Toscana
Famiglia, scuola, giovani: le tre emergenze del decennio
di Adriano Fabris
Gli Orientamenti pastorali della Chiesa italiana per il prossimo decennio sono dedicati molto opportunamente alla tematica educativa. In questo periodo, infatti, si parla molto di crisi dell’educazione, e più volte studenti, genitori e insegnanti hanno manifestato anche pubblicamente il loro disagio per una situazione che, da molti versanti, si è fatta davvero difficile. Tuttavia le rimostranze nei confronti delle attuali politiche della scuola sono solo il sintomo di una crisi più profonda. Affrontare adeguatamente la questione educativa richiede infatti d’indagare il motivo per cui, nella mentalità comune, ha preso piede una sempre più diffusa svalutazione del compito e dell’idea stessa di educazione, e cercare di porvi rimedio.
Da sempre la Chiesa cattolica è in prima linea sul fronte dell’educazione. Lo è in quanto è consapevole, come viene detto negli Orientamenti Pastorali, che questa è una specifica vocazione sua propria: la quale proviene dal presentarsi di Gesù stesso, nei testi evangelici, come «Maestro buono». Lo è tanto più oggi: in un contesto che già un volume recentemente promosso dal Progetto culturale aveva descritto nei termini di una vera e propria «sfida educativa» (Cfr. Comitato per il Progetto culturale, «La sfida educativa. Rapporto-proposta sull’educazione», Laterza, Roma-Bari 2009).
Gli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 affrontano questa situazione da una particolare prospettiva, che è quella già indicata dal titolo: «Educare alla vita buona del Vangelo». Conformemente a questo titolo il documento si articola in cinque capitoli. Esso muove anzitutto da una riflessione molto precisa sulle cause che, nella mentalità contemporanea, stanno conducendo a un indebolimento, se non a una vera e propria eclissi, della capacità di educare. Non si tratta infatti solo d’istruire le giovani generazioni, trasmettendo ad esse il patrimonio culturale che a nostra volta ci è stato trasmesso: si tratta di formare e di educare nel senso più ampio del termine: realizzando quel legame che tiene unita una società e quella «speranza affidabile» che è la vera e propria «anima dell’educazione» (n. 5).
Ebbene: proprio questo legame e questa speranza rischiano oggi di venire meno. Oggi: in una condizione nella quale sempre di più s’impongono un’eclissi del senso e un offuscarsi della dimensione interiore, connesse all’idea che l’essere umano sia in grado di fare da sé e alla falsa prospettiva di un’individualità svincolata da ogni contesto relazionale (n. 10). Oggi: in un’epoca in cui appare svalutato ciò che una generazione può offrire alle successive, con la conseguente perdita di autorevolezza di ogni possibile forma d’insegnamento (n. 12). Oggi: in un contesto di sempre maggiore disarticolazione della personalità, che investe soprattutto le persone più giovani, le quali fanno davvero fatica, ad esempio, a tenere assieme intelligenza ed affettività (n. 13).
Ciò che va recuperato con urgenza, quale sfondo di ogni azione educativa che non s’identifichi con una pura e semplice trasmissione di competenze tecniche, è dunque la capacità di essere in relazione, e di pensare e vivere se stessi come esseri in relazione. Da questo punto di vista la Chiesa, sulla base di quanto è attestato e messo in opera nei testi evangelici, può far valere la propria esperienza, nella misura in cui come mostra il secondo capitolo degli Orientamenti essa si è posta nella storia come «discepola, madre e maestra» (n. 20). In questo senso, anzi, la Chiesa stessa è legittimata a intervenire nella situazione di difficoltà e di crisi che ho in precedenza descritto. Lo può fare, anzitutto, avanzando le proprie proposte educative (anzi, come viene detto nel capitolo terzo, il proprio modello di educazione: un’attività intesa, propriamente, come un «cammino di relazione e fiducia»). Lo può fare, inoltre, riproponendo nella nostra società il suo ruolo di «comunità educante», così come viene individuato nel capitolo quarto, in tutti gli ambiti nei quali è possibile esercitarlo (dalla famiglia alla parrocchia, dalla scuola all’università, e persino nelle differenti esperienze proposte dai mondi virtuali).
