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Europa, i confini si allargano

di Gianni Borsa L’Europa si ferma ai box per ripartire in ripresa. Il recente vertice di Copenaghen – che ha dato il via libera all’ingresso nell’Unione europea di altri dieci Paesi – potrebbe essere apparso come una sosta necessaria per regolare il motore e fare il pieno di carburante, così da proseguire al meglio il «gran premio dell’unificazione». In realtà la cinquantennale storia dell’integrazione continentale racconta di progressive e faticose acquisizioni, di passi avanti seguiti da brusche inversioni di marcia. Ecco perché è giusto parlare di «successo» riguardo ai risultati del Consiglio europeo svoltosi nella capitale danese, senza per questo passare a ingiustificati trionfalismi, i quali rischiano di sottovalutare i problemi che restano da affrontare.

L’allargamento verso Est e verso Sud dell’Unione, fissato al 1° maggio 2004, è il punto di arrivo di un lungimirante processo di estensione «politica» della comunità, che va ad affiancarsi al più rapido cammino di unificazione economica e monetaria. Affinché la politica rimanga ora al volante dell’Ue, è necessario affrontare alcuni passaggi fondamentali, senza trascurare gli ostacoli che si frappongono sulla strada. Infatti le decisioni assunte a Copenaghen devono essere ratificate a livello nazionale, dai cittadini e dai Parlamenti, per poi tornare in sede europea. Risultano inoltre in sospeso alcuni nodi da sciogliere riguardanti i Paesi che intendono entrare nel consesso europeo: si pensi alla questione turca, alla divisione interna dell’isola di Cipro, alla situazione di altri Stati candidati quali Bulgaria e Romania. Ma, soprattutto, occorre riconoscere che il semplice «lievitare» dei confini non è sufficiente a dare futuro all’Europa. Al processo «quantitativo» deve accostarsi un adeguato sforzo «qualitativo», che tenda a «dare un’anima» alla nuova Unione.

In proposito si possono segnalare alcune questioni prioritarie. In primo luogo servono, con urgenza, riforme istituzionali che permettano a una Unione a 25 di funzionare sul piano legislativo e di governo, con i dovuti bilanciamenti di poteri fra le istituzioni comunitarie e fra l’Unione e i singoli Stati membri.

Sarà poi necessario – secondo punto – affrontare i problemi concreti riguardanti la ristrutturazione della politica agricola, la ripartizione dei fondi per le infrastrutture e il sostegno alle regioni meno sviluppate. Ciò significa che i 15 Stati sinora aderenti all’Ue dovranno rinunciare a soldi e a benefici, a vantaggio dei nuovi arrivati. Qualche sostegno in meno, ad esempio, alle agricolture nazionali sviluppatesi in un sistema protetto e foraggiate da Bruxelles, farà solo bene alla crescita competitiva di tali settori, a tutto vantaggio dei consumatori.

Terzo, il gigante europeo ha sempre più bisogno di verificare, aggiornare, arricchire il patrimonio di valori e gli obiettivi di fondo che ne costituiscono l’identità più profonda. Su questo versante sta lavorando la Convenzione, presieduta da Valery Giscard d’Estaing, che dovrà definire, entro il prossimo giugno, un documento-guida per la stesura della futura Costituzione dell’Ue.

A tale riguardo Romano Prodi, presidente della Commissione Ue, ha enucleato quattro principi che costituiscono una buona base di lavoro per definire il Dna della futura Ue: «Innanzitutto, dobbiamo assumerci, come europei, la nostra responsabilità su scala mondiale, al servizio della pace e dello sviluppo – ha affermato Prodi durante la sessione inaugurale della Convenzione –. Dobbiamo poi, in quanto europei, difendere un modello di società equilibrato, capace di conciliare benessere economico e solidarietà. Il nostro benessere e il nostro stesso stile di vita sono, infatti, strettamente legati all’equilibrio tra crescita, giustizia sociale e difesa dell’ambiente». In quanto europei «siamo chiamati, inoltre, a garantire la libertà nel pieno rispetto dei principi di sicurezza. Infine dobbiamo scommettere sul futuro per fare dell’Europa un polo di influenza intellettuale, scientifico e di innovazione».«Fare l’Europa» era il sogno dei padri fondatori della comunità; «essere europei», cioè sentirsi e agire da cittadini d’Europa, è forse il nostro nuovo orizzonte.Le conclusioni del vertice di Copenaghen