Cultura & Società

Fari, il fascino delle luci affacciate sul mare

Dei 147 fari in Italia, 50 sono in Toscana, di cui 26 abitati fino a una decina di anni fa da un guardiano. Dal 2015 un'associazione, presieduta da Stefano Gilli del Monte, ne promuove la conoscenza organizzando anche visite guidate

faro di Livorno

Testimoni silenziosi di secoli di storia, i fari non sono soltanto baluardi luminosi, ma custodiscono storie di avventura e tradizione. Queste torri maestose continuano a esercitare un irresistibile fascino e col tempo sono diventate dei veri e propri monumenti storici e culturali. «Nell’immaginario comune i fari regalano scenari suggestivi e pochi sanno chi li gestisce, come sono articolati, come viene creata la luce che i marinai seguono per entrare nel porto; per questo, insieme ad alcuni amici, nel 2015 abbiamo creato l’associazione “Il mondo dei fari” – afferma Stefano Gilli del Monte, comandante della Zona Fari Alto Tirreno ora in pensione e presidente dell’associazione –. Ci dedichiamo alla promozione e alla valorizzazione dei fari con l’obiettivo di far conoscere al pubblico le loro vicende storiche e le nuove tecnologie impiegate in questo campo da quando la Marina militare ne ha preso in carico la gestione».

Attualmente in Italia si contano 147 fari. Il più antico è quello di Genova, che ancora oggi rappresenta un punto di riferimento per la navigazione nel Mediterraneo. «In Toscana ci sono 50 fari, ma i cosiddetti “principali”, cioè quelli dove fino a una decina di anni fa abitava il farista, sono 26 – spiega Gilli -. Il più antico è il faro di Livorno, che risale al 1300. Durante la Seconda guerra mondiale è stato però distrutto. Anche se ricostruito uguale al progetto di Niccolò Pisano del 1300, è stato inaugurato nel 1956 perdendo così il suo primato di faro più antico del Mediterraneo. Comunque sia, il faro di Livorno rimane il più gettonato per le visite turistiche che ogni mese organizza “Il mondo dei fari”».

È alto 56 metri, dalla terrazza si può vedere tutta la città e – continua Stefano Gilli – se è una bella giornata, anche fino alla Corsica. Con l’associazione abbiamo riallestito tutte le stanze in modo da ricreare l’alloggio del farista. Abbiamo ricostruito la camera da letto e lo studio con la scrivania arrotondata per seguire il profilo tondo del faro, abbiamo inserito la macchina da scrivere, la ghiacciaia, il kit con tutti gli strumenti utili al farista. Per le scolaresche che vengono in visita è importante ed emozionante vedere come era il faro all’origine».

I fari diventano così simboli di un passato glorioso e di un presente che ancora affascina. «Dei fari italiani si occupa la Marina militare, che deve sempre poter aver accesso alla lanterna – spiega il comandante -. Ogni faro ha le sue precise caratteristiche. L’alternanza tra luce e buio è paragonabile a una sorta di codice Morse che dà sempre un’indicazione differente, in maniera tale che il navigante possa riconoscere bene il faro che sta vedendo. Anche i colori sono fondamentali: il fatto di essere dipinti di bianco e nero o rosso e bianco permette ai marinai di poterli facilmente individuare durante la navigazione costiera diurna. Per questo è estremamente importante che, anche se ristrutturati, i fari mantengano la forma e i colori originari, altrimenti andrebbero cambiate tutte le documentazioni nautiche che vi fanno riferimento».

Eppure, i fari sembrano luoghi dove il tempo pare essersi fermato. Del resto, chi non ha mai sognato di trascorrere una notte lì dentro, cullato dal suono delle onde e illuminato da una luce solitaria? Beh, oggi si può. «La parte abitativa di alcuni fari è stata data in gestione a privati che, dopo averla ristrutturata, vi hanno costruito ristoranti di lusso o resort – racconta Gilli -. Ovviamente i costi sono alti, ma l’esperienza offerta è davvero suggestiva. Per una notte, ognuno di noi può sentirsi un guardiano del faro».

