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Europee, avanzata «eurocritica», ma l’emiciclo rimane «europeista»

(Sir Europa - Bruxelles) - Avanzano gli euroscettici, ma il Parlamento di Strasburgo resta a maggioranza europeista. In attesa dei risultati ufficiali provenienti dai 28 Stati membri, l'emiciclo dovrebbe avere tre quarti dei seggi ripartiti tra Popolari, Socialisti e democratici, Liberaldemocratici e Verdi.

Le forze che si rifanno a programmi nazionalisti o eurocritici ottengono un discreto risultato, ma non dovrebbero avere più di 130-140 seggi. La nuova composizione dell’Assemblea necessita fra l’altro dell’iscrizione, che avverrà entro fine giugno, dei singoli eurodeputati ai gruppi politici presenti al Parlamento Ue; occorre inoltre verificare se ci sarà la creazione di nuovi gruppi. Nel frattempo i Popolari, prima forza all’Europarlamento, pur fortemente ridimensionati (perderebbero una sessantina di seggi), reclamano la carica di presidente della Commissione con il loro candidato, Jean-Claude Juncker: «Il Ppe ha vinto queste elezioni, e io sono pronto ad accettare il mandato di presidente della Commissione». Juncker non si sottrae alle domande dei giornalisti presenti a Bruxelles: se all’interno dell’Europarlamento non si trovasse una maggioranza per l’elezione del successore di Barroso e il Consiglio europeo indicasse un’altra persona? «La volontà degli elettori è chiara e dev’essere rispettata», afferma, salvo dirsi disposto a una trattativa con il socialdemocratico Martin Schulz.

Fra i dati che emergono dalle elezioni europee figura quello dell’affluenza alle urne, di poco superiore al 43%: dal 1979 è la prima volta che l’astensionismo non cresce. Nei commenti che si raccolgono a Bruxelles si riconosce che hanno giocato un ruolo importante in questo senso gli stessi partiti euroscettici, i quali avrebbero posto al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica la «questione europea». Questo elemento, assieme ai risultati del voto e alle prossime trattative per l’elezione del presidente della Commissione, saranno al centro della prima riunione della conferenza dei capigruppo all’Europarlamento, fissata per il 27 maggio. Sempre domani si svolgerà la riunione informale dei 28 capi di Stato e di governo per un’analisi del voto. Intanto Martin Schulz, candidato Pse alla successione di Barroso, riconosce che il Ppe, avendo la maggioranza in emiciclo, deve avviare le trattative per la presidenza della Commissione. «Ma – avverte – anche io assumerò l’iniziativa per formare una maggioranza» diversa da quella che ha in mente Juncker. «Basta – aggiunge – con la logica basata sul calcolo matematico, è ora di cominciare con il calcolo della politica». Di possibile «maggioranza alternativa» parla anche Guy Verhofstadt, liberaldemocratico, mentre la verde Ska Keller dice: «Valuteremo i programmi ambientalisti dei diversi» aspiranti alla presidenza dell’Esecutivo.

Dalla chiusura delle urne in tutta Europa si iniziano a valutare i risultati di queste ottave elezioni a suffragio universale per la scelta dei 751 componenti dell’Assemblea di Strasburgo. A segnalare l’interesse per la consultazione gli oltre mille giornalisti presenti a Bruxelles, l’inedito spazio assegnato dai media, ma anche la lettura «in chiave europea» dei singoli risultati nazionali. I commenti si concentrano sulla vittoria dei nazionalisti del Front National di Marine Le Pen in Francia e di quelli dell’Ukip di Nigel Farage nel Regno Unito. Buone affermazioni – anche se in alcuni casi al di sotto delle aspettative – di formazioni «no Europa» o «no euro» si registrano nei Paesi Bassi, nei Paesi nordici, in Austria. Ma se a Parigi e a Londra vengono puniti i partiti al governo (rispettivamente socialisti e conservatori), ciò non avviene a Berlino (buona la tenuta della Merkel) e soprattutto in Italia (affermazione del Partito democratico del premier Renzi). L’Ungheria di sposta ulteriormente a destra, ciò che non avviene in Polonia, Romania, Portogallo. In Spagna calano popolari e socialisti. La Grecia, invece, promuove Alexis Tsipras, euroscettico di sinistra, che afferma: «L’Europa ha fatto un grande passo per chiudere con la politica di austerità. I popoli chiedono un cambiamento. Chiederemo elezioni nazionali per negoziare con l’Unione una nuova politica per uscire dalla crisi».