In conclusione, allora, gli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il prossimo decennio riguardano, certamente e in primo luogo, la vita interna della Chiesa: come viene anche chiarito nel quinto e ultimo capitolo, volto a fornire indicazioni concrete per la progettazione pastorale delle tante diocesi e parrocchie del nostro territorio. Ma essi offrono, oltre a ciò, un significativo contributo all’intera società italiana: con riferimento a un aspetto in relazione al quale si gioca buona parte del futuro di essa in termini di prospettiva culturale. L’unico augurio che mi permetto di fare, sotto questo profilo, è dunque che tale offerta venga quanto meno presa in esame: visto che riguarda un tema non solo d’interesse comune, ma davvero decisivo per il futuro del nostro paese.
Mette la mani avanti, Alfredo Ravara. Non si sente adeguato a giudicare un documento dell’episcopato italiano, come sono gli «Orientamenti». Ma quando poi si scende nel concreto di cose da dire ne ha molte. Innanzitutto, come operatore della pastorale familiare della Diocesi di Fiesole. Ma forte anche della sua esperienza di genitore e di sposo che, dieci anni fà, ha fondato la comunità «Il Sogno» un «condominio» dove le famiglie condividono tutto presso la canonica di Tartigliese a Figline Valdarno (Fi). E nel documento sottolinea subito alcune parole che lo hanno colpito, a partire dalla «speranza»: «I vescovi iniziano dicendo che pur in questo tempo difficile occorre da cristiani aver fiducia nel futuro, certi che non siamo soli e che Dio primo educatore, ci accompagna in questo non facile compito. Spesso proprio noi genitori ci lamentiamo, e penso che questo tarpi le ali di chi comincia a volare». Altra parola che lo ha colpito è il «disorientamento» generale: «Facciamo fatica come adulti nell’avere idee chiare, cosa e come trasmettere quello in cui crediamo, e soprattutto nell’essere testimoni credibili spesso mi sembra che imponiamo quello che poi non viviamo».
C’è poi prosegue Alfredo la «solitudine: vissuta da noi coppie soprattutto nei primi anni di vita matrimoniale, specie all’arrivo del primo figlio. Cambiano i tempi nel vivere di tutti i giorni, e la società che mette al centro il singolo, lavoratore, indipendente sfilaccia i rapporti familiari. Tempi e luoghi per pensare, formarsi, progettare e educare sono spesso sacrificati al lavoro o alla televisione e al computer». Quindi la «responsabilità: nell’educazione occorre mettersi in gioco in prima persona, non possiamo dare colpe ad altri, aspettare chissà cosa o delegare. Bisogna trovare tempi e modi e fantasia per educarci ad educare». Ultima parola che sottolinea è «la collaborazione, il fare rete, l’esserci nei vari ambiti educativi, dalla scuola alla parrocchia alle istituzioni ».
A Fiesole, come nel resto della Chiesa italiana, in questi ultimi anni è stata riscoperta la centralità della famiglia, che è passata «da oggetto di pastorale a soggetto e protagonista», come ribadiscono più volte anche gli «Orientamenti». «Penso che un aspetto vitale per la famiglia commenta Alfredo sia l’aver riscoperto la coppia, immagine trinitaria; coltivando il rapporto (dialogo, preghiera, apertura ): la famiglia così vive meglio e i figli respirano e vedono testimoni di amore vero, imparano ad amare. Questo però è anche la fragilità del nostro tempo, per questo da un po’ di tempo la commissione pastorale della diocesi con varie associazioni e movimenti hanno maturato e sognano un luogo per la famiglia, un riferimento chiaro per crescere come coppie e famiglie, ma anche per quando siamo in difficoltà e non sappiamo da che parte girarci».
