Toscana

«Famiglie sempre più povere. Serve una riforma del fisco»

di Gigliola Alfaro

L’Istat ha diffuso, il 2 febbraio, alcuni dati riguardanti i redditi delle famiglie. Nel periodo 2006-2009 il reddito disponibile delle famiglie italiane si è concentrato, in media, per circa il 53% nelle regioni del Nord, per il 26% circa nel Mezzogiorno e per il restante 21% nel Centro. Il periodo analizzato ha poi visto il progressivo ridursi del tasso di crescita del reddito disponibile nazionale, che è passato da un incremento del 3,5% del 2006 ad una flessione del 2,7% nel 2009, la prima dal 1995. L’impatto è stato più forte nel settentrione (-4,1% nel Nord-Ovest e -3,4% nel Nord-Est) e più contenuto al Centro (-1,8%) e nel Mezzogiorno (-1,2%). A Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari, abbiamo posto alcune domande.

Questi dati forniti dall’Istat sono davvero preoccupanti?

«Il dato riferito al 2009 descrive, dal punto della vita quotidiana, l’impatto della crisi, che ha generato una maggiore fragilità economica per i progetti di vita delle famiglie. Credo che il 2010 segnalerà un’ulteriore conferma di questa tendenza, anche se i segnali di macroeconomia evidenziano una rimessa in movimento verso la fine dell’anno. Insomma, il sistema economico scarica sulle famiglie conseguenze di maggior durata e anche un po’ sfasate rispetto alla cosiddetta ripresa. Questo dato dice che oggi la questione delle risorse economiche a disposizione delle famiglie è decisiva per il sistema-Paese».

Il calo del reddito disponibile ha colpito soprattutto il Nord-Ovest…

«Il tipo d’intervento del governo sugli ammortizzatori sociali, che è stato virtuoso, ha generato una perdita nei luoghi di maggiore intraprendenza economica. Nel Sud l’impatto della crisi è stato minore in un certo senso, proprio per il grande investimento in ammortizzatori sociali, in cassa integrazione; mentre nel Nord il passaggio da un mercato del lavoro che tirava a un mercato totalmente bloccato e protetto solo dalla cassa integrazione ha generato una riduzione di disponibilità molto maggiore. La crisi, dunque, ha colpito di più l’impresa privata, mentre la pubblica amministrazione, nel complesso, non ha subito gli stessi contraccolpi. E ciò, in un sistema territoriale quale il Sud maggiormente giocato sulla pubblica amministrazione ha dato una maggiore stabilità. Ma è una stabilità verso il basso, stiamo parlando di minori perdite, non di maggiori tenute».

Chi sono i più colpiti?

«In realtà, se confrontiamo i dati sulla disoccupazione e sulle povertà il sistema economico italiano nel complesso ha tenuto, anche per la grande flessibilità. In Spagna hanno una disoccupazione vicina al 20%, noi siamo sotto il 10%. Il nostro sistema ha avuto meccanismi di adattamento buoni, anche per le scelte di governo. Ma ci sono delle selettività dannose. Per esempio, se guardiamo i dati sulla disoccupazione giovanile, vediamo che il nostro sistema di protezione ha dato una serie di coperture generalizzate, ma su alcune fasce di popolazione e su alcune condizioni familiari c’è stato un grave impoverimento. Le famiglie con tanti figli sono ancora in gravissime difficoltà, l’entrata nel mondo del lavoro crea ancora grandi disagi. Ci sono luci e ombre: è come se stessimo giocando in difesa, i meccanismi di protezione sociale garantiscono lo “status quo”, ma alcune fasce sono in difficoltà, in particolare giovani e famiglie con carichi familiari».

