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Radicofani, figlio della strada e padre dell’accoglienza

di Marco Lapi

Forum di Toscana Oggi per la Francigena, ultimo atto. La sessione pomeridiana di Radicofani ha chiuso, sabato 31 marzo, il cammino iniziato un anno prima ad Aulla e proseguito in giugno ad Altopascio e in ottobre a Staggia e Abbadia a Isola. Non spetta forse a noi esprimere un giudizio sul cammino compiuto, ma le attestazioni di stima ricevute sono state numerose e non possiamo che ringraziare tutti coloro che ce le hanno espresse. Proseguiremo in altre forme il nostro impegno, ma l’auspicio è che la formula degli incontri con dibattito, a inviti o del tutto aperto, trovi comunque una continuità grazie ad altri soggetti promotori, Regione ed enti locali in primo luogo ma, perché no, anche le stesse associazioni di pellegrini.

A darci il benvenuto a Radicofani, nella bella aula consiliare recentemente ristrutturata, è stato il sindaco Massimo Magrini.  «Il nostro comune – ha detto tra l’altro – ha molto puntato sul progetto via Francigena perché ha una storia molto legata a questa strada. Ma anche prima che venisse realizzata l’Autostrada del Sole, il paese era sul passaggio per Roma, viveva del passaggio, poi ha perso importanza, dimezzando i suoi 3000 abitanti in soli dieci anni. Per questo abbiamo investito molto come amministrazione comunale, nonostante una popolazione di appena 1200 abitanti e risorse limitatissime. Abbiamo realizzato un bellissimo ostello cui mancano solo gli arredi, e ringrazio anche la Misericordia che ne ha fatto un altro dove accoglie veramente i pellegrini. Conoscendoli, mi sono reso conto che il cammino non si fa con le gambe e basta, ma con il cuore, e che il pellegrinaggio è una grande livella, perché rende tutti uguali indipendentemente da quello che uno è e fa nella vita».

Il sindaco ha concluso ringraziando il presidente del Centro Studi Romei Renato Stopani e i suoi collaboratori per il convegno dello scorso 2 agosto, i cui atti sono stati presentati all’inizio dei lavori. A introdurre l’intervento dello stesso Stopani è stato l’assessore alla Cultura Fausto Cecconi. «L’idea della giornata di studio – ha esordito – è nata per caso, anche se io non credo al caso. La storia di Radicofani, importante e ampia, non era stata approfondita. Eravamo stati invitati a una presentazione del Centro Studi Romei ma non potevamo partecipare perché coincideva con la festa patronale di Sant’Agata. Lanciai così l’idea dell’approfondimento storico e trovai l’immediata disponibilità del professor Stopani e del Centro Studi Romei, persone competenti ma anche decisamente affabili».

«Auspico – ha poi concluso Cecconi – che si approfondisca ancora la storia di Radicofani perché è stata indagata pochissimo, come mi hanno confermato gli stessi studiosi che hanno preparato la giornata. Ci sarebbe da lavorare molto, spero che persone di buona volontà ci aiutino anche in questo».

Dal canto suo, Renato Stopani non ha mancato di ribadire, anche in questa circostanza, che non si può parlare di «una sola Francigena», sia dal punto di vista storico che da quello geografico. «La viabilità – ha affermato – non è qualcosa di fermo nel tempo, le strade cambiano come dimostra anche il caso dell’autostrada del Sole. Se si tiene presente questo risulta ancora più assurdo, direi quasi un non senso, pretendere di indicare la «vera Francigena» come ha fatto il ministero; è veramente una sciocchezza. La Francigena nel tempo ha cambiato continuamente, era costituita da un fascio di percorsi e di volta in volta c’era la preminenza dell’uno sull’altro».

«Il tentativo del nostro libro – ha proseguito Stopani – è far notare questo. Il caso Val d’Orcia-Val di Paglia è abbastanza esemplare: in realtà sappiamo pochissimo di questa via e non possiamo pretendere che quel poco che sappiamo diventi verità assoluta. In certi periodi ci sarà stato un percorso più imporante rispetto a un altro, ma è stato così da sempre. Le stesse “fonti itinerarie”, quelle del percorso compiuto da un determinato viandante, si contano sulle dita di una mano».

