Dalle donne in difficoltà agli anziani soli, dai giovani in cerca di lavoro agli immigrati alle prese con i permessi di soggiorno. Ha toccato le fasce più deboli della popolazione il progetto «Più», acronimo che sta per «promozione dell’integrazione degli ultimi» messo a punto dalla Caritas della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro. Un anno di attività finanziate attraverso il bando 2006 dell’8 per mille della Cei che si sono articolate in quattro campi d’intervento: quello dell’accoglienza delle donne, quello dell’inserimento lavorativo attraverso i tirocini formativi, quello del monitoraggio di dieci famiglie a domicilio e quello della comunicazione. Il progetto che è stato coordinato il vice-direttore della Caritas diocesana, Andrea Dalla Verde, ha avuto come responsabile Manuela Esposito che è stata affiancata dall’operatrice Alice Gorelli.Le donneIl primo fronte d’intervento è stato legato all’accoglienza delle donne. In tutto ne sono state ospitate 17 senza badare che il passaporto fosse italiano, rumeno, nigeriano o russo. Le donne di passaggio o con la valigia in mano sono state accolte nella casa Caritas di via Fonte Veneziana. «Si è trattato di sistemazioni d’emergenza – spiega Manuela – che sono durate in media una settimana e che hanno avuto un picco nei mesi più freddi dell’anno». La richiesta era quella di un posto letto, di un pasto e di una doccia. Invece, la «prima accoglienza» si è svolta all’istituto «Thevenin» di Arezzo che ha messo a disposizione due posti per un mese l’uno. «Abbiamo offerto un’opportunità a donne che erano senza casa, soffrivano di disturbi psicologici o avevano problemi con la lingua – chiarisce Alice – Ed è stato proposto un cammino di accompagnamento seguito da una operatrice Caritas». Infine, la «seconda accoglienza» ha avuto come fulcro un «appartamento solidale» in via Cavour da cui sono passate quattro donne di cui tre con figli. Tre sono state straniere, una italiana. «La permanenza media è stata di sei mesi – spiega Manuela – Le ospiti che sono state scelte dopo una serie di colloqui nei centri di ascolto erano residenti ad Arezzo e avevano problemi con la casa o con il lavoro». Anche in questo caso le signore sono state seguite passo dopo passo dagli operatori Caritas e hanno vissuto in un’abitazione la cui gestione è stata comunitaria con la condivisione dei compiti e dei pasti. E i risultati si sono visti: una ragazza del Senegal ha aperto a Dakar una sartoria grazie a padre Arturo Buresti; una del Camerun ha raggiunto il fidanzato a Padova; una russa ha trovato un impiego. «E’ essenziale un lavoro di rete che coinvolga i servizi sociali, l’associazionismo e le Caritas parrocchiali», affermano Manuela e Alice.Il lavoroFar entrare nel mondo del lavoro chi lo ha lasciato da tempo e ha dietro le spalle un bagaglio di disagio. E’ stato l’obiettivo del secondo filone del progetto «Più» della Caritas diocesana. L’iniziativa che si è basata su un tirocinio formativo di tre mesi serviva per far imparare un mestiere a coloro che avevano difficoltà. La Caritas ha individuato le persone da coinvolgere e le categorie economiche della città si sono impegnate ad indicare le aziende. In tutto sono state quattro le persone coinvolte. Due le donne: una italiana, con un passato da tossicodipendente, ha lavorato in un autolavaggio e adesso è stata assunta come addetta alle pulizie dell’ospedale; l’altra, nigeriana, lavora come aiuto cuoco ed è incaricata della pulizia delle camere in un agriturismo. I due uomini, invece, uno italiano e l’altro dominicano, avevano dietro di sé problemi di droga e alcool e sono stati inseriti in due imprese della zona.Le famiglieDieci famiglie ai raggi X. Dall’autunno alla primavera di quest’anno la Caritas diocesana ha monitorato alcuni nuclei familiari di Arezzo. E’ una delle attività che rientrano all’interno del progetto «Più» che ha avuto come obiettivo la promozione dell’integrazione degli ultimi. «Le dieci famiglie sono state individuate in base ai bisogni», spiegano Manuela Esposito e Alice Gorelli, le due operatrici che hanno seguito l’attività. Sette sono state le famiglie italiane, le altre tre erano di nazionalità dominicana, marocchina e albanese. Fra i nuclei al centro dell’attenzione ci sono stati gli anziani soli, gli ex tossicodipendenti, le famiglie in stato di necessità, quelle alle prese con i problemi dell’immigrazione e dell’integrazione. «In nove mesi – spiega Alice – le famiglie sono state visitate tre volte per capire quali fossero le reali situazioni e per trovare le risposte migliori».Alcune erano già conosciute alla Caritas attraverso i centri di ascolto; altre potevano contare sul pagamento delle bollette che la Caritas offre; altre ancora erano alle prese con criticità o problemi di inserimento lavorativo. «Ciò che è emerso – spiega Manuela – è la difficoltà di muoversi sul territorio e di entrare in contatto con i servizi che vengono messi a disposizione». Per ora il monitoraggio ha vissuto la fase della sperimentazione. «Ma è stato molto utile – affermano le due operatrici – Ci ha permesso di uscire dalle quattro mura dei centri di ascolto ed avere un quadro più approfondito e concreto dei bisogni». E l’iniziativa si è portata dietro anche una convinzione: «Soltanto quando i problemi vengono affrontati in sinergia, con la collaborazione dei servizi sociali, possono essere risolti in modo efficace».Fra le dieci famiglie una parte ha partecipato al tirocinio formativo, un’altra parte ha usufruito dei supporti economici offerti dalla Caritas e un’altra parte ancora è stata aiutata nella regolarizzazione della loro posizione.«E’ stato in anno intenso», spiega Manuela tirando le somme del progetto. Molti gli spunti che sono emersi. «Occorre ampliare il contatto diretto col territorio – affermano Manuela e Alice – E c’è bisogno di scavare a fondo nella storia delle persone per poterle aiutare. Si tratta di un servizio costante».La comunicazioneL’ultimo segmento del progetto «Più» è stato realizzato col contributo dell’ufficio delle comunicazioni sociali della diocesi. E’ stato quello della comunicazione all’esterno degli obiettivi e dei risultati del progetto. Nelle prossime settimane verrà diffuso un dossier che illustra l’attività svolta. «Serve di far conoscere i bisogni – spiegano Manuela e Alice – E occorre stimolare il territorio per arrivare ad interventi sempre più adeguati». di Giacomo Gambassi