Italia

Euro sul banco degli imputati. E sull’inflazione i conti non tornano

di Ennio CicaliEuro, ancora lui. Davanti ai bilanci famigliari in crisi, ai rincari ingiustificati, torna sul banco degli imputati. A oltre tre anni dal primo marzo 2002 gli italiani hanno ancora un rapporto conflittuale con la moneta unica europea. Un particolare che giustifica la caduta di gradimento: a fine 2004 solo 62 italiani su 100 erano favorevoli all’euro (erano 88 nel 2002), un risultato inferiore alla media europea. È convinzione comune che l’euro abbia avuto un impatto negativo sui prezzi. Sono i consumatori italiani, secondo un sondaggio Gallup per l’Unione europea, i più «disorientati»: il 39% dice di comprare di meno ed è convinto di spendere di più, il 34% compra di più, ma non capisce quanto spende, solo il 27% non trova nessuna differenza.

I timori non erano mancati fin dall’inizio e una parola aveva cominciato a girare: arrotondamento. Poi l’assicurazione che le norme sarebbero state fatte osservare aveva fatto bene sperare. Così come aveva fatto bene sperare la denunzia di una barista aveva arrotondato per eccesso il prezzo di un cappuccino. Attenzione però queste norme erano valide solo nel periodo di conversione (1/1 -28/2/2002). Poi, quando i prezzi sono solo in euro, possono essere fissati a piacere.

Quanto e come sono cambiati i prezzi? Secondo i dati raccolti in aprile dall’Ufficio comunale di statistica di Firenze (gli ultimi disponibili) un chilo di pane costa oggi 1,81 e, costava 2.650 lire (1,36 e) nel 2001, un chilo di carne fresca di vitello di prima qualità costa oggi 14,97 e, costava 28 mila 105 lire (14,51 e), un chilo di zucchine costava 5 mila 389 lire (2,78 e) oggi costa 2,52 e. «La variazione di prezzo che intercorre tra i due periodi – precisa Gianni Dugheri, responsabile comunale dell’indagine sopracitata – non corrisponde necessariamente a un effettivo aumento o diminuzione perché nel corso di quattro anni sono sicuramente intervenuti cambiamenti nel piano di campionamento e nelle marche e varietà dei prodotti rilevati». Il cambio di moneta ha avuto in Italia conseguenze sociali rilevanti. Secondo l’Adiconsum, l’associazione consumatori della Cisl, l’euro ha diviso i consumatori in due categorie: quelli a reddito fisso (salariati e pensionati) il cui potere d’acquisto perso in tre anni è stimabile attorno al 25-30% per i pensionati e 20-25% per i lavoratori dipendenti. La seconda categoria comprende commercianti, artigiani, professionisti, i quali hanno beneficiato di un aumento dei prezzi dei propri tariffari salvaguardando così il proprio reddito.

Già nel marzo 2002, all’arrivo dell’euro si sono avuti i primi segnali di aumenti per prodotti in maggioranza a basso valore unitario e di acquisto ricorrente come gli ortaggi, la frutta, il pesce, la carne, la benzina o il gasolio, il lotto e le lotterie, le consumazioni al bar, i giornali. Logicamente, la frequenza dell’acquisto ripetuto più volte in una giornata tende a esacerbare la sensazione di rincari generalizzati.

Gli aumenti non hanno risparmiato i servizi, un esempio per tutti: l’acqua potabile, passata da tassa comunale a tariffa con un aggravio dell’Iva pari al 20%. Per non parlare dell’aumento dei vari bolli, sigarette, alcolici, alle tasse aeroportuali. Aumenti che comportano una perdita del valore di acquisto, ma che le statistiche non rilevano. Non è vero che gli aumenti dei prezzi hanno solo un aspetto psicologico, generando la cosiddetta «inflazione percepita», osserva Paolo Landi, segretario generale dell’Adiconsum. L’inflazione «percepita» (6-7%) è molto vicina a quella reale precisa, perché l’inflazione ufficiale è sempre meno attendibile, dovuto alle metodologie che rilevano solo in parte gli aumenti reali che subisce il consumatore. Per i centri di ricerca Istat e Eurostat l’inflazione si è attestata attorno al 2-2,5% annuo, pari al 6-7% nei tre anni dal cambio della moneta. Nello stesso periodo, secondo gli stessi istituti, le retribuzioni hanno avuto un aumento leggermente superiore all’inflazione ufficiale. Osserva l’Adiconsum: se i due dati fossero esatti non avrebbe dovuto esserci alcuna perdita del potere d’acquisto e calo dei consumi, poiché l’inflazione sarebbe stata bilanciata dall’aumento delle pensioni e delle retribuzioni.

La perdita del potere d’acquisto è la causa prima della caduta dei consumi, denunciata da commercianti, associazioni dei consumatori, sindacati tutti concordi nelle proteste. Colpa solo dell’euro? Qui i pareri sono discordi. L’unica cosa certa è che fare la spesa è sempre più un problema.

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