Grazie all’impegno di alcune famiglie «disponibili a scommettere su questa realtà» in diocesi di Fiesole è stato aperto una sorta di «cantiere», «proponendo alcuni momenti come il tempo per noi due e la scuola per genitori e facendo circolare il più possibile l’idea. Al termine di quest’anno con il Vescovo valuteremo se e come tutto questo sarà possibile».
Cosa si può fare concretamente per la famiglia? Alfredo punta molto sulla «comunione», che è «anticipo e risposta al disorientamento e alla solitudine: c’è bisogno di fare comunità, di camminare insieme tra famiglie, di raccontarsi cosa viviamo, proviamo sognamo. Condividere è dividere con altri fatiche, pesi ma anche gioie, circostanze felici, futuro. Condividere cose e sentimenti, raccontare il proprio stile educativo, è aiutarsi nell’educare».
«Condividere prosegue Alfredo è certamente di per sé educativo, è scuola di gratuità, è apertura , è accogliere il simpatico ma anche l’antipatico. Aprire le porte delle case dà fiato alla famiglia e sostegno a chi è nel bisogno. Condividere è come diceva il card. Martini: fare la carità 24 ore al giorno e non part time».
Altra cosa importante è ritrovare il «tempo» della famiglia. «Educare è amare, trasmettere, testimoniare l’amore che ho e vivo. Per questo occorre tempo per mettere al centro la Relazione e le relazioni. Bisogna conclude Alfredo togliere cose, svuotare le nostre case per riempirle di persone, dare e avere tempo per gli altri, per stare e vivere con e per gli altri (sposo/a, figli, altri figli, vicini, amici, parenti…) e questo possiamo certamente farlo insieme e non da soli».
La sfida educativa è una sfida di tutti». Una sfida combattutta con le armi dell’entusiasmo e della credibilità. Parola di don Danilo Costantino, giovane sacerdote della Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, incaricato regionale di pastorale giovanile.
Don Danilo, negli «Orientamenti» si sottolinea il disagio di tanti giovani per una vita priva di valori e di ideali. È anche la sua esperienza?
«Prima di essere un sacerdote sono stato ovviamente un ragazzo, e un giovane, anche molto lontano dalla Chiesa. Però avevo dei valori fondamentali ed ero convinto a non scendere a compromessi. Oggi di valori in giro ne vedo di meno…».
Perché?
«Perché questa società massificante ci ha reso un po’ più soli, più egoisti: vogliamo solo star bene e raggiungere dei traguardi nel minor tempo possibile. Creiamo un desiderio effimero, di piacere e di soddisfazione. Questo è diseducativo al massimo: mina le famiglie che ci saranno tra vent’anni. Perché la mia vita devo costruirla passo dopo passo, sapendo che tutte le difficoltà che ho vissuto sono quelle che oggi mi fanno essere a 30 anni felice».
Gli «Orientamenti» non parlano mai di «pastorale giovanile». Piuttosto di necessità di rivedere la catechesi e l’iniziazione cristiana. Perché?
«La pastorale giovanile è all’interno di quella familiare. Interviene come coordinamento delle realtà giovanili presenti sul territorio. Non è un qualcosa in più, una scatola dove mettiamo delle cose dentro, ma un servizio che viene in aiuto alla famiglia».
Di cosa c’è bisogno per rendere sempre più efficace la pastorale giovanile?
«Prima di tutto dell’entusiasmo che ci rende giovani, veri, vivi. Conosco persone, anche preti, che a 60 anni sono molto più vivi di altri giovani. Poi la credibilità. Oggi i ragazzi hanno tanto bisogno di credibilità. È uno degli sforzi più grandi che la Chiesa deve fare: deve sconfiggere quel pensiero che l’ha resa agli occhi di molti come matrigna, una bacchettona che impone delle regole».
E cosa deve fare?
