Lettere in redazione
Eluana nelle braccia di un Dio misericordioso
Ma tutto ciò fa pensare, però, anche per altri motivi. Come un piccolo strappo in un tessuto, se non ricucito, può diventare nel tempo una lacerazione sempre più ampia, anche questa vicenda può aprire scenari che, francamente, mi rattristano molto e mi preoccupano (gli addetti ai lavori direbbero che essa ha creato un «precedente giuridico»). Penso a tante persone che non sanno più riconoscere nemmeno i propri cari, che se non aiutate non riescono neppure a portare una posata alla bocca per mangiare. Queste persone che non sono più belle, forti e vigorose da non potersi «godere» la vita, che fine faranno? Anzi, che fine faremo, dato che non è necessario aver subito un incidente stradale, basta il trascorrere del tempo e tutti potremo essere così. Ma tutti coloro che hanno accolto in senso positivo la sentenza, non hanno esitato a stracciarsi le vesti (e a schiamazzare in piazza) in difesa della Costituzione, che sembrava essere messa in discussione dal politico di turno. Ma io leggo di garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo e di riconoscimento e tutela della dignità della persona nella Costituzione. E allora?
Personalmente, spero di trovare persone di buon cuore che possano assistermi e avere una parola di conforto se le vicende della vita mi porteranno a situazioni di questo genere, e spero di non incappare in leggi, sentenze, decreti o protocolli medici che, definendo la linea di confine tra vita e morte, si sostituiscano a quel senso di umanità che dovrebbe guidare l’uomo nelle sue scelte. E, ancor di più, spero che medici, giudici, uomini politici di varia estrazione, fosse anche la più alta carica dello Stato, non si occupino del mio caso se il risultato deve essere quello che abbiamo avuto sotto gli occhi in questi giorni.
Peraltro in questo particolare momento alcune domande mi assillano: Come si può considerare l’assunzione di cibo e acqua accanimento terapeutico? Normalmente servono nei piccoli e giovani per far sviluppare e crescere il corpo e negli adulti a mantenerlo eutrofico.
La seconda riguarda chi debba prendere provvedimenti in situazioni ai limiti come nei momenti di fine vita. Rimango estremamente sconcertato che nell’attuale fase di enorme progresso scientifico, quando si dovrebbero richiedere conoscenze specifiche qualificate, la decisione e l’ultima parola venga data a soggetti estranei quali: legislatori, giudici o familiari e venga emarginato proprio colui che ,per le sue competenze, dovrebbe prendere la decisione più specifica e idonea: il Medico.
Egli è l’unico che, per aver instaurato un sereno rapporto empatico col paziente, può in scienza e coscienza esprimere l’ultimo parere che deve sempre rispecchiare i recenti risultati raggiunti dalla Scienza ed essere in linea col Codice deontologico «Giammai, anche se sollecitato da premurosi familiari, somministrerò sostanze che possano indurre la morte».
A mio parere la politica ha scorto nella situazione la possibilità di rilanciare i propri intenti (in questo «par condicio»), i giudici hanno dato per certo quello che per me, è solo presumibile a infine il padre: come può un padre auspicare la morte della figlia a conoscere già le parole di commento quando questa sia giunta; «Eluana, ce l’abbiamo fatta». Le domande che le rivolgo sono le seguenti.
1) Per ritenere valida una volontà basta la dichiarazione verbale?
2) Perché la discussione sul decreto legge proposto dal governo non è avvenuta con procedura di urgenza, lasciando così trascorrere un tempo prezioso dal momento che la sospensione del nutrimento era già iniziata?
3) Perché Napolitano non ha firmato? )chiedo per ignoranza, non per polemica).
4) Cosa significa che la causa di morte è «compatibile» con la sospensione del nutrimento. Non era meglio dire, meno farisaicamente, «è dovuta a…».
Se Beppino Englaro ha accettato o voluto che sua figlia diventasse un simbolo per una battaglia ideologica, ora non può pretendere il silenzio. Credo che a pensarla così siano in tanti, al di là delle convinzioni religiose o politiche.
K. F.
Le parole più belle e commoventi su Eluana Englaro sono state, a mio parere, quelle dette dalla suora che, insieme con le consorelle «misericordine» mai nome fu più appropriato l’ha assistita e soprattutto amata. Al giornalista che le chiedeva cosa si sentiva di dire a Eluana, che attendeva a Udine una morte annunciata, ha risposto: «Eluana, qualunque cosa ti accada, sappi che ti attende a braccia spalancate un Dio misericordioso». Sono parole dettate certo dalla fede, ma da una fede cha ama la terra e che responsabilizza e impegna. Proprio per questo il caso non può chiudersi con un’archiviazione motivata da «sentenza eseguita», sulla cui legittimità, del testo, ha espresso moti dubbi il magistrato Giuseppe Anzani nell’editoriale del numero scorso. Anzi è il caso di impegnarsi perché un fatto analogo non possa avvenire più in Italia.
Io penso che la prima pista d’impegno sia quella di assicurare alle famiglie che, magari da molti anni portano un peso tanto doloroso e gravoso, un impegno e una assistenza concreta da parte delle istituzioni e del volontariato. Spesso certe decisioni nascono nei familiari dalla sensazione, che spesso è realtà, di essere, soli e quindi incapaci di portare questo fardello.
C’è poi da sollecitare i nostri parlamentari perché al più presto venga varata una legge sul così detto «fine vita», che tuteli la vita e la salute dei cittadini, ma sancisca il divieto assoluto di eutanasia e di suicidio assistito, che è estraneo alla nostra Costituzione e alla nostra civiltà. Perché questo è in ultima analisi il disegno di gruppi minoritari ma forti: introdurre anche in Italia l’eutanasia presentata come tappa di civiltà. È anche questa una battaglia culturale che va condotta non solo in nome di valori religiosi: la promozione e difesa della vita è un impegno che può coinvolgere anche larghe fasce di «laici» pensosi e preoccupati delle possibili conseguenze di certe derive laiciste. C’è poi un impegno che ci coinvolge tutti. La vita si promuove e si valorizza anche nella capacità di accogliere chi è diverso da noi, nella dignità del lavoro e della casa, nel farsi attenti alle necessità di tanta gente che vive nell’emarginazione e nella povertà. In questo modo saremo certo più credibili quando diciamo con forza il nostro no all’eutanasia.