Il faro però non è solo simbolo di un patrimonio che merita di essere preservato ma, grazie alla sua luce, è anche segno di speranza e sicurezza. «Nel periodo del Covid, visto che non ci è stato possibile svolgere visite guidate ai fari, abbiamo deciso di aprirci al sociale per dimostrare il nostro grande amore per queste strutture – dice Gilli -. Insieme all’ammiraglio Alessandro Camaiora, membro dell’associazione, abbiamo dato vita al progetto “Una tempesta, una luce, un arcobaleno”: come per i marinai che rientrano da una lunga navigazione il faro rappresenta la certezza di essere giunti nelle acque sicure del porto, così abbiamo pensato che, per le persone che lottano contro malattie importanti, il faro potesse essere un segno di speranza. Da qui è nata l’idea di regalare agli ospedali una “libreria del cuore” con dentro alcuni libri che facciano un po’ sognare e, sopra la libreria, poggiare un faro costruito con i mattoncini della Lego. Tra questi libri mettiamo anche l’ultimo scritto da Camaiora e intitolato “Indaco e Cremisi”, i due colori che simboleggiano il bene e il male».

La prima libreria del cuore e un faro sono stati posizionati nell’ospedale di La Spezia, dove l’ammiraglio è in cura. Poi è stata la volta dell’ospedale del Cuore a Massa e il mese prossimo toccherà al Meyer di Firenze. «In questo modo la nostra associazione prova a stare vicino a chi soffre suggerendo una bellissima metafora – conclude Gilli -. Nella vita l’uomo deve sostenere una lunga lotta per uscire dalla tempesta, ma grazie alla luce del faro può cercare di arrivare a una meta di riposo e serenità».

Renzo, farista per 50 anni: «Essere guardiano significa libertà»

In un’epoca dominata dalla tecnologia, il mestiere antico e romantico dei guardiani dei fari rimane uno tra i più affascinanti. Infatti, dove oggi ci sono un ufficio e un computer, dieci anni fa c’era l’abitazione del farista, colui che doveva far sì che il faro funzionasse, sempre. Renzo Fiorentini, 75 anni, di Livorno, è stato per cinquant’anni guardiano dei fari. «Per dieci anni ho vissuto da solo con mia moglie sull’isola del Tino nel comune di Portovenere – racconta -. È stato il mio primo servizio come farista. Il faro del Tino era considerato una sede disagiata, nessuno voleva andarci; invece, io ho accettato subito e me ne sono innamorato». «Diventa guardiano del faro chi ama la solitudine, la vita lenta – continua -. Ho trascorso dieci anni a parlare solo con mia moglie e, così, quando siamo sbarcati a Livorno, per fare servizio lì, abituarmi di nuovo alla vita normale è stato davvero difficile». Sì, perché la vita di Renzo sull’Isola del Tino normale non lo è stata. Eppure, se gli chiedi quale fosse la giornata tipo del farista, lui la risposta non ce l’ha. «All’alba e al tramonto andavo a pescare, mentre mia moglie si occupava di accendere e spegnere il faro – dice -. Poi il resto della giornata lo si passava a fare tutto quello che serviva per far funzionare il faro. E se il faro funzionava potevamo leggere, stare dietro agli animali, prendersi cura delle piante. Sembra noioso, ma non c’era mai una giornata uguale all’altra».

E mentre gli anni passano, Renzo accumula aneddoti da raccontare sul mestiere per lui più bello del mondo. «Una volta mia moglie era sbarcata per dare degli esami di medicina ed essendoci il mare molto mosso non era potuta tornare sull’isola, così ero da solo. A un certo punto va via la corrente di rete. Anche se non potevo entrarci sono andato a controllare le cabine dell’alta tensione e mentre ero lì per riarmarlo esplose il quadro. D’istinto mi misi la mano davanti alla faccia ma la lamiera me la tagliò. Mi metto un laccio e chiamo a terra. Il mare faceva paura e l’unico modo per raggiungermi era mandare gli incursori del corpo d’assalto. Il primo gommone finì sulla scogliera; riuscii a salire sul secondo e mi portarono a Varignano dove, dopo nove ore, mi rimisero a posto la mano».

Essere guardiano del faro significa libertà. «È come se non avessi mai lavorato e se tornassi indietro, non ci penserei due volte: rifarei tutto e il mio lavoro non lo cambierei per niente al mondo». Parola di Renzo.