«Deve avere la capacità di ritornare ad essere credibile in quelle cose vere che i giovani desiderano: una sessualità vissuta come dono e non come ricerca del piacere; la famiglia come compimento e realizzazione della vita cristiana e non come qualcosa che è passato di moda; la vocazione come vera risposta alla chiamata di Dio e non come un rifugio. Questi due aspetti, entusiasmo e credibilità, devono essere accompagnati dalla costanza, quindi non smettere neanche nei momenti più difficili. E poi la gratuità: quando vai davanti ai giovani devi amarli».
Credibilità della Chiesa o dei credenti?
«La Chiesa di per sé è sempre credibile, perché non si è mai spostata da certe scelte. Ma la credibilità della Chiesa passa attraverso ciascuno di noi. E quindi sia noi sacerdoti, che gli animatori, gli educatori, le famiglie, dobbiamo tornare a questa credibilità».
SCUOLA: Serve un’«alleanza» tra genitori, docenti e studenti
«I giovani hanno soprattutto bisogno di essere ascoltati e, di conseguenza, capiti per quello che ci chiedono e portano con sé». Pierangelo Coltelli, già presidente regionale e tutt’ora consigliere centrale dell’Uciim (Unione cattolica insegnanti medi), è oggi un dirigente scolastico, che in mezzo ai giovani, nella scuola, ha passato una vita intera. «Dalla scuola dell’infanzia, alla primaria, dalla secondaria di 1° grado a quella di 2° grado ci dice, forte della sua lunga esperienza di docente esiste un costante bisogno dei giovani di avere nell’insegnante-educatore un punto di riferimento esercitato attraverso l’autorevolezza di chi coerentemente svolge il proprio servizio. Gli studenti sentono fortemente il bisogno di essere educati alla responsabilità e , più di quanto si possa comunemente immaginare, chiedono ai docenti regole di comportamento, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole cose».
Per quanto riguarda gli Orientamenti, Coltelli ritiene che «il tema scelto dai vescovi e il percorso tracciato nei cinque capitoli, sarà messo di fronte alla prova dei fatti e dovrà essere calato nella quotidiana esperienza educativa per poter produrre risultati positivi a medio e lungo termine». Trova comunque «significativo» «il richiamo fatto dai vescovi all’alleanza educativa, ad un comune progetto educativo in cui definire obiettivi, contenuti e metodi con le istituzioni scolastiche, gli studenti, i genitori, i docenti cristianamente ispirati e le loro associazioni professionali. L’educazione alla cittadinanza, alla legalità, alla solidarietà ed al rispetto delle diversità prosegue Coltelli mi sembrano impegni forti e qualificanti anche per la comunità cristiana».
Quanto alle prospettive concrete di lavoro, il dirigente scolastico ritiene che «a livello territoriale, ma non solo nei contesti parrocchiali, i cristiani coinvolti nell’educazione dei giovani devono impegnarsi per la formazione dei docenti, dirigenti e di tutto il personale scolastico, puntando a ravvivare in loro il coraggio e la passione per l’educazione. Fondamentale è una rimotivazione a livello personale e sociale per riscoprire il significato dell’impegno educativo. Per questo sono da incoraggiare iniziative che mirano ad un appropriato e continuo aggiornamento».
Gli «Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020. Educare alla vita buona del Vangelo», sono stati pubblicati giovedì 28 ottobre 2010. Il testo, con una presentazione del presidente della Cei, il card. Angelo Bagnasco, si compone di 55 paragrafi, suddivisi in una «Introduzione» e cinque capitoli: 1. Educare in un mondo cha cambia (§ 7-15); 2. Gesù il Maestro (§ 16-24); 3. Educare, cammino di relazione e di fiducia (§ 25-34); 4. La Chiesa, comunità educante (§ 35-51); 5. Indicazioni per la progettazione pastorale (§ 52-55). Seguono, un paragrafo dedicato a Maria (§ 56) e un’appendice con il discorso di Benedetto XVI alla 61ª Assemblea generale dei vescovi italiani (27 maggio 2010). Il testo integrale è scaricabile anche dal nostro sito (