Firenze

Epifania, Gambelli: “Nelle parrocchie si preghi per la pace”

Di seguito il testo dell'omelia proclamata questa mattina in Cattedrale dall'Arcivescovo di Firenze, mons. Gherardo Gambelli, nella Solennità dell'Epifania

mons. Gherardo Gambelli (Foto archivio)

“Da un po’ di tempo c’è un gruppo di cristiani di varie confessioni che si impegna ogni prima domenica del mese a pregare per la pace nel mondo. Vorrei incoraggiare le parrocchie e le comunità della nostra Diocesi a aderire a questa iniziativa (“Cristiani per la pace”), soprattutto in questo tempo in cui corriamo il terribile rischio di assuefarci ai conflitti”. È l’invito dell’arcivescovo di Firenze Gherardo Gambelli, nell’omelia durante la Messa celebrata in cattedrale nella festa dell’Epifania. Ecco il testo completo.

Celebriamo oggi la Solennità dell’Epifania, cioè della manifestazione della gloria di Dio che si è rivelata in Gesù Messia d’Israele e Salvatore del mondo. Come abbiamo ascoltato nel solenne annuncio del giorno di Pasqua, la gloria del Signore continua a manifestarsi, soprattutto nella santa liturgia in cui ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza.

Attraverso l’ascolto della Parola di Dio e la celebrazione dei sacramenti noi ritroviamo le ragioni per sperare nel compimento della redenzione che coinciderà con il ritorno glorioso del Signore Gesù. La salvezza è per tutte le genti e ognuno di noi, lasciandosi affascinare dalla bellezza dell’amore di Dio, può trovare la sua vera identità di discepolo-missionario diventando strumento della Sua benedizione per tutte le creature.

I vangeli, come gli altri libri biblici non devono essere letti come dei manuali di storia, il loro intento è principalmente teologico. Gli evangelisti, più che informarci su Gesù, vogliono formarci, insegnandoci ad accogliere Gesù nella nostra vita. Si suppone che i primi destinatari del Vangelo di Matteo fossero dei cristiani provenienti dal mondo giudaico, chiamati a raccogliere la sfida non semplice della convivenza con i cristiani provenienti dal mondo pagano.

Dietro le figure dei capi dei sacerdoti, degli scribi e di Erode da una parte e quella dei magi dall’altra c’è molto probabilmente un’allusione a questa comunità mista, chiamata a riconoscere Gesù nell’accoglienza reciproca, nella condivisione delle ricchezze di ogni cultura.

Il testo si gioca molto su questo contrasto fra coloro che sono vicini ma in realtà sono lontani e coloro che sono lontani, ma in realtà sono vicini. Tra Gerusalemme e Betlemme ci sono solo 8 km che si percorrono in un’ora e mezzo a piedi. Gli scribi, i sommi sacerdoti ed Erode, a differenza dei magi, sanno che è quello il luogo dove deve nascere il Messia, ma non fanno nemmeno un piccolo passo per andare a incontrarlo. Potranno farlo solo convertendosi, imparando che la realtà è più importante dell’idea. Ci soffermiamo su tre punti del testo che abbiamo ascoltato: il turbamento di Erode, la gioia dei magi, l’altra strada per ritornare a casa.

È interessante osservare che, quando Erode si sente rivolgere dai magi la domanda: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?”, resta turbato e con lui tutta Gerusalemme. L’atteggiamento di Erode somiglia molto a quello del faraone quando incontra Mosè nel libro dell’Esodo. Il suo turbamento manifesta il disagio dell’uomo inautentico, che confonde la felicità con il possesso del potere della gloria umana e del denaro.

Il fatto che tutta Gerusalemme viva questo stesso disagio rivela il motivo per cui tante situazioni di ingiustizia nel mondo si perpetuano, facendo leva sulla complicità di tante persone dalla coscienza anestetizzata. Un proverbio della tradizione ebraica dice che per il Signore fu più facile far uscire Israele dall’Egitto, che non l’Egitto dal cuore d’Israele. Nel cuore di ognuno di noi c’è l’Egitto, vale a dire quella mondanità spirituale che ci porta a pensare che le cose vadano bene nel mondo, quando vanno bene per noi. È importante mettersi in ascolto di questo turbamento, riconoscendolo come un campanello di allarme di un sistema di sicurezza che il Signore ha previsto per salvarci dal male. Nel Nuovo Testamento la vergogna provata per i peccati segna l’inizio della conversione. Pensiamo ad esempio al figlio minore della parabola del Padre misericordioso, che rientra in sé stesso quando si ritrova a pascolare i porci desideroso di saziarsi delle loro carrube.

Papa Francesco ci invita a questo coraggio della conversione nel riconoscimento dei nostri peccati: “Questo è il momento per dire a Gesù Cristo: «Signore, mi sono lasciato ingannare, in mille maniere sono fuggito dal tuo amore, però sono qui un’altra volta per rinnovare la mia alleanza con te. Ho bisogno di te. Riscattami di nuovo Signore, accettami ancora una volta fra le tue braccia redentrici». Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci siamo perduti! Insisto ancora una volta: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui che ci ha invitato a perdonare «settanta volte sette» (Mt 18,22) ci dà l’esempio: Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile” (EG 3).

I magi, dopo aver ascoltato la Parola dei profeti si mettono in cammino ed è allora che la stella riappare, suscitando in loro una grandissima gioia. Abbiamo da poco iniziato il Giubileo della speranza e tutti sentiamo quanto bisogno abbiamo oggi nel nostro mondo di questa virtù. La storia dei magi ci rivela che la speranza si fonda sulla fede e si nutre della carità. San Giovanni nella sua Prima Lettera ci ricorda che chi non ama il proprio fratello cammina nelle tenebre (1 Gv 2,11). L’amore che sostiene la speranza possiamo viverlo, oltreché nei gesti di carità anche nella preghiera di intercessione per tutti i nostri fratelli e sorelle che sono nella prova. Da un po’ di tempo c’è un gruppo di cristiani di varie confessioni che si impegna ogni prima domenica del mese a pregare per la pace nel mondo. Vorrei incoraggiare le parrocchie e le comunità della nostra Diocesi a aderire a questa iniziativa (“Cristiani per la pace”), soprattutto in questo tempo in cui corriamo il terribile rischio di assuefarci ai conflitti.

Dopo l’incontro con Gesù e Maria sua madre, i magi fanno ritorno al lor paese per un’altra strada. All’origine di questo cambiamento di cammino c’è un sogno, grazie al quale i magi capiscono che dopo aver offerto al Bambino i loro doni, sono chiamati ora a fare della loro stessa vita un dono. Tutto ciò suppone il coraggio di disobbedire alle logiche egoistiche di questo mondo e più in generale a tutte quelle paure che ci tengono prigionieri.

Ai giovani che venivano da lui per la prima volta, Rabbi Bunam era solito raccontare la storia di Rabbi Eisik, figlio di Rabbi Jekel di Cracovia.

“Dopo anni di dura miseria, che però non avevano scosso la sua fiducia in Dio, Eisik ricevette in sogno l’ordine di andare a Praga per cercare un tesoro sotto il ponte che conduce al palazzo reale. Quando il sogno si ripeté per la terza volta, Eisik si mise in cammino e raggiunse a piedi Praga. Ma il ponte era sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle ed egli non ebbe il coraggio di scavare nel luogo indicato. Tuttavia, tornava al ponte tutte le mattine, girandovi attorno fino a sera. Alla fine, il capitano delle guardie, che aveva notato il suo andirivieni, gli si avvicinò e gli chiese amichevolmente se avesse perso qualcosa o se aspettasse qualcuno. Eisik gli raccontò il sogno che lo aveva spinto fin lì dal suo lontano paese. Il capitano scoppiò a ridere, dicendo: e tu, poveraccio, per dar retta a un sogno sei venuto fin qui a piedi? Ah, ah, ah! Stai fresco a fidarti dei sogni! Allora anch’io avrei dovuto mettermi in cammino per obbedire a un sogno fatto, e andare fino a Cracovia, in casa di un ebreo, un certo Eisik, figlio di Jekel per cercare un tesoro sotto la stufa! Eisik, figlio di Jekel, scherzi? Mi vedo proprio a entrare, mettere a soqquadro tutte le case in una città in cui metà degli ebrei si chiamano Eisik e l’altra metà Jekel! E rise nuovamente. Eisik lo salutò, tornò a casa sua e dissotterrò quel tesoro con il quale costruì la sinagoga intitolata “La Scuola di Rabbi Eisik, Figlio di Rabbi Jekel.”

Alla fine del racconto Rabbi Bunam spiegava la sua morale: “C’è un tesoro che non si può trovare in nessuna parte del mondo, eppure c’è un luogo in cui lo si può trovare: là dove noi viviamo, dove si svolge la nostra esistenza.”

C’è un tesoro davanti alla nostra porta, preghiamo il Signore perché possiamo avere il coraggio di scavare in quel luogo per trovarlo e aver poi la gioia di condividerlo con tutti i nostri fratelli e sorelle.

Cattedrale di Santa Maria del Fiore

6 gennaio 2025

Epifania del Signore