Gli interventi del convegno hanno cercato di coprire i diversi aspetti, ma si è anche cercato di apportare qualche novità: «Abbiamo esaminato – ha sottolineato il presidente del Centro Studi Romei – l’aspetto dell’ospitalità. Sono emerse alcune realtà; nell’epoca d’oro dei pellegrinaggi (XI-XII-XIII secolo) si assiste a una divisione di ruoli nei pellegrinaggi, quello di fondovalle con assistenza gratuita e quello di Radicofani più “commerciale”. Quindi anche il borgo di Radicofani, come Siena, è “figlio della strada”. E non a caso il suo biglietto da vista è l’edificio cinquecentesco della Posta».

Del capitolo ospitalità si è occupato particolarmente proprio l’assessore Cecconi, che ha indicato come «documento fondamentale» lo statuto del 1255, «una vera e propria miniera d’informazioni di quell’epoca a Radicofani»; ma anche negli archivi di alcuni ordini monastici sono citati gli ospedali posseduti nel borgo, nonché in un documento conservato presso l’archivio di stato di Siena, in cui si dice che, in occasione del passaggio sotto lo Stato senese, «vollero i radicofanesi porre anche le loro case pie sotto il Santa Maria della Scala».«Radicofani, che divenne una delle grosse terre murate dello Stato senese – ha ripreso Stopani –, aveva anche una funzione di crocevia, come San Quirico d’Orcia: due percorsi trasversali li collegavano infatti alla Via Teutonica o di Alemannia, che veniva appunto dalla Germania. Arrivata a questa altezza, presentava una serie di raccordi che la collegavano alla Francigena. E questo spiega il perché dello sviluppo di questi due centri proprio quando la Via Teutonica, nel XIII secololo, divenne la più transitata: una scoperta del nostro convegno».

Terminata la presentazione degli atti, è giunto il momento delle testimonianze del governatore della locale Confraternita di Misericordia Alessandro Nutarelli e della pellegrina e ospitaliera della Confraternita di San Jacopo di Compostella Chiara Leone, che riportiamo qui sotto. Introducendole personalmente, abbiamo notato come per Radicofani passi ogni anno un numero di pellegrini – un migliaio nel 2011 – quasi pari alla sua popolazione e senz’altro destinato a crescere: un rapporto di «uno a uno» che favorisce una conoscenza che in altri contesti, come quelli urbani, probabilmente non sarebbe possibile. Ed è proprio la dimensione dell’incontro, abbiamo aggiunto, che rimane veramente dentro al di là del raggiungere la meta, perché si possono vedere anche i monumenti più belli ma niente resta nel cuore come l’incontro con le persone.

Il dibattito seguito alle testimonianze ha visto tra l’altro gli interventi di don Carlo Prezzolini, che ha auspicato la realizzazione di una pubblicazione sulla spiritualità dell’arte lungo la Via in territorio senese, e del parroco don Elia Santori, che ha ricordato l’accoglienza offerta dalla parrocchia prima che venisse inaugurato l’ospitale dei Santi Pietro e Giacomo, a partire dal Giubileo del 2000, ma anche l’allestimento di una mostra e la successiva pubblicazione di un libro con le immagini colte da due architetti lungo la Via. Il tema dominante è stato però quello della convivenza, se non della commistione, tra accoglienza povera e non, e, d’altra parte, tra pellegrini «doc» e semplici trekker. Non è mancato neppure qualche spunto polemico sul «diritto a prescindere» a essere comunque accolti. «La Via è grande – ha replicato Chiara Leone – ed è bene che chi fa trekking si mescoli con chi fa pellegrinaggio, anche se talvolta può essere imbarazzante». Perché ci sono comunque delle differenze di cui tener conto, oltre a quella fondamentale dell’atteggiamento con cui si viene accolti: «Se il pellegrino (non necessariamente cristiano) è una persona per la quale l’itinerario conta come la meta, per il trekker l’itinerario conta anche più». Lo sguardo al percorso è diverso, quindi; per il primo c’è anche un’urgenza di arrivare che fa privilegiare la via più breve, l’altro può, anzi a volte «deve» indugiare nella zona per coglierne le bellezze. Due posizioni ugualmente degne, ma c’è dell’altro: «Usiamo le nostre ferie per accogliere la gente e magari ci troviamo con persone che hanno pagato una guida per fare un trekking in zona. Ma chi paga è giusto che pretenda anche di non dormire in una stanza con altri sei. Sono due cose diverse, possono anche coesistere ma non sono la stessa cosa.

Non possiamo permetterci ospitare un trekker con bastoncini nuovi fiammanti e lasciar fuori un pellegrino che è arrivato dopo: si fa quello che si può; comunque è meglio che l’ospitaliero sbagli perché è più generoso che non il contrario». «Se ci sono da fare delle scelte – ha ribadito Alessando Nutarelli – è chiaro che privilegiamo i pellegrini, anche se non chiudiamo la porta agli altri, per la consapevolezza di quello che il cammino può comunque portare loro».

Alessandro Nutarelli: «Un modo per ritrovare quel che si era perduto»

Tutte le nostre attività sono ispirate dal Vangelo e dall’amore in Cristo, e tra le opere di misericordia corporale c’è alloggiare i pellegrini. Un’associazione come la nostra sposa in pieno il bisogno che, qui a Radicofani, va sempre crescendo da una quindicina d’anni a questa parte. Così alcuni anni fa, in collaborazione con la Confraternita di San Jacopo di Compostella di Perugia, abbiamo aperto l’ospitale dei Santi Pietro e Giacomo. La colloborazione ha poi portato a una vera e propria condivisione e amicizia». Alessandro Nutarelli, giovane governatore della locale Confraternita di Misericordia, ha iniziato così la propria testimonianza, parlando di quell’ospitale sbocciato proprio accanto alla chiesa di San Pietro, con le sue bellissime robbiane, come di un vero e proprio fiore all’occhiello. «Lo abbiamo inaugurato dopo due anni di lavoro; un progetto a cui la nostra misericordia ha dedicato impegno, amore e ingenti risorse economiche per le nostre possibilità. Un’opera andata a buon fine anche grazie al contributo della Fondazione Monte dei Paschi di Siena».

«Ogni anno che passa – ha continuato Nutarelli – l’impegno dei nostri volontari va concentrandosi sempre di più anche nell’attività di accoglienza, che per noi è soprattutto provare a compiere umilmente la volontà di nostro Signore e non altro. “Ero forestiero e mi avete accolto”, questo è il succo di quello che sto cercando di dirvi. È con questo sentimento che accogliamo, un sentimento che viene subito percepito e che i pellegrini portano con sé fino alla fine del loro cammino. Solo nel 2011 abbiamo accolto a Radicofani 1000 pellegrini, con una crescita del 20-30%. Un passaggio simile significa avere a che fare proprio con un mondo che si sposta, che si muove. Un’infinità di vite differenti, tanti tipi di persone, tante situazioni… è una ricchezza straordinaria anche per noi perché logicamente non riceve mai solo chi prende, ma soprattutto chi dà. Dunque noi ci sentiamo di non dover semplicemente ospitare ma di dare un’identità ben precisa al nostro accogliere. È una straordinaria opportunità di testimonianza per noi cristiani, un messaggio che porta a riflettere anche chi arriva con tutt’altra predisposizione. Sperimentare le realtà di accoglienza – perché non c’è solo la nostra – che si trovano lungo il cammino, per molti significa trovare proprio quello che cercavano e invece per altri, il che è ancora più gratificante, è ritrovare quello che avevano perduto. E nel mondo in cui vogliono farci vivere oggi, dove se permettete i principi vengono fatti letteralmente a brandelli, Dio solo sa quanto ce ne sia bisogno».

Infine, una piccola polemica: «In questo quadro così bello, interessante e confortante c’è ad onor del vero una nota stonata, che non va in sintonia con quello che è il mio pensiero. Da ospitaliero, da abitante di Radicofani vivo ogni giorno nella realtà di questa strada e il mio paese la vive con me. A me non piacciono le persone che trascurano i concetti che ho appena espresso e la verità storica, ma si adoperano magari perché questo rifiorire della Francigena possa dare la possibilità magari di accendere i riflettori su un campanile piuttosto che su un altro. Direi di fare attenzione, può essere anche un’arma a doppio taglio, nel senso che si rischia di trasformare ancora una volta come sempre si fa ahimé in Italia tutto un po’ in un mercato. Dunque facciamo attenzione, perché sarebbe un danno per la storia, la cultura, e poi se permettete anche per tante persone come noi che ogni giorno mettono il loro impegno e il loro amore su questa via, senza nessun fine se non quello di dare questa impronta.

Chiara Leone: «Mossi da una sorpresa che ci ha affascinati»

All’intervento del governatore della Misericordia ha fatto seguito quello di Chiara Leone, della Confraternita di San Jacopo di Compostella. «Condivido in toto quello che ha detto Alessandro», ha esordito. «Misericordia e Confraternita di San Jacopo accolgono solo gratuitamente. E lo facciamo perché è un’opera di misericordia e perché siamo stati pellegrini anche noi. Quando un pellegrino sceglie di mettersi in una condizione di povertà ha degli inconvenienti e dei vantaggi, ti possono trattare un po’ da pezzente a volte, ma il grande vantaggio è che sperimenti la gratuità, e questa è una cosa che fa molto bene, sia da pellegrino e fa ancora meglio se provi a farlo da ospitaliere, quindi è un’esperienza che consiglierei a tutti voi nel caso qualcuno non l’avesse ancora fatto».

«Rispetto al discorso interessantissimo del professor Stopani, che ci sono più vie per arrivare a Roma – ha proseguito – questo ce lo testimonia la storia, legata al fatto che la mobilità umana cambia: ma è un criterio che vale anche adesso; le vie di pellegrinaggio le fanno i pellegrini che vanno dove sono ospitati e dove sono ospitati con il cuore, non per risparmiare soldi ma perché si sono messi in quella condizione che dicevo prima. Non saranno cioè altri tipi di indicazioni a convincere i pellegrini a cambiare strada; oltretutto non è che siano proprio del tutto deficienti. Quindi se sa che uno gli fa fare 10 chilometri in più sull’asfalto per andare in un posto invece che in un altro, il pellegrino minimamente acuto che sa leggere una carta, o sa frequentare i forum dei pellegrini, o che incontra un pellegrino che ha già fatto il percorso lo verrà a sapere. Questo senso di solidarietà dei pellegrini ci consola molto, perché sappiamo che solo dove ci saranno i luoghi di accoglienza, lì ci saranno i pellegrini«.

«Infine – ha concluso la Leone – tutti noi abbiamo chiara la differenza tra pellegrinaggio e turismo religioso, è semplicissima. Non è la meta ma il modo con cui ci si arriva; non è la meta ma la ragione per cui ci si va. Perché tutto ciò che è fede è cultura, non è che una cosa di fede “può essere” anche di cultura, proprio perché la fede genera cultura. Noi lo sappiamo, ci sono duemila anni di storia che lo testimoniano. In qualità di ospitalieri abbiamo ricevuto un sacco di doni dai pellegrini che abbiamo trovato, ci hanno insegnato un sacco di bene, ci hanno stupiti, ci hanno edificati nel senso letterale del termine. Ma c’è anche questo aspetto affascinante di sfida che a volte consiste nello scoprire che chi è partito da turista, chi è partito perché questo sulla Francigena è “un bel trekking”, che è partito perché voleva fare il giro dei vini della Toscana o quello alla scoperta del parmigiano, è partito così e poi magari attraverso un ospitale, una chiesa oppure il camminare per un sentiero – in questo senso credo di poter affermare che nostro Signore è sleale, utilizza qualsiasi strumento – ha avuto modo di scoprire che c’era altro, che c’era altro che era anche più divertente, che c’era altro che era anche più affascinante, che c’era altro ed era una grande sorpresa: quindi noi che da questa Sorpresa siamo stati affascinati, in nome di questa Sorpresa continuiamo a fare ospitalità insieme alla Misericordia aiutandoci a vicenda a sentirsi privilegiati nel poterlo fare».