Italia
Esenzioni Imu, l’incognita dell’emendamento Monti
di Claudio Turrini
Nessuno ancora sa cosa preveda nei dettagli l’emendamento in tema di esenzioni Ici (oggi Imu), che il governo Monti presenterà probabilmente al decreto semplificazioni. Per ora possiamo giudicare solo le intenzioni espresse dal premier in uno scarno comunicato stampa, dove, ovviamente, non si cita mai la Chiesa. Perché nonostante che la campagna lanciata dai radicali abbia messo nel mirino solo la Chiesa cattolica, o meglio, come scrivono loro, il «Vaticano», in realtà le esenzioni riguardano una miriade di soggetti di varia natura e ispirazione.
Monti, da ex commissario europeo, sa bene come funziona la macchina comunitaria e vorrebbe neutralizzare la procedura d’infrazione aperta nel 2010 dal commissario Joaquin Almunia, dopo che una decina di precedenti esposti dei radicali italiani erano stati archiviati. Intendiamoci. Non è detto che questa procedura, che si deve concludere entro il prossimo maggio, arrivi a condannare l’Italia. Anzi, ci sono molti dubbi in proposito. Ma il rischio c’è, anche perché Almunia è esponente di quel socialismo spagnolo alla Zapatero, di stampo fortemente anticlericale. E il danno a quel punto sarebbe grosso, con una multa per l’Italia e l’obbligo di recuperare l’Ici non riscossa negli ultimi cinque anni.
Ecco allora la «pensata» di Monti, in linea con quel «rigore ed equità», scelto come cifra del suo governo. Del resto, di fronte alle campagne di stampa sollevate da radicali e massoni, i vertici della Chiesa italiana hanno ribadito più volte che non chiedono privilegi e che far chiarezza dove ci sono zone grigie è cosa buona e giusta. Oltretutto questa non è materia «pattizia», ma nella piena responsabilità del parlamento italiano.
In concreto, cosa vorrebbe fare Monti? Torniamo al comunicato ufficiale. L’esenzione Imu rimane per quegli «immobili nei quali si svolge in modo esclusivo un’attività non commerciale». Va invece abrogata la norma interpretativa Bersani-Prodi che permetteva l’esenzione anche agli immobili dove l’attività commerciale non fosse «prevalente». D’ora in avanti, sembra di capire, l’esenzione sarà «limitata alla sola frazione di unità nella quale si svolga l’attività di natura non commerciale». E per far questo verrà introdotto cito ancora dal comunicato stampa «un meccanismo di dichiarazione vincolata a direttive rigorose stabilite dal Ministro dell’economia e delle finanze circa l’individuazione del rapporto proporzionale tra attività commerciali e non commerciali esercitate all’interno di uno stesso immobile».
Ad oggi un immobile di proprietà di un ente no-profit, adibito ad una delle otto attività previste dalla legge del 1992 (assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive) e gestito direttamente da quell’ente, è esente dall’Imu. Lo è anche se in una parte di quell’immobile si svolge un’attività in forma commerciale, purché questa non sia «prevalente». Dopo le modifiche che vorrebbe introdurre Monti sarà esente solo per le parti non commerciali e pagherà per le altre. Detta così sembra una norma di giustizia e di buon senso. Tra l’altro favorirebbe chi oggi, svolgendo nell’immobile attività in forma «prevalentemente commerciale» non può godere di alcuna esenzione.
Facciamo un esempio concreto tra i più noti. A Firenze, la Diocesi è proprietaria del Convitto della Calza, dove ospita sacerdoti anziani autosufficienti. L’immobile fu ristrutturato per il Giubileo e adibito anche a centro congressi e struttura alberghiera. Ritenendo che quest’ultima attività fosse «prevalente», la Diocesi ha sempre pagato l’Ici sull’intero immobile, compresi chiesa e locali dove sono ospitati i sacerdoti. In futuro sembra di capire e il condizionale è davvero d’obbligo potrà chiedere l’esenzione per le aree non adibite ad attività commerciali. Viceversa quelle 150 Case del Popolo, affiliate all’Arci di Firenze, che fino ad oggi erano esenti, anche se gestivano una pizzeria o organizzavano un corso di danze caraibiche (a pagamento), dovranno dimostrare che nelle parti esenti non svolgono alcunché di commerciale o altrimenti pagare per intero l’Imu.
Ma le cose non sono così semplici. Il nodo è stabilire cosa si intenda per «attività commerciale». Il sasso lo lanciò la Corte di Cassazione nel 2005, chiedendo che ai due requisiti previsti dalla legge del 1992 (ente no profit e determinati settori di attività) se ne aggiungesse un terzo: che l’attività esente dall’Ici «non fosse «svolta, in concreto, con le modalità di un’attività commerciale». Nacque da qui l’esigenza di una norma chiarificatrice, per evitare una miriade di contenziosi. Prima intervenne il governo Berlusconi, ribadendo che l’esenzione spettava «a prescindere dalla natura eventualmente commerciale». L’anno successivo quello retto da Prodi. Che, nonostante in campagna elettorale avesse tuonato contro la norma voluta da Berlusconi, stabilì che l’esenzione Ici non decadeva per le attività «che non abbiano esclusivamente natura commerciale».
«Eventualmente commerciale» o «non esclusivamente commerciale» erano entrambi degli eufemismi all’italiana. Un’attività o è commerciale o non lo è. Come si fa a gestire una scuola o un ospedale senza modalità «commerciali»? Cioè senza prevedere in alcun modo un passaggio di denaro, sotto forma di stipendi, rimborsi spese o convenzioni con l’ente pubblico? La dettagliata circolare del ministero dell’economia del 26 gennaio 2009 precisava con molto buon senso che quel «non esclusivamente commerciale», introdotto dal governo Prodi, andava inteso «allorquando siano assenti gli elementi tipici dell’economia di mercato (quali il lucro soggettivo e la libera concorrenza), ma siano presenti le finalità di solidarietà sociale sottese alla norma di esenzione».
Ora, se il governo Monti si muoverà in questa direzione, precisando meglio la normativa e obbligando tutti i soggetti a presentare una dichiarazione Imu, anche se esenti, sarà davvero un passo in avanti. I Comuni potranno colpire i «furbetti» ovunque si annidino e chi svolge un’attività no-profit di rilievo sociale potrà continuare a farlo senza ulteriori penalizzazioni. Finalmente si porrà anche fine al balletto di cifre su quanto valgano le esenzioni al no-profit, con la gara a chi la spara più grossa. Se invece l’emendamento Monti sarà molto più restrittivo, negando l’esenzione a chi non svolge attività in forma completamente gratuita, allora saranno guai seri. Non per la Chiesa o «il Vaticano», come sperano i radicali. Ma per il Paese. Perché se il sistema del welfare tiene, nonostante tagli su tagli agli enti locali, è grazie a quel tessuto di assistenza garantito da onlus, ong, cooperative sociali e gruppi di volontariato.
P.S. Venerdì 24 febbraio il governo ha presentato in commissione Industria al Senato (dove è in discussione il dl sulle liberalizzazioni) un emendamento che riguarda le esenzioni all’Imu per gli enti no-profit. «Apprezzo molto la scelta del governo di aver proposto l’emendamento in commissione, quando i lavori sono ancora aperti. Ho verificato la compatibilità del testo, lo ritengo compatibile». ha dichiarato il presidente del Senato, Renato Schifani. Appena sarà reso noto il testo potremo capire in che direzione si è mosso Monti.
Il comunicato stampa del governo
Riportiamo il comunicato stampa del governo in merito all’emendamento sulle esenzioni Ici-Imu agli enti no-profit.