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Europa, ecco cosa c’è dietro al «no» francese

DI ROMANELLO CANTINILa Francia, il secondo paese che dopo la Spagna ha sottoposto a referendum la costituzione europea (nella foto la firma del Trattato a Roma), l’ha bocciata. In Olanda sondaggi prevedono una sconfessione simile. La costruzione dell’Europa entra in una crisi profonda, anche se nove stati hanno già approvato, quasi tutti per via parlamentare, la nuova costituzione.

Il no francese è il frutto di inquietudini e ostilità diverse più o meno comprensibili, più o meno legittime. Al di là della contestazione contro Chirac si è riaffacciata la vecchia diffidenza verso lo straniero in un paese che spesso ama dare lezioni in tema di diritti umani. È apparsa rabbiosa la difesa ad oltranza dei propri vantaggi nei confronti degli altri paesi. È riaffiorato un nazionalismo egocentrico nel dire no mentre quasi tutti gli altri dicevano sì.

Ma è certo che anche i limiti di questa Europa hanno contribuito a questa sconfitta in un paese che, insieme a pochi altri, dell’Europa è stato la culla.

Il no francese è il risultato di una opposizione che ha visto schierati per il no mezzo partito socialista, il partito comunista e la destra di Le Pen. Gli argomenti degli uni e degli altri non sono stati molto diversi. Opposta era semmai la terapia. La sinistra vuole più Europa con poteri più vincolanti. La destra meno Europa in nome della nazione.Si è sfruttato soprattutto il vecchio problema del deficit di democrazia nelle istituzioni europee: una costituzione nata senza rivoluzioni e senza partecipazione; un parlamento che non è un parlamento e un governo che non è un governo; le decisioni prese senza padre e senza madre, figlie di una cooperativa oscura senza volto e senza responsabilità. Per dirla con la domanda banale di «Le Monde»: «Da chi deve andare a lamentarsi un cittadino che sia scontento dell’Europa?». Ma soprattutto in un momento di ansietà generale per il proprio futuro l’Europa è diventata il pretesto per lo sfogo di una insicurezza più generale. La storiella che ha fatto la fortuna del no è stata quella dell’operaio polacco disposto a lavorare per due euro all’ora che viene a togliere il lavoro all’operaio francese che ne guadagna venti (e sullo sfondo si usava poi l’incubo degli ottanta milioni di Turchi disposti a lavorare ancora per meno).Al di là della drammatizzazione e della esasperazione demagogica i problemi che sono stati agitati in Francia a livello comunitario non sono diversi da quelli che si pongono con la liberalizzazione mondiale rispetto ad esempio alla supercitata concorrenza cinese di questi giorni. E se la destra ha chiesto il ritorno al protezionismo nazionale, la sinistra ha denunciato che nella costituzione non sia previsto un salario minimo, una protezione sociale, una salvaguardia previdenziale che renda meno distanti francesi e polacchi, italiani e rumeni.

Ed adesso cosa accadrà? L’idea che si possa rivedere la costituzione per fare un favore alla Francia è troppo presuntuosa. Nessun altro paese l’accetterebbe e per partorire questa costituzione ci sono voluti già otto anni. Ma si può, seppure nel quadro di questa costituzione, applicare delle politiche che vadano incontro alle ragioni del no. In passato già Danimarca e Irlanda hanno ribaltato con un nuovo referendum il risultato negativo del primo. E ciò non è impossibile che accada di nuovo in un futuro non troppo lontano.

Il nuovo Trattato europeo