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«Europa libera per tutti: cristiani, ebrei musulmani e atei»
Frans Timmermans, olandese, vice presidente vicario della Commissione: «La competenza in materia di sicurezza è degli Stati membri. Come Commissione stiamo però facendo il possibile per coordinare gli interventi e per fornire una risposta di scala europea». Precisa che «Schengen non è in discussione» e che c'è il problema «di vigilare sulle frontiere esterne».
«È sbagliato parlare di foreign fighters». Non si tratta, infatti, di combattenti stranieri, «ma di cittadini con passaporto europeo, giovani cresciuti nelle nostre città» che ora, plasmati dall’intolleranza e dall’odio, «presi dalla cultura della morte», «vorrebbero distruggere la nostra stessa società». Si accendono i toni di Frans Timmermans, olandese, vice presidente vicario della Commissione, poliglotta, letterato, diplomatico e politico di fede europeista: sta seguendo da vicino il problema del terrorismo e sostiene che gli Stati europei devono unire le forze se intendono «veramente proteggere i loro cittadini» e far quadrato attorno ai valori inscritti nel Dna dell’Ue.
Timori diffusi, risposta efficace. La Commissione Juncker aveva annunciato mesi fa nel suo programma di lavoro che avrebbe messo mano al dossier-sicurezza. «A maggio sarà pronta la comunicazione per una strategia comunitaria», spiega Timmermans incontrando i giornalisti il 21 gennaio nella sala stampa del Palazzo Berlaymont, a Bruxelles. La sede della Commissione è al centro dell’attenzione: si cerca di definire una proposta praticabile che, superando le emozioni del momento, vada incontro con efficacia agli interessi degli Stati membri, a quelli affermati dall’Europarlamento, tenendo conto dell’urgenza della situazione e dei timori diffusi nella popolazione dopo i fatti di Parigi e di Bruxelles. Il livello di allarme è cresciuto in ogni angolo del continente, e Timmermans lo sa bene. «Siamo anche in attesa – spiega – di vedere cosa accadrà al Consiglio europeo del 12 e 13 febbraio», quando finalmente si ritroveranno i 28 capi di Stato e di governo per discutere il problema. Timmermans ripete più volte che «la competenza in materia di sicurezza è degli Stati membri»; «come Commissione stiamo però facendo il possibile per coordinare gli interventi» e «per fornire una risposta di scala europea». Con una nota di amarezza ammette: «Ci sono dei Paesi Ue che preferiscono collaborare con gli Stati Uniti che con quelli d’Europa…».
Costruire la fiducia reciproca. Il vice presidente della Commissione tiene a precisare che «Schengen non è in discussione» e «nessun Paese» aderente al trattato per la libera circolazione interna «ne ha chiesto limitazioni». Piuttosto «c’è il problema di vigilare sulle frontiere esterne». Timmermans affronta numerosi temi, fra cui il Pnr, Passenger Name Record, scambio dei dati fra gli Stati e database centralizzato con nomi e indirizzi dei cittadini che effettuano voli aerei; il provvedimento è osteggiato dal Parlamento di Strasburgo in nome della privacy. Il commissario parla dunque di «fiducia da costruire e rafforzare» fra governi, magistrature, servizi segreti e organismi di polizia: «Di certo la sfida della sicurezza riguarda tutti e se ne esce solo rafforzando la collaborazione» oltre le frontiere nazionali.
Un messaggio chiaro. Ma Timmermans non teme neppure di andare controcorrente: «Le nostre società sono vulnerabili perché sono aperte. E non cambieremo il nostro modo di essere sotto la minaccia e il ricatto dei terroristi. La tolleranza e il rispetto della legge sono elementi essenziali» dell’Europa di oggi, nella quale «ogni comunità deve poter trovare posto» e sentirsi a casa. «Noi siamo tenuti a offrire a tutti e a ciascuno, cristiani, ebrei, musulmani o atei, l’opportunità di vivere in pace» in ogni angolo d’Europa. La brutalità, i rancori, le discriminazioni, le limitazioni alla libertà di espressione o di culto non possono trovare cittadinanza nell’Unione. Il messaggio del braccio destro di Juncker è chiaro.
«Indietro non si torna». Ma secondo lei l’Europa ha sottovalutato la minaccia terroristica? La domanda non coglie di sorpresa l’interlocutore: «No, non credo. Soprattutto dall’inizio della guerra in Siria si era capito che quel conflitto» avrebbe avuto pesanti ricadute in Europa: sul piano della sicurezza, dell’aiuto da portare ai rifugiati, delle migrazioni. Per non parlare della instabilità regionale del Medio Oriente. E allora bisognerebbe assegnare maggiori competenze all’Ue per garantire la sicurezza dei cittadini? «Lo ripeto – torna a dire con la consueta pacatezza -, la competenza è degli Stati. E non è proprio il momento di aprire un inutile dibattito. Le competenze sono chiare, serve invece un’azione concreta e rafforzata» per la prevenzione del terrorismo. «Non bisogna perdere tempo». Timmermans crede piuttosto nella collaborazione tra le agenzie di intelligence, tra le autorità di polizia, tra i ministeri degli Interni, tra gli organismi europei (ad esempio Europol o Eurojust). «La Commissione può favorire una maggior cooperazione, ad esempio risolvendo le perplessità del Consiglio e del Parlamento Ue sul Pnr». «Una cosa è certa», conclude. «L’Europa non tornerà indietro» sulle libertà e sullo stato di diritto.
*inviato Sir a Bruxelles