Italia

Erba, dalla banalità alla strage

A Erba, cittadina tra Como e Lecco di poco più di 16mila abitanti, la sera dell’11 dicembre scorso sono stati uccisi a coltellate e sprangate Raffaella Castagna, (30 anni) il figlioletto Youssef Marzouk (2), la nonna del bimbo, Paola Galli (57), e la vicina di casa, Valeria Cherubini (55), accorsa in aiuto, con il marito Mario Frigerio (65), ferito gravemente ma vivo. Della strage si sono accusati i coniugi Olindo Romano (45 anni) e Rosa Bazzi (43), vicini di casa della famiglia Castagna-Marzouk, con la quale i rapporti si erano deteriorati a tal punto che, il 13 dicembre, due giorni dopo la tragedia, le due famiglie sarebbero dovute comparire davanti al giudice di pace per cercare di ricomporre l’ennesima lite. Dopo la confessione dei coniugi Romano, la Procura di Como ha concesso il nulla osta ai funerali delle quattro vittime. Quello di Raffaella Castagna e del figlio Youssef, si svolgeranno in Tunisia, terra natale del marito Azouz Marzouk (28 anni), secondo il rito islamico, religione alla quale la donna si era convertita dopo il matrimonio, celebrato nel 2004. A Erba, invece, sono previste le esequie di Paola Galli, cui parteciperà mons. Bruno Molinari, vicario episcopale di Lecco, sabato 13 gennaio alle 10.30 nella prepositurale. Infine, il funerale di Valeria Cherubini sarà celebrato, sempre sabato, a Montorfano, paese tra Erba e Como.

LA FATICA DELLA CONVIVENZA. “Molto probabilmente, anche questa triste storia è cominciata con una banalità: un tappeto sbattuto, il volume della radio troppo alto… Nessuno dei protagonisti si è fermato a pensare al senso che questi comportamenti avevano per chi li compiva. Così, si è lasciato spazio all’escalation degli eventi. Fino all’atto finale”. La psicologa MANUELA TOMISICH, docente di mediazione comunitaria all’Università Cattolica di Milano, dove da tempo è attivo un laboratorio per lo studio della “fatica della convivenza”, cerca di inquadrare così, in un possibile orizzonte di senso, la strage di Erba. “Il primo passo da compiere – osserva Tomisich – è riconoscere l’altro come persona, prima che come autore di un dispetto, per trovare beni comuni e ricostruire un legame sociale e di comunità. Oggi, però – aggiunge la docente – non c’è mai tempo per garantire questi spazi di socialità e non si ha voglia di sobbarcarsi la fatica di fare i conti con la diversità”.

PAURA DELL’ALTRO. A prevalere è allora la paura dell’altro, visto come potenziale fonte di pericolo e non, invece, come motivo di curiosità e di stimolo. “È sempre più difficile dire: mi fido – prosegue la docente – e riconoscere che, anche nel conflitto, ci può essere il modo di fermarsi a pensare alle cause che l’hanno provocato. Forse, se ci comportassimo così ci accorgeremmo che anche un litigio può essere fonte di nuova informazione sulla persona che mi sta di fronte. Perché non basta condividere uno spazio comune, ma è necessario anche un pensiero su come lo spazio viene abitato. Bisogna smetterla di pensare che la comunità sia un qualcosa di dato che viene normato esclusivamente dalle leggi. Queste ci sono e sono importanti, ma la buona conduzione di una comunità dipende anche dai comportamenti di ciascuno”. Ma, in una società che va sempre di fretta, ricorda Tomisich, “le persone non parlano, urlano; si è persa la capacità di ascolto, perché non si ha mai tempo”. “Prima o poi – conclude la psicologa della Cattolica – ci si dovrà però fermare a pensare verso che cosa si corre e qual è il baricentro di tutto questo correre. È necessaria una rivoluzione culturale, perchè non si può ricondurre tutto al denaro. La persona vale di più”.

SUPERARE L’INDIVIDUALISMO. Preoccupata è anche l’analisi del vicario episcopale della zona di Lecco, mons. BRUNO MOLINARI, che ha trasmesso alla comunità erbese il cordoglio e la vicinanza del cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano. “Nei rapporti sociali – dice il vicario, commentando l’epilogo della strage di Erba – assistiamo a una crescente e montante intolleranza, che ha azzerato la soglia minima della pazienza”. “Faccio mio lo sgomento e lo sconcerto della gente – aggiunge mons. Molinari – e chiedo a tutti di pregare per capire che cosa può aver scatenato una violenza del genere. Tutti i giorni assistiamo al venire meno, allo sgretolarsi di valori fondamentali che, fino a ieri, davamo per scontati, il primo dei quali è proprio il valore della vita umana”. Sono molteplici i segnali di questa deriva, che annulla la “capacità di prossimità che si fa vigilanza sociale”. “A questo riguardo – conclude il vicario – la Chiesa locale è chiamata ad educare al valore dell’essere comunità, superando l’individualismo e un esasperato principio della privacy, che ci portano a rinchiuderci nel nostro piccolo particolare. Soltanto un tessuto sociale sano e aperto all’altro può, invece, prevenire tragedie così grandi”.a cura di Paolo Ferrario