Una politica che non aiuta, insomma, il formarsi di nuove famiglie…

«Questa selettività genera problemi di sistema, per cui i giovani rinviano l’uscita dalla famiglia d’origine, quindi appesantiscono lo stato di ricchezza dei genitori adulti, generano più tardi nuove famiglie e fanno meno figli, trovano più tardi posti di lavoro. Il tema delle giovani generazioni è il tema del futuro e del presente del Paese e suscita la domanda: da dove facciamo ripartire l’Italia? Anche per le famiglie numerose non mancano problemi: la povertà aumenta con il crescere del numero dei figli. Questo è grave anche nel confronto europeo, perché la povertà dei minori in Italia è molto più alta di quanto non sia negli altri Paesi. Questo ci conferma dell’urgenza di una riforma radicale del fisco, perché con la leva fiscale si possono spostare risorse a favore delle famiglie con carichi familiari, restituendo anche capacità di spesa e innestando un meccanismo di maggiori consumi, utili al mercato italiano. È una politica di sviluppo e non assistenziale investire sulle famiglie».

Purtroppo è da parecchio che le famiglie avanzano queste richieste, ma senza grandi risultati…

«I motivi sono due. Da un lato, c’è una resistenza ideologica all’idea della famiglia come luogo di sviluppo, anche se adesso quest’idea è un po’ più tollerata. Dall’altro lato, c’è anche uno scontro tra poteri, cioè le risorse pubbliche sono impegnate maggiormente da poteri forti, sistemi industriali, finanziari. La forza delle famiglie come gruppo di pressione è ancora debole. I dati da cui siamo partiti, però, confermano che le capacità di resistenza delle famiglie si stanno pesantemente usurando».

La ricerca

Dopo 14 anni le famiglie italiane accusano una contrazione delle entrate. Nel 2009 il reddito disponibile delle famiglie italiane è sceso del 2,7% e si tratta della prima flessione dal 1995 e nell’anno più acuto della crisi economica sono state le famiglie di Piemonte e Lombardia ad accusare maggiormente la contrazione del reddito mentre nel Mezzogiorno c’è stata una sostanziale tenuta. È quanto emerge dalla rilevazione dell’Istat sulla concentrazione del reddito familiare, diffusa lo scorso 2 febbraio. E non è solo effetto della recessione. Già da alcuni anni la crescita delle entrate delle famiglie italiane sta arrancando. Tra il 2006 e il 2009 il reddito delle famiglie italiane si è concentrato, in media, per circa il 53% nelle regioni del Nord, per il 26% circa nel Mezzogiorno e per il restante 21% nel Centro ma tale distribuzione ha mostrato alcune variazioni che hanno interessato principalmente il Nord-ovest, il quale ha visto diminuire la sua quota dello 0,6%  a favore di Centro e Mezzogiorno (+0,4 e +0,2 punti percentuali rispettivamente).Il periodo analizzato ha poi visto il progressivo ridursi del tasso di crescita del reddito disponibile nazionale, che è passato da un incremento del 3,5% del 2006 ad una flessione del 2,7% nel 2009, la prima dal 1995. L’impatto è stato più forte nel settentrione (-4,1% nel Nord-ovest e -3,4% nel Nord-est) e più contenuto al Centro (-1,8%) e nel Mezzogiorno (-1,2 per cento). In generale, tale diminuzione è essenzialmente da attribuire alla marcata contrazione dei redditi da capitale, anche se, in alcune regioni (in particolare Piemonte e Abruzzo), un importante contributo negativo è venuto dal rallentamento dei redditi da lavoro dipendente.Anche a tavola la crisi fa sentire i suoi effetti negativi e costringe a tirare la cinghia. Nel 2009 (ultimi dati disponibili) una famiglia su tre è stata obbligata a «tagliare» gli acquisti alimentari, mentre tre su cinque hanno dovuto modificare il menù quotidiano e oltre il 30%, proprio a causa delle difficoltà economiche, ha comprato prodotti di qualità inferiore. Dall’Istat arriva purtroppo la conferma di una percezione ampiamente diffusa tra le famiglie italiane – afferma il presidente delle Acli, Andrea Olivero – la percezione di una progressiva erosione dei redditi disponibili a fronte di una contemporanea contrazione dei servizi pubblici. Una diminuzione delle risorse, tra l’altro, non equamente distribuita, ma che allarga la forbice tra famiglie ricche e famiglie povere».