E’ sempre più evidente che la scelta dell’Italia di rinunciare al nucleare sta causando gravi problemi alla nostra economia e anche alle nostre tasche. Sull’onda dell’emozione per quello che era successo a Chernobyl nell’aprile del 1986, gli italiani si lasciarono convincere dagli ambientalisti della pericolosità del nucleare, come se le nostre frontiere fossero capaci di difenderci da possibili incidenti nucleari in Francia o Svizzera (per citare solo i più vicini). Quello che avviene è sotto gli occhi di tutti: dipendiamo totalmente dall’estero e siamo anche costretti ad importare energia elettrica dalle centrali nucleari vicine. Dopo quello che è successo in Ucraina con il gas russo è sempre più urgente ritornare al più presto al nucleare.Lettera firmataGrossetoIn quello che scrive c’è del vero. In effetti i risultati del referendum dell’8 e 9 novembre 1987 risentirono molto dell’impressione causata dall’incidente di Chernobyl e ci portarono fuori dal nucleare senza aver riflettuto a sufficienza sulle conseguenze che questo avrebbe comportato. I tre quesiti «nucleari» erano come al solito poco chiari, affrontando il problema molto di traverso. In pratica il primo chiedeva di abrogare la norma che conferiva al Cipe la decisione sulla localizzazione delle centrali quando gli enti locali non trovavano un accordo (80% di sì), il secondo di togliere il contributo ai comuni che ospitavano centrali nucleari o a carbone (79% di sì) e il terzo di revocare la possibilità per l’Enel di costruire o gestire centrali nucleari all’estero (che ebbe il 71% di sì). Come si vede nessuno dei tre quesiti chiedeva chiaramente se gli italiani volevano rinunciare alle centrali nucleari. Ma tutti lessero quei risultati come un chiaro «no». Fu così che i governi di allora (Goria e poi De Mita) sospesero i lavori della centrale di Trino 2 (Vercelli) e deliberarono la moratoria nell’utilizzo del nucleare quale fonte energetica. Anche se Caorso, la più grossa delle quattro centrali allora in esercizio, è stata spenta solo nel dicembre del 2000.Oggi, a quasi 20 anni di distanza, sono in molti a chiedere di tornare a costruire centrali nucleari. Lo ha detto di recente, anche il presidente del Consiglio. Ma ho l’impressione che siano solo discorsi, perché come ha giustamente osservato pochi giorni fa a Grosseto il ministro dell’ambiente Altero Matteoli, la soluzione non è praticabile perché «tornare a questo tipo di produzione richiederebbe tempi troppi lunghi e tutto questo tempo noi non l’abbiamo». «Per riaprire una centrale, fra progettazione, realizzazione e permessi, ha chiarito il ministro rischieremmo di dover attendere 20 anni, mentre a noi servono soluzioni a breve termine, non più di tre anni».Per questo Matteoli pensa piuttosto «alle energie rinnovabili affiancate dal gas e dal carbone pulito, visto che per mettere in funzione impianti del genere potrebbero essere sufficienti 24-30 mesi». Aggiungo che la sindrome di Nimby («Not in my back yard», «non nel mio giardino») ormai diffusa a tutti i livelli, bloccherebbe già in partenza qualsiasi ipotesi di localizzazione.Claudio Turrini