Europa

Elezioni europee, il calcio d’inizio di un nuovo ciclo

Fra il 6 e il 9 giugno cittadini e cittadine dei 27 Stati membri dell’Unione europea saranno chiamati alle urne per il rinnovo del Parlamento europeo

Il Parlamento Europeo

Fra il 6 e il 9 giugno cittadini e cittadine dei 27 Stati membri dell’Unione europea saranno chiamati alle urne, per la decima volta dal 1979, per il rinnovo del Parlamento europeo. Già il fatto che le elezioni si svolgano su un periodo di quattro giorni, fra giovedì 6 e domenica 9, basta a spiegare la complessità di questo esercizio democratico. Si tratta, infatti, di tener conto delle normative e degli usi di ciascuno Stato membro: se è vero che nella maggior parte d’Europa si vota la domenica (e in Italia anche il sabato pomeriggio), nei Paesi Bassi le elezioni si svolgono il giovedì e in Irlanda il venerdì, e si tratta di due esempi soltanto.

Il Parlamento è l’unica istituzione dell’Unione europea i cui componenti sono scelti direttamente dai cittadini. I trattati, che nell’Unione svolgono – con qualche differenza – un ruolo simile a quello della Costituzione della Repubblica nell’ordinamento italiano, ci dicono che il Parlamento è un’istituzione composta di rappresentanti dei cittadini dell’Unione, e non degli Stati membri. Un deputato europeo eletto in Italia – ad esempio, Paolo De Castro durante la legislatura che si sta chiudendo – è un rappresentante dei cittadini dell’Unione nel suo complesso. Non è un rappresentante della Repubblica italiana né dei soli cittadini italiani, tanto che al voto in Italia potranno partecipare e candidarsi anche cittadini di altri Stati membri dell’Unione (austriaci, portoghesi, slovacchi…), purché residenti in Italia.

Tuttavia, c’è un elemento di complessità ulteriore. I deputati europei rappresentano i cittadini di tutta l’Unione, ma il Parlamento viene eletto all’interno di ciascuno Stato membro, secondo una legge elettorale nazionale ma nel rispetto di alcuni principi comuni stabiliti a livello europeo.

Da questo punto di vista, l’elezione dell’Europarlamento può essere vista come la sommatoria di 27 elezioni nazionali, tenute insieme da alcuni principi validi per tutti gli Stati membri.

Per citare solo un esempio, un aspetto molto importante della legge elettorale italiana per le elezioni europee, la possibilità di esprimere la propria preferenza per questo o quel candidato, non è previsto in Francia né in Germania né in Spagna.

Questa duplice natura delle elezioni rispecchia in qualche modo la complessità dell’Unione europea: è un’organizzazione di Stati – al pari di tutte le organizzazioni internazionali – ma con i suoi atti normativi può produrre effetti che investono direttamente ciascuno di noi, superando il «filtro» statale.

L’evoluzione dell’Unione europea è stata un percorso lungo e talvolta accidentato e ha conosciuto alcune battute di arresto. Questo discorso vale anche per la traiettoria del Parlamento europeo. Un’Assemblea comune era prevista già nel Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio del 1952: ne facevano parte delegati dei parlamenti nazionali e aveva soltanto poteri consultivi.

Si tratta, dunque, di un’istituzione che è presente fin dall’avvio del processo di integrazione, negli anni ‘50 del secolo scorso. Si tratta, al tempo stesso, dell’istituzione che ha conosciuto l’evoluzione più forte nel corso dei decenni, tanto da avere ormai pochi punti di contatto con l’Assemblea comune creata nel 1952, e che nel 1967 mutò il proprio nome in Parlamento europeo.

Dal 1979 l’Europarlamento viene eletto a suffragio diretto ogni cinque anni: questo lo rende strutturalmente diverso dagli organi parlamentari di altre organizzazioni internazionali, ad esempio la Nato.

Nel tempo, inoltre, il Parlamento europeo si è visto attribuire funzioni importanti soprattutto a livello di potere legislativo e di potere di bilancio.

Oggi, nella maggior parte dei casi, il Parlamento europeo è pienamente parificato al Consiglio, l’organo dove siedono i rappresentanti dei governi nazionali, sia per la formazione degli atti legislativi, sia per l’elaborazione del bilancio annuale dell’Unione.

Altrettanto importante è il ruolo che il Parlamento europeo ha saputo ritagliarsi sul fronte dei rapporti con la Commissione e della funzione di controllo. Una tendenza percepibile negli ultimi decenni, anche se criticata da voci autorevoli (da ultimo, il presidente francese Emmanuel Macron), vede nella Commissione il governo dell’Unione e punta a strutturare il rapporto fra Parlamento e Commissione analogamente a quanto avviene a livello nazionale – ad esempio in Italia – col rapporto di fiducia fra Governo e Parlamento italiano.

Nelle settimane successive alle elezioni il Consiglio europeo, tenendo conto del risultato delle urne, proporrà al Parlamento europeo un candidato alla carica di presidente della Commissione. Spetterà allora al Parlamento, in un voto in cui è richiesta la maggioranza assoluta, decidere se eleggere quel candidato come nuovo presidente della Commissione.

Nel 2019 Ursula von der Leyen fu eletta con appena nove voti più del quorum richiesto, il che conferma la centralità del Parlamento europeo e la necessità di consultare le forze politiche rappresentate al suo interno. Una volta designati anche gli altri commissari e l’alto rappresentante per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, il Parlamento sarà chiamato ad approvare la nuova Commissione nel suo complesso. In situazioni di crisi, il Parlamento può provocare le dimissioni della Commissione approvando una mozione di censura.

In questo caso i quorum sono particolarmente alti, più alti che a livello nazionale: per l’approvazione della mozione di censura è richiesta la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, che deve corrispondere alla maggioranza assoluta dei membri del Parlamento europeo.

Negli ultimi dieci anni il Parlamento europeo ha cercato di influenzare il procedimento di investitura della Commissione e del suo Presidente. Ha invitato i partiti politici europei a designare propri capilista (Spitzenkandidaten) prima delle elezioni e ha chiesto ai capi di Stato e di governo riuniti nel Consiglio europeo di scegliere un candidato a presidente della Commissione tenendo conto dei capilista indicati dai partiti europei e del risultato delle elezioni.

Si tratta di una rivendicazione controversa, che fu accolta nel 2014, con la nomina del leader popolare Jean-Claude Juncker, ma non nel 2019. Anche oggi, non è affatto scontato che dopo le elezioni il nuovo presidente della Commissione sia uno dei capilista indicati dalle maggiori famiglie politiche europee (Ursula von der Leyen, Nicolas Schmit, Marie-Agnes Strack-Zimmermann e altri).

A dispetto di alcuni elementi di incertezza, le elezioni europee sono cruciali per almeno due ragioni.

In primo luogo, per l’importanza dell’organo che verrà eletto, il Parlamento europeo.

In secondo luogo, perché sono il «calcio d’inizio» di un nuovo ciclo istituzionale dell’Unione, che si concluderà nel 2029: subito dopo le elezioni, verranno selezionati una nuova Commissione, col suo presidente, e un nuovo presidente del Consiglio europeo, chiamato ad animare i lavori dell’organo che riunisce i capi di Stato e di governo dei paesi membri.

Come ha osservato nel 2018 la Corte costituzionale italiana, negli ultimi anni si è osservata una «indubbia trasformazione in senso parlamentare della forma di governo dell’Unione europea», che si manifesta col «rafforzamento delle funzioni legislativa, di bilancio, controllo politica e consultiva del Parlamento europeo».

*Ricercatore in Diritto costituzionale Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa