Opinioni & Commenti

Europa: tornare a fare figli si può, anche con l’aiuto dello Stato

di Romanello Cantini

Meno di un mese fa «The Wall Street Journal», un quotidiano che in genere è molto ascoltato e che si occupa di cose serie, se ne è uscito con un editoriale dal titolo cimiteriale: R. I. P (riposa in pace). L’articolo era dedicato ad una Italia moribonda, secondo il giornale londinese, perché non riesce a fare più figli.

A  parte le denunce ad effetto e i gridi delle Cassandre più tragiche come quelle che prevedono per la metà del secolo gli italiani ridotti a dieci milioni, sottratti gli immigrati, il problema  è grave anche per chi ragiona freddamente e osserva con scrupolo statistico.

Poco tempo fa il Cisf (Centro internazionale per la famiglia) ci ha informato che il 53,4% delle famiglie anagrafiche non ha figli. Solo il 19, 5% ne ha due e appena il 4,4% arriva a tre. Non staremo qui a dilungarci sul rischio di una Italia che sia di fatto quasi scomparsa nel bicentenario della sua Unità, né sulla eventualità che ormai tutti evocano di una Italia di vecchi che non trovi più giovani per assisterli e occupati per mantenerli.

Sappiamo anche che la denatalità ha tante cause. Da quella morale di non avere più il coraggio di educare i figli, a quella psicologica della paura del futuro e dell’ossessione del consumo, a quella econmica e sociale delle difficolta delle madri spesso senza assistenza se casalinghe e soggette ancora di fatto al licenziamento per gravidanza nel settore privato.

E tuttavia anche l’intervento dello stato può fare molto in questo settore. Lo dimostra ormai una serie di esperienze purtroppo poco conosciute di altri paesi che, che a differenza del nostro,  negli ultimi dieci-venti anni hanno operato una decisa inversione di tendenza dalle vecchie politiche di denatalità alle più recenti ed efficaci politiche di natalità. La Francia era ottanta anni fa il paese dove si facevano meno bambini, il buco nero e compatito di una Europa ancora fertile. «Troppi pochi bambini» disse il maresciallo Petain che cercò di giustificare con la denatalità francese persino la sconfitta del 1940. Oggi al contrario la Francia è il paese europeo più fecondo con un tasso di natalità di due figli per ogni donna in età fertile con una politica a sostegno della famiglia che anche alle ultime elezioni presidenziali del 2007 ha avuto il sostegno sia della destra sia della sinistra. Una evoluzione analoga hanno avuto anche i paesi scandinavi che quaranta anni fa avevano una natalità fra le più basse d’Europa e che oggi invece seguono a ruota la Francia  con una natalità che si avvicina al traguardo dei due figli per donna.

Queste rivoluzioni demografiche hanno fatto seguito a misure ben precise. In Francia l’adozione del cosiddetto quoziente familiare ha permesso di alleggerire fortemente il prelievo fiscale su chi ha figli. Con questo sistema il reddito di una famiglia anziché essere considerato unico raggiungendo le aliquote più alte viene diviso con appositi coefficienti secondo i membri della famiglia ed  è toccato così solo dalle aliquote più basse. In pratica, per esempio, una famiglia di genitori con tre figli con un reddito di cinquantamila euro paga le tasse su quattro redditi da 12500 euro. Nel nostro paese nonostante che ormai da anni si discuta di quoziente familiare e la sua promessa fa sempre capolino in campagna elettorale per poi sparire.

I paesi europei più virtuosi in  fatto di natalità sono anche quelli che hanno adottato i provvedimenti più generosi per l’assistenza ai figli. Il congedo di maternità è di 16 settimane con il 100 per cento dello stipendio in Francia e in Svezia, di 18 settimane all’80 per cento in Danimarca, di 14 settimane al 100 per cento in Germania  come Italia. Il congedo parentale per entrambi i genitori è di dodici mesi con il 67 per cento dello stipendio in Francia e in Germania, di 67 settimane con l’80 per cento in Svezia, di 10 settimane con l’80 per cento e di 26 settimane con il 60 per cento in Danimarca. In Italia il congedo parentale è di 10 mesi ma con solo il 30 per cento dello stipendio per i primi sei mesi. In altri paesi si può usufruire inoltre del congedo parentale fino ad una età molto più elevata del figlio. In Danimarca, ad esempio, fino all’eta di nove anni, in Svezia fino ad otto anni. In Italia è concesso solo entro i primi tre anni.

A queste misure generali in altri paesi si sono fatte seguire altre provvidenze particolari. In Francia una serie di provvedimenti sono stati messi in cantiere dai governi di destra e poi ripresi dal governo Jospin dieci anni fa. A partire dal 2004 in Francia c’è un premio alla nascita di 855 euro e un assegno mensile di 171 euro fino a tre anni. Ai genitori è concessa una integrazione dello stipendio nel caso che scelgano il part-time per stare vicini ad un bambino fino a tre anni. Fino all’età di sei anni del bambino sono concessi contributi per una nurse nel caso che non si trovi posto al nido o alla materna. In Italia l’unica povera misura che può venire in mente è la possibilità di avere un mutuo agevolato fino a 5000 euro.

Il tasso di natalità nei vari paesi europei sta ormai parlando da solo con eloquenza: Francia 2,02, Svezia 1,85, Finlandia 1,83, Olanda 1,71, Germania 1,39, Spagna 1,38, Italia 1,34. Questa classifica scorre quasi identica se si mettono in fila decrescente le risorse che ogni stato dedica alla politica familiare.La Francia ci impegna il 3,3 per cento del suo Pil con circa trenta miliardi di euro di spesa  a cui si devono aggiungere i tredici milardi di minori entrate dovuti al quoziente familiare. Segue a ruota una Germania che è partita in ritardo ma che ora, dopo aver istituito un Ministero per la Famiglia, ci dedica il 3,7 del suo Pil. L’Italia ci impiega al contrario appena l’1,1 per cento. Dietro  a noi c’è solo la maglia nera della Spagna di Zapatero con lo 0, 52 per cento.