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Tornano i «The di Toscana Oggi»

Sono passati tanti anni, ma ricordo bene che Lorella ed io eravamo in redazione, a Toscana Oggi, con in mano il bicchiere del caffè: un rito dopo pranzo. L’amica giornalista, che avevo accolto matricola in Facoltà di Lettere e seguito durante tutti gli anni della sua ottima carriera universitaria, mi spiegava la nuova iniziativa del settimanale: riunire lettori e lettrici intorno ad una tazza di thè, da accompagnarsi con pasticcini e leccornie, ma anche con conferenze stimolanti. Ci voleva un titolo. Ed io, cresciuta a pane e swing, cominciai a canterellare una vecchia canzone «Tea for two and two for tea, me for you and you for me». Con gli occhi della memoria rivedevo Ginger Rogers in svolazzante abito bianco e l’irreprensibile Fred Astaire volteggiare fra tavolini con immacolate tovaglie di pizzo e teiere fumanti, in quello che era uno dei loro cavalli di battaglia. Quel «Tea for two» ci ispirò il titolo della prima edizione che fu «Thè per sei», in riferimento ai sei incontri in programma; l’anno dopo diventò poi «Thè per otto».

L’iniziativa dei Thè di Toscana Oggi è cresciuta – quest’anno a Firenze sta per partire la decima edizione – e si è formato un gruppo ben affiatato di gente piena di interessi. Le signore e i signori dei Thè sono persone vivaci, accomunate dalla curiosità di sapere e dalla voglia di riflettere stando insieme e divertendosi. Si spiega così il successo di questa serie di conversazioni, che poi ha visto fiorire una serie di eventi altri, come le memorabili cene al Castello da Verrazzano o la gita a Certaldo dal Boccaccio. E non si possono dimenticare le quasi sempre presenti amiche del Moica, il Movimento delle casalinghe, sorprendenti nei loro multiformi saperi: dal ricamo alla letteratura e alla poesia.

A Firenze si riparte il 5 novembre, a Prato il 19. Per quanto riguarda il calendario fiorentino da sempre a me è toccato il compito del relatore storico, una sola volta finale, quasi sempre inaugurale. E poiché il mio hobby è la storia di Firenze, smessi i panni di filologa classica, cristianista e studiosa di esegesi biblica, mi sono calata spesso nella parte di «guida» per passeggiate virtuali nelle piazze e nelle strade della città, alla ricerca di storia e storie. Dopo un periodo nella Sala della redazione in via de’ Pucci, una breve sosta all’Auditorium della Cassa di Risparmio in via Portinari, siamo approdati all’Accademia di Scienze e Lettere La Colombaria, della quale sono socio corrispondente: una ragione in più per sentirmi a casa, fra amici.

Quest’anno parlerò della Firenze dei miracoli. E non c’è che l’imbarazzo della scelta: eventi straordinari nella nostra città se ne sono verificati tantissimi e ne parlano non solo i libri di storia, ma le vie, le piazze, i monumenti. Così, se basta leggere la «Vita di Ambrogio» di Paolino da Milano per avere l’attestazione dei prodigi compiuti da sant’Ambrogio nella Florentia del IV secolo, allorché venne per consacrare la chiesa che noi adesso chiamiamo San Lorenzo, basta andare in Piazza San Giovanni per vedere la colonna di San Zanobi che ricorda l’inatteso rifiorire dell’olmo al passaggio della bara del santo. In Borgo degli Albizi, poi, una lapide ricorda la miracolosa storia della «mamma di Gallia», cui lo stesso Zanobi risuscitò un bambino.

Sull’angolo di via Vecchietti con via Strozzi c’è la copia di un diavolino del Giambologna: ricordo di un miracolo di esorcismo di san Pietro Martire, che nella lunetta del Bigallo è visto predicare ad una folla spaventata da un cavallo nero? O più semplicemente un porta bandiera, cui la leggenda popolare ha attribuito un significato altro?

E fuori città basta salire la scalinata che porta al Monte alle Croci per imbattersi nella memoria di San Giovanni Gualberto, con la sua prodigiosa decisione di perdonare l’uomo che gli aveva ucciso il fratello. Perdono vero, opera di ispirazione divina: il crocifisso di San Miniato al Monte gli fece cenno di assenso con la testa. Il tutto si colloca lontano mille miglia dall’idea sottesa alle domande assurde che cronisti da strapazzo delle nostre televisioni rivolgono a chi si è visto strappare una persona per un fatto delittuoso: «Lei perdona, ha perdonato?».

Come se il perdono fosse qualcosa che si acquista al Supermercato un tanto al chilo e il giorno stesso dell’evento. E parleremo di Pietro Igneo, che camminò sui carboni ardenti alla Badia a Settimo; rievocheremo San Domenico e San Francesco all’Incontro, per la serie «anche i santi sapevano ridere». E più vicino a noi nel tempo, ricorderemo la storia del tabernacolo del Ponte alle Mosse e della sua Madonnina, che chiuse gli occhi per non vedere le bombe cadere dal cielo sulla nostra città. Miracoli del cielo e prodigi degli uomini: la volontà corale di rinascita dopo l’alluvione, le battute fra il fango, il rimboccarsi le maniche e via andare. Prodigi della volontà, che sono di ordinaria amministrazione a Firenze. Basta andare in una mattina di sole in Piazza del Duomo, nell’aria limpida di settembre e nello specchio terso del cielo di ottobre, e guardare in su verso la Cupola che pare muoversi, come un fiore enorme appena sbocciato. L’ha fatta nel XV secolo un omino alto un metro e cinquanta, che aveva un filo a piombo e una cazzuola. Si è costruito tutto: dalle macchine per sollevare i carichi alla cucina fra le nuvole per non far correre il rischio di cadere ai suoi operai nel salire e scendere. Prodigi di testa e di cuore, a gloria di Dio, ma anche a sottolineare quanto l’uomo possa essere grande nel suo indirizzarsi al bene e al bello.

Buon thè a tutte e a tutti.

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