Toscana
Election day anche in Toscana
Un appuntamento per 39 milioni di italiani quello dell’election day del 13-14 aprile, che accorpa in un’unica data anche le amministrative. Così che in alcuni casi, come a Roma e Udine, gli elettori si troveranno in cabina con cinque schede. Ma solo 35 milioni sono chiamati al voto anche per il Senato, per il quale vige il limite dei 25 anni. Le politiche riguarderanno invece 47.543.119 elettori, di cui 22.793.691 maschi e 24.749.428 femmine. Gli elettori residenti all’estero sono invece 2.961.556. Circa 550 i comuni al voto, fra cui appunto la Capitale, dove il sindaco Veltroni ha dato le dimissioni per correre da premier. Tra i comuni più grossi, Udine, Brescia, Treviso, Vicenza, Pescara, Pisa e Massa. Sei le province al voto: a Massa Carrara, Roma, Benevento, Foggia e Udine si sono aggiunte anche Asti e Varese, i cui presidenti si sono dimessi per candidarsi in Parlamento. Election day anche per le regionali in Friuli Venezia Giulia e per la Sicilia, dopo le dimissioni di Cuffaro, mentre resta ferma la data dell’8 giugno per otto province e oltre un centinaio di comuni siciliani, fra cui Catania, per le dimissioni del sindaco Umberto Scapagnini e Messina (già commissariata). Regionali fissate invece per il 25 maggio in Valle D’Aosta e per il prossimo novembre nelle Province autonome di Trento e Bolzano, in Trentino Alto Adige.
In Toscana, come dicevamo, gli appuntamenti più significativi sono quelli per la provincia di Massa Carrara e per i comuni di Massa, Pisa, Viareggio e Campi Bisenzio. Ma si vota anche a Capolona (Ar), Impruneta e Marradi (Fi), Monte Argentario e Semproniano (Gr), Montecatini Val di Cecina e Santa Maria al Monte (Pi), Ponte Buggianese (Pt) e Poggio a Caiano (Po).
Pisa volta pagina dopo Fontanelli
di Francesco Ippolito
«Ringrazio per il lavoro e per i risultati sotto gli occhi di tutti. Voglio «ringraziare la Giunta ma anche il Consiglio e tutta la struttura comunale». Lo ha detto Paolo Fontanelli in occasione dell’ultimo consiglio comunale a cui ha partecipato come primo cittadino pisano. Terminato il Consiglio, Fontanelli ha consegnato al protocollo del Comune la sua lettera di dimissioni, avendo accettato l’offerta di chi lo vuole candidato al Parlamento alle elezioni politiche di aprile. Per molti osservatori, pisani e non, si tratta della fine di un’era.
Che a vincere le prossime amministrative sia il candidato per il PD, l’onorevole Marco Filippeschi, ovvero Michele Mezzanotte che in questi giorni ha annunciato la sua autocandidatura con il centro destra, l’eredità è pesante. Pisa in questi 10 anni è cresciuta, è cambiata, in parte, ed ancora di più cambierà se i progetti oggi in cantiere verranno completati. Probabilmente Fontanelli non è stato il sindaco di una città «bomboniera», tirata a lucido per ospitare qualche turista in più e neanche di una città caratterizzata da precisi ed ordinati flussi veicolari. Anzi, l’opposizione ha avuto diverse occasioni per lamentare situazioni di disagio per automobilisti sempre più stressati e di degrado in alcuni quartieri della città. Qualche volta sono stati anche stigmatizzati episodi di criminalità attribuiti dall’opposizione ad un certo modo di interpretare il concetto di accoglienza. Ma certamente sono stati dieci anni di grande fermento. Sono cresciuti i servizi delle Università e dell’Ospedale, sono aumentate le attività produttive e l’occupazione, così come il turismo, è cresciuto l’