Cultura & Società
Enti lirici, i mali vecchi e nuovi del Comunale di Firenze
Il Consiglio di amministrazione del Teatro è sempre stato considerato come il «Senato» della cultura fiorentina e i Sovrintendenti come l’apice della cultura musicale italiana. Solo «La Scala» di Milano aveva un prestigio superiore e per certi versi uguale al Teatro Comunale fiorentino.
L’orchestra del Maggio musicale (il direttore principale è il maestro Zubin Metha) è considerata una delle più importanti. Soprattutto per la lirica. Assieme a quella di S. Cecilia a Roma, ed ai Filarmonici di Vienna e Berlino, può essere considerata tra le prime nel mondo. Anche i Sovrintendenti sono stati quasi sempre, come già detto, all’altezza del compito. Da Siciliani a Paone, da Bogiankino a Giorgio Vidusso. Quello che più di tutti ha unito la cultura musicale alla buona amministrazione è stato sicuramente Giorgio Vidusso. Un triestino di cultura asburgica che amava la musica con un occhio di riguardo ai conti.
Prendo proprio Giorgio Vidusso ad esempio perché è stato lui a svelare uno dei più brutti vizi del Teatro Comunale. Vidusso documentò in modo inoppugnabile che il Teatro Comunale del capoluogo toscano pagava gli ingaggi più alti ai direttori d’orchestra ed ai cantanti. Più alti degli altri grandi Teatri del mondo: Londra, Parigi, Nuova York, Vienna, Berlino. Chiaramente a Firenze c’è sempre stato qualcuno che faceva (è la migliore ipotesi e il sospetto meno grave) il munifico con i soldi pubblici e non badava a spese per gli allestimenti scenici, i costumi, i cantanti ed i direttori d’orchestra per le opere liriche. Ovviamente la responsabilità di queste decisioni, come raccontava Vidusso, sono di quasi esclusiva competenza del Sovrintendente e del Direttore artistico. Il Consiglio di amministrazione ha solo, o quasi, un compito di ratifica di queste scelte. L’unico vero potere era, ed è, per il Consiglio di amministrazione la nomina del Sovrintendente e del Direttore artistico.
Una volta fatte queste scelte il Cda ha un ruolo di controllo generale ma difficilmente può entrare nelle scelte artistiche e nei relativi costi. Negli ultimi tempi il livello della «governance» del Teatro si è molto indebolito. C’è nel Teatro una forte presenza sindacale di sinistra che dietro la bandiera della cultura difende molti privilegi corporativi dei dipendenti. Nell’ultimo Consiglio di amministrazione, quello commissariato dal ministro per i Beni e le attività culturali Rocco Buttiglione, c’è stato un duro scontro proprio sulla «governance» e non solo su chi nominare come Sovrintendente al posto del dimissionario Van Straten.
Un uomo solo non può risolvere i problemi del Teatro. Soprattutto dopo la trasformazione degli Enti lirici in Fondazioni dove i «privati» dovevano tirare fuori i soldi per mantenere il Teatro. Firenze è una città avara ed i suoi abitanti più ricchi sono diventati tali solo sfruttandola. Quindi c’è poco da aspettarsi dalla cosiddetta classe imprenditoriale e finanziaria cittadina e regionale. Per la verità il Teatro è sempre stato pagato o dal Principe o dalla Comunità. Questo ci insegna la storia civile e musicale dell’Europa e del mondo. Per questa ragione le Fondazioni andrebbero o riformate o abolite. Nessuno, credo, vorrà chiudere i Teatri lirici che hanno rappresentato e rappresentano il meglio della cultura italiana.
Se nel mondo si parla italiano questo lo si deve alla Chiesa cattolica (che ha il suo centro in Roma) alla Storia dell’arte e alla Musica. Anche Mozart musicava, tanto per fare un esempio aulico, opere scritte in italiano dal suo librettista più famoso, l’italiano Da Ponte. Allora per salvare il Teatro Comunale il Commissario nominato dal ministro Rocco Buttiglione, Salvatore Nastasi, non deve solo nominare un buon Sovrintendente ma deve anche assicurare una nuova «governance» al Teatro che rispecchi veramente la pluralità della cultura e del pensiero. È il minimo che si può chiedere, visto che comunque il Teatro vivrà sempre di soldi pubblici e quindi con il contributo di tutti i cittadini indipendentemente dal loro credo politico.
Ventotto recite d’opera, trentaquattro concerti, trenta serate di balletto, e ancora conferenze, incontri, conversazioni, spettacoli di musica e danza per le scuole. Questa, in cifre, la stagione 2005-2006 del Teatro del Maggio musicale fiorentino che si inaugura il 25 settembre per concludersi il 7 aprile, alla vigilia del 69° Maggio musicale. Il titolo d’apertura (dal 25 settembre al 4 ottobre) è un’opera rivoluzionaria degli anni giovanili di Giuseppe Verdi, «I lombardi alla prima crociata»: manca dal 1948 e viene presentata in un nuovo allestimento per la direzione di Roberto Abbado, che torna al Teatro del Maggio dopo il grande successo di un altro titolo verdiano, «Attila», e la regia dello scozzese Paul Curran, al suo debutto sulle scene fiorentine. Il regista promette per i conflitti storici e religiosi su cui si focalizza il melodramma una lettura moderna ed attualizzata, tutta incentrata sugli orrori della guerra; di grande livello è il cast vocale con Dimitra Theodossiou, Ramón Vargas e Erwin Schrott l’applaudito Don Giovanni dell’ultimo Maggio , nei ruoli principali.