questo «segreto», da parte di chi non si vuol «capacitare che la profezia non è aperta sul futuro», ma «si è realizzata nel passato, nell’evento indicato», cioè nell’attentato a Wojtyla.
Profezia conclusa o profezia che parla ancora dell’oggi della Chiesa e del suo futuro? C’è un cambiamento di prospettiva dopo questo viaggio del Papa in Portogallo? Lo abbiamo chiesto a mons. Andrea Bellandi, docente di teologia fondamentale alla Facoltà teologica dell’Italia centrale e profondo conoscitore del pensiero teologico di papa Ratzinger.
«Senz’altro c’è una differenza. Mentre nella dichiarazione del 2000 si sottolineava la dimensione del già accaduto, del già compiuto rispetto alla profezia, soprattutto nell’ampia risposta che il Papa ha dato sull’aereo, si capisce che non si può chiudere veramente il discorso della profezia con l’attentato a Giovanni Paolo II. Benedetto XVI non esclude anche questa interpretazione che vede nell’attentato al Papa una parte dell’avverarsi della profezia…».
E della materna protezione della Vergine. Perché la profezia parla di un vescovo morto
«Certamente. Infatti papa Ratzinger dice che in prima istanza possiamo riferire a Giovanni Paolo II questa visione della sofferenza, ma senza escludere che questa coinvolga anche momenti successivi che riguardano non solo la figura del Papa, ma più in generale la sofferenza della Chiesa».
Dal punto di vista teologico come è possibile scorgere oggi delle «novità» nella profezia?
«Lo ha spiegato il Papa. L’impulso soprannaturale viene colto e riproposto dai veggenti in modalità che sono legate alla loro condizione storico-sociale, psicologica e alla loro sensibilità. E quindi queste profezie svolgono nel tempo tutta la loro valenza che magari va anche al di là di quello che gli stessi veggenti hanno potuto cogliere. Nel corso della storia tutta la profondità lui usa proprio questa immagine era vestita nelle condizione psicologiche o storiche in cui la profezia stessa si è data ai pastorelli. Questa dimensione dello svolgimento nella storia vale sia per coloro che sono stati oggetto dell’apparizione che per la stessa Chiesa che oggi è chiamata a leggere e interpretare queste profezie. C’è bisogno del tempo per cogliere tutta la loro potenzialità».
Benedetto XVI ha anche ribadito che la Chiesa sarà sempre sofferente
«La sofferenza profetizzata non è tutta alle nostre spalle e non possiamo acquietarci di questo. Ciò che fa parte del cammino della Chiesa dentro la storia, in attesa dei tempi finali, è un cammino che ripropone lo stesso tragitto di Gesù: chiamati a partecipare alla croce di Cristo. Come diceva San Paolo: noi completiamo nella nostra carne ciò che manca alle sofferenze di Cristo. Sofferenze che hanno certamente un valore di redenzione totale, ma la nostra sofferenza in qualche modo temporalizza questa offerta che Cristo ha fatto sulla croce e la distende nel tempo. Quindi per la Chiesa la dimensione della sofferenza sarà sempre fondamentale. Ed è interessante e terribile quanto il Papa aggiunge: le sofferenze non sono tanto quelle che vengono dal di fuori ma quelle dall’interno della Chiesa».
Parole che hanno sorpreso
«Le maggiori sofferenze vengono dal peccato. E questo peccato attacca in profondità quelli che dovrebbero essere i membri di questa realtà nuova che è la Chiesa. Certo la Chiesa è una realtà in cui il Signore Risorto vive e opera ma i figli che partecipano ad essa non sono esenti da questa dimensione del peccato».
Magari qualcuno si aspettava che attaccasse i media per la campagna di stampa che oggettivamente c’è stata e ingiustamente contro di lui. Invece punta il dito sui peccati della Chiesa…
«Esattamente. Lo dice molto chiaramente: è il peccato che esiste nella Chiesa che costituisce la più grande contraddizione con la natura stessa profonda della Chiesa. È quello stesso richiamo alla sporcizia nella Chiesa di cui aveva parlato prima di diventare papa nelle meditazioni alla via Crucis del venerdì santo».
C’è chi come Antonio Socci sostiene da tempo che esiste un «quarto segreto» di Fatima. C’è qualcosa che non è stato ancora svelato?
«Non andrei oltre a quello che il Papa ha detto sull’aereo. Siamo di fronte ad un intervento soprannaturale che comunque ha profetizzato eventi che sono accaduti e che così sono stati interpretati autorevolmente dalla Chiesa. Ma tutta la potenzialità, la grandezza di queste profezie e del materno soccorso di Maria, ha una profondità che non possiamo dire in modo apodittico che riguardi qualcosa che abbiamo alle spalle. Non è solo una questione intellettuale, di interpretazione, ma è la storia stessa che Dio porta avanti che ci introduce allo svelamento della potenzialità che c’è dentro le visioni».
Nella preghiera a Maria il Papa ha detto: «sei coronata con il proiettile delle nostre preoccupazioni e sofferenze». A cosa si riferiva?
«Credo che il Papa abbia vissuto e viva queste accuse di pedofilia e di abusi che sono venuti fuori all’interno di realtà ecclesiali penso ad esempio a padre Marcel e ai Legionari di Cristo con grande sofferenza ma nello stesso tempo andando oltre, ricomprendendo misericordia e giustizia all’interno di quel giudizio nuovo che è dato dalla fede. Questa sofferenza e questo scandalo è vissuto misteriorsamente come apportatore di un frutto benefico per la Chiesa stessa. C’è una speranza che non può essere cancellata anche davanti al peccatore più incallito. Il Papa prende sul serio l’esigenza di giustizia delle vittime ma la colloca dentro quel giudizio di fede che salva insieme misericordia e giustizia».
Oltre al tema dei segreti di Fatima, cosa l’ha colpita in questo viaggio?
«Vedo questo viaggio in Portogallo come segnato da una grande attualità e modernità dei discorsi. Va in un paese come ha detto ai giornalisti sull’aereo segnato da caratteristiche tipiche della modernità, con una ricca tradizione cattolica, ma inficiata da un forte secolarismo, da questa ubriacatura di una ragione laica. E lui ripropone da una parte questa necessaria alleanza tra una ragione aperta al trascendente e la fede, rispettando le dinamiche di ognuna. Dall’altra dice ai cristiani: c’è da riproporre dagli inizi l’annuncio cristiano; bisogna riaffrontare quelli che sono gli aspetti centrali della fede. E in questo i laici sono in prima fila, proprio perché sono loro ad entrare in quegli ambienti dove ormai la fede è sconosciuta o ritenuta inincidente».
Benedetto XVI ha indicato come priorità per la Chiesa il dialogo con il mondo e a questo proposito ha ricordato i frutti del Concilio Vaticano II. Affermazioni che forse spiazzano i più tradizionalisti.
«Questa valorizzazione del Concilio, proprio nell’aspetto più moderno ovvero come capacità di recezione di alcuni valori della modernità, quali la libertà, la dignità della coscienza, il valore delle realtà terrestri, il dialogo, Ratzinger lo aveva già sottolineato nel discorso alla Curia romana del dicembre del 2005, quando fece una presentazione del Vaticano II in questa luce positiva. Per Benedetto XVI il Concilio non è in discussione. In discussione semmai sono i tentativi di staccarlo dalla grande tradizione della Chiesa».
Al mondo della cultura ha parlato del «conflitto» fra la tradizione e il presente e ha indicato la «fedeltà alla verità» come compito primario della Chiesa.
«Qui riprende alcune accentuazioni che rivolse al mondo della cultura nel discorso al Collegio dei Bernardini, a Parigi. Il quaerere Deum, cioè il non formarsi alle cose penultime ma avere l’ardore della ricerca delle cose ultime. La fede aiuta la ragione e la cultura a mantenersi alta come esigenza. La ricerca della verità è il compito per cui la ragione dell’uomo è fatta».
Altro tema che emerge dai discorsi del Papa è quello dell’annuncio del Vangelo in un mondo secolarizzato.
«Ai vescovi ha ricordato come, in una società che non ha più nella fede cattolica il patrimonio comune, non bastano semplici discorsi o richiami morali. Il semplice enunciato del messaggio ha detto non arriva fino in fondo al cuore della persona, non tocca la sua libertà, non cambia la vita. Ciò che affascina è soprattutto l’incontro con persone credenti che, mediante la loro fede, attirano verso la grazia di Cristo, rendendo testimonianza di Lui. In altre parole, dobbiamo riproporre la fede, la verità, ma come diceva Paolo VI, attraverso dei testimoni vivi che rendano le parole piena di concretezza».
Un annuncio che mira all’essenziale.
«Certo che ci sono poi delle conseguenze a livello sociale, morale e politico. Ma le conseguenze della fede chiedono che venga prima riannunciata l’essenza del Cristianesimo, cioè la fede in Gesù Cristo e la dignità trascendente di ogni uomo. Da questo poi derivano anche le conseguenze».
Come segno positivo ha sottolineato la ricchezza dei movimenti. Però li ha anche richiamati alla fedeltà alla Chiesa.
«Sono un po’ le indicazioni che da sempre la Chiesa rivolge ai movimenti. Il criterio principale per il riconoscimento della bontà di un cammino è se questa specificità del movimento viene messa a servizio dell’edificazione dell’unica Chiesa. I carismi che costituiscono la ricchezza di ogni esperienza autentica di Chiesa sono per l’edificazione comune e non certamente per una particolarizzazione».