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Eutanasia sui bambini, il triste primato dell’Olanda

di Marco Doldi Ha scosso il mondo la notizia che l’Olanda ha autorizzato l’eutanasia anche per i bambini sotto i dodici anni, i quali soffrono di mali incurabili. Per ora l’intesa è tra la magistratura olandese e la clinica universitaria della città di Groningen, ma si prevede che facilmente sarà estesa anche ad altre case di cura.

Le condizioni per praticare l’eutanasia sui bambini sono precise e stabiliscono, passo dopo passo, la procedura che i medici devono seguire. Ad esempio, si richiede che un medico esterno all’unità ospedaliera si pronunci sulle reali condizioni del bambino, per stabilire se egli soffra realmente di una patologia incurabile.

A ben pensarci, non meraviglia molto che l’Olanda sia giunta a questo, dal momento che, dalla primavera del 2002, esiste una legge, che permette di accedere all’eutanasia quando un malato si trovi nella situazione di malattia grave o anche solo nella previsione di dover affrontare una patologia al momento incurabile. Eppure, è avvenuto qualcosa di strano. Sì, perché la legge contiene almeno una barriera di tutela verso i minori: l’eutanasia non può essere richiesta da chi non ha compiuto 16 anni e da 1 a 16 anni si può praticare, soltanto con l’autorizzazione di un genitore. Ora, è avvenuto qualcosa di più: la stessa legge è stata superata probabilmente da un accordo tra i medici della clinica di Groningen e i magistrati.

La posizione olandese in tema di vita è in aperto contrasto con l’etica europea che, per esempio, nella Convenzione del 1999 vieta espressamente ogni forma di eutanasia. Soprattutto va contro quel profondo senso umano, costruito nei secoli che mostra ripugnanza verso la figura del medico, qualora abbia un qualunque ruolo nell’uccisione di un paziente.

Si tratta di un atteggiamento ereditato nella cultura occidentale dalla tradizione ippocratica. Il medico è la persona alla quale ci si affida proprio nel momento in cui la malattia e la sofferenza minano le forze spirituali e corporali e pongono in pericolo la vita. Ad un medico non si chiede di giudicare, né di decidere chi deve vivere e chi deve morire; la fiducia che il malato gli concede si fonda sul presupposto sia della sua professionalità sia del chiaro atteggiamento in favore della vita, che egli deve assumere. Se questo venisse a mancare in modo generalizzato il danno per la relazione tra medico e paziente sarebbe incalcolabile (Pontificio Consiglio per la famiglia, “Famiglia e questioni etiche”, Bologna 2004).

La questione e assai grave e per questo, davanti alle derive che assumeva l’assistenza al malato in Olanda, l’Associazione medica mondiale per ben due volte (a Madrid nel 1987 e a Marbella nel 1992) si era espressa contro l’introduzione dell’eutanasia.

Ancora, la recente decisione di applicare la dolce morte ai bambini mostra come l’atteggiamento di chi si è sempre detto contro l’eutanasia per timore di abusi sia oltre modo giustificato. Là si è imboccato uno scivoloso pendio dal quale forse non si uscirà più. Se è da rispettare il desiderio espresso da un paziente di porre fine alla proprie sofferenze, occorre mantenere l’obiettività che la gravità del caso domanda. Le cure palliative, seppure costose, sono un rimedio della medicina odierna alle sofferenze, provocate da patologie incurabili e da malattie devastanti. La stessa richiesta di voler morire, dicono gli psicologi, è un forte grido di non essere lasciato solo nella drammaticità della vita che termina. È una domanda di solidarietà umana, davanti alla quale ci si sente tutti interpellati e nessuno può dire di aver assolto ai propri compiti, perché “non c’è più niente da fare”. E poi non c’è il rischio di diminuire, se non addirittura di spegnere, l’impegno per la ricerca medica in determinati campi, dal momento che la soluzione c’è già ed è quella della soppressione della vita malata?Molte altre obiezioni si possono muovere, ma è evidente che l’eutanasia non sarà mai la risposta adeguata davanti a chi è malato grave: ben altre vie esistono per prendersi cura di lui. Certo sono vie costose per la pubblica sanità e impegnative, perché domandano al personale medico e assistenziale non solo professionalità, ma anche amore e senso di umanità per la vita dell’uomo. Davanti al recente accordo olandese i credenti e tutti gli uomini di buona volontà devono alzare la voce, non solo per dire il proprio sdegno, ma per ricordare che solo Dio è Signore della vita umana: Egli la dona nel tempo, anche sotto il segno misterioso della malattia e della sofferenza, perché susciti non la falsa compassione di chi giudica talune vite inutili e senza senso, ma affinché ogni uomo impari a prendersi cura del proprio fratello, soprattutto di quello più piccolo, così caro al cuore del Padre. Come insegna il Vangelo.