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Europa, partenza in salita

Gianni Borsa Al di là dell’ufficialità e dei sorrisi di protocollo, la Conferenza intergovernativa inaugurata sabato 4 ottobre a Roma è partita in salita. E c’era da aspettarselo. La bozza di Trattato emersa dalla Convenzione era stata giudicata da tutti una buona base di partenza per dare una Costituzione all’Unione del futuro. Ma erano emersi anche parecchi nodi da sciogliere.

Nei palazzoni dell’Eur sono convenuti i capi di Stato e di Governo dei quindici attuali membri dell’Ue, i rappresentanti dei dieci candidati e degli “osservatori” (Bulgaria, Romania e Turchia), oltre al presidente dell’Europarlamento, Pat Cox, e a quello della Commissione, Romano Prodi. Ognuno si è sentito in dovere di ribadire la necessità di chiudere al più presto la Cig, così da firmare la nuova “carta fondativa” dell’Unione prima delle elezioni europee del giugno 2004. Salvo non recedere di un millimetro rispetto alle proprie posizioni e alle molteplici obiezioni avanzate sul lavoro della Convenzione.

Nel discorso inaugurale, il presidente di turno del Consiglio europeo, Silvio Berlusconi, ha affermato con una certa enfasi che la Cig è “un avvenimento che fa già parte della storia”. Aggiungendo: “Siamo chiamati a compiere più che un atto di fede, un atto di volontà in un mondo che presenta nuovi pericoli e nuove sfide, ma anche grandi opportunità”. E più oltre: “Il futuro dell’Europa è quello che discende dalla sua civiltà millenaria. Nel mondo globalizzato, l’Europa deve trovare il suo secolare primato, rinnovando le ragioni della sua civiltà”.

Un intervento di ampio respiro, che ha però dovuto misurarsi, immediatamente, con le rivendicazioni più o meno garbate degli Stati di media importanza (Spagna e Polonia), che chiedono peso nelle decisioni comunitarie; con i piccoli Paesi, che invocano pari dignità (sono almeno una quindicina, con a capo Austria e Finlandia). Per non parl are della Commissione, che per bocca del suo presidente ha riproposto diversi “nervi scoperti” attorno ai quali darà battaglia in nome dei prevalenti interessi comunitari: il processo di revisione costituzionale; la riduzione dei casi in cui vige, nel Consiglio, il voto all’unanimità, parificato a un diritto di veto; la composizione della Commissione stessa (un seggio per ogni Stato). Resta infine, tutt’altro che marginale, la questione del riconoscimento delle “radici cristiane” del continente nel Preambolo del testo: tema sul quale, va detto, ben pochi protagonisti europei sembrano decisi ad andare oltre le dichiarazioni di disponibilità.

La Conferenza è appena iniziata e il suo scopo principale – dare alla luce un Trattato costituzionale forte e condiviso – non è irraggiungibile. Ma alla presidenza d turno è chiesto di esercitare una sottile arte diplomatica, capace di puntare su obiettivi “alti”, recepibili da tutti. A questo proposito sarà necessario fare ricorso a due principi insostituibili nei frangenti di portata storica: anzitutto quello di responsabilità (sacrificare un obiettivo particolare per un fine superiore); e, in secondo luogo, quello di “bene comune europeo”, il quale è valore più elevato – come ha sottolineato il premier inglese Tony Blair – della somma degli interessi di ciascuno Stato.