Lettere in redazione
Esenzione Ici, un «regalo» alla Chiesa?
Nella domenica in cui Gesù invita i suoi seguaci a pagare il tributo come tutti i cittadini, viene spontaneo replicare al fondo di Claudio Turrini (n. 36 di Toscanaoggi), in cui con tanta veemenza si difende il tentativo ora riproposto di ampliare l’ambito delle esenzioni fiscali in favore degli enti religiosi. Questo perché è veramente arduo negare che si tratti di «ampliamento». La legge del 1992, infatti, dispone alcune esenzioni, ma la Corte di Cassazione (a cui spetta il compito di assicurare la corretta interpretazione della legge) ha deciso che tali esenzioni non comprendono gli immobili ad uso «oggettivamente commerciale». Ciò significa che la legge attualmente vigente non esonera dall’Ici tali immobili; farli rientrare nell’esonero significa dunque non «ristabilire» la legge del 1992, ma modificarla con un ampliamento dell’esenzione.
Se questo è vero, è vero anche che la norma proposta diminuisce le entrate dei Comuni, e che essa rischia di apparire una captatio benevolentiae da parte di chi l’ha formulata. Non ci si può lamentare se qualcuno lo fa rilevare.
Ho molto apprezzato l’intervento di chiarimento in merito all’esenzione Ici sugli immobili della Chiesa (Toscanaoggi n. 38 del 23 ottobre 2005). Non ho capito bene, però, quel passaggio della conclusione in cui richiama il motto «non disturbate il manovratore»; a chi è riferito?
La vicenda della esenzione da concedere a taluni beni immobili delle comunità religiose rimette in discussione una delle più discutibili tra le imposte italiane, l’Imposta Comunale sugli Immobili. Ricordo benissimo quando, dopo le richieste formulate in un convegno a Viareggio, fu promossa questa tassa, dopo l’infelice esperimento di una precedente imposta comunale sugli immobili..
Nessuno ricordava che l’avversione alla proprietà immobiliare privata, sia giusta o no, risaliva a lontani regimi. Si trattava di reperire fondi per la urbanizzazione dei territori. Ma come si fa a dire se una strada serva solo a chi vi abiti o a chiunque vi transiti? A parere di alcuni sarebbe stato meglio aggiungere un’addizionale all’Irpef o imposta generale sulle entrate in modo da ripartire le tasse davvero fra tutti. Si scelse invece di lasciare mano libera ai Comuni con conseguenze che lasciano davvero perplessi e devono fare riflettere quanti aspirano a un’Italia federale e divisa.
Cominciate con lo sfogliare il manuale (di editrici private) contenente le migliaia di norme comunali sull’Imposta comunale. Più i comuni sono poveri, spesso più alta è la quota da pagare. Mi hanno detto che anche gli enti previdenziali, come l’INPS, che hanno investito in immobili (basta pensare all’Eur di Roma) devono pagare questa tassa che assorbe buona parte dei proventi degli affitti. Quei soldi che dovevano servire a pagare le pensioni finiscono, mi è stato detto, in gran parte ai comuni di Milano e Roma.
Perché non sono ripartiti fra tutti i comuni d’Italia? Per rimediare a queste e altre incongruenze molti comuni hanno fatto ricorso a correttivi e hanno finito per complicare il calcolo della tassa con la conseguenza che anche per la più modesta delle abitazioni occorre interpellare un commercialista.