Opinioni & Commenti
Eroi della santità prima ancora che buoni cittadini
di Giuseppe Savagnone
Il discorso di Benedetto XVI all’Azione cattolica, in occasione dei 140 anni dalla sua fondazione, ha voluto evidenziare il punto essenziale dell’esperienza laicale cristiana, che è la ricerca della santità. Troppo spesso, oggi, si legge l’impegno della Chiesa in chiave esclusivamente etica, sociale o politica: Benedetto XVI ha ricordato che il senso di una realtà ecclesiale come l’Ac è innanzi tutto «fare della propria vita una testimonianza di comunione con il Signore, che si trasformi in un autentico capolavoro di santità».
Per molto tempo, in passato, si era ritenuto che la pienezza della vita spirituale fosse riservata a coloro che facevano la scelta del sacerdozio o quella della vita monastica. Proprio l’esperienza dell’Ac ha mostrato con i fatti l’infondatezza di questo pregiudizio. Non per nulla il Papa ha richiamato, in apertura, le figure che di questa santità laica sono state testimoni nel corso di 140 anni di storia: «Siete venuti a Roma in spirituale compagnia dei vostri numerosi santi, beati, venerabili e servi di Dio». E a queste figure ha fatto riferimento, concludendo il suo discorso: «Cari amici dell’Azione cattolica italiana, nel cammino che avete davanti non siete soli: vi accompagnano i vostri santi».
Che questa sia la chiave di lettura dell’intero messaggio lo conferma, peraltro, l’insistenza, al centro di esso, sulla «radicalità evangelica» e sulla necessità di un «eroismo della santità», oggi in particolare, «in una Chiesa chiamata a prove anche molto esigenti di fedeltà e tentata di adattamento». Insomma, Benedetto XVI ha voluto riportare l’impegno dei membri dell’Ac ai suoi termini essenziali. Senza ricerca della santità anche le pur necessarie battaglie civili dei cristiani sarebbero svuotate di senso e veicolerebbero, al massimo, un insieme di valori degnissimi, ma non caratteristici della prospettiva cristiana.
Ciò non comporta affatto, agli occhi del Papa, la rinunzia, da parte dei fedeli laici, al compito di «servire disinteressatamente la causa del bene comune, per l’edificazione di un giusto ordine della società e dello Stato». Santità personale e impegno pubblico non sono in alternativa, anzi si esigono reciprocamente. Proprio di questa intima connessione la storia dell’Ac è viva testimonianza. E ricrearla è oggi tanto più urgente in quanto spesso le due cose, nella società italiana e in particolare nella classe politica, si presentano fortemente divaricate.
Ma l’impegno politico per il bene comune ne suppone un altro, che ne condiziona il successo: il Papa ha dato un posto centrale, nel suo discorso all’«emergenza educativa», che esige la presenza, oggi, in Italia, di «annunciatori instancabili ed educatori preparati e generosi». Si tratta di un tema che da qualche tempo Benedetto XVI mostra di avere particolarmente a cuore e che non si limita all’aspetto strettamente religioso, ma coinvolge in tutta la sua vastità la questione della trasmissione delle verità e dei valori di qualunque ordine da una generazione all’altra. Noi assistiamo oggi a uno smarrimento delle giovani generazioni che deriva dall’incapacità, da parte degli adulti, di trasmettere loro, in tutti i campi, messaggi significativi.
Il Papa ha affidato ai membri dell’Ac il compito prioritario di svolgere questa funzione culturale ed educativa, sforzandosi, in una società dominata dalla logica irrazionale del relativismo, del consumismo e dell’edonismo, di «allargare gli spazi della razionalità nel segno di una fede amica dell’intelligenza, sia nell’ambito di una cultura popolare e diffusa, sia in quello di una ricerca più elaborata e riflessa». Per creare un’alternativa a questo mondo non umano, prima che non cristiano. Questo il mandato. E i centomila presenti hanno detto con entusiasmo il loro sì. Ora questo assenso dovrà tradursi nella loro vita di ogni giorno, a casa, a scuola, sul lavoro. Ma essi non sono soli: i santi che li hanno preceduti li benedicono e li accompagnano nel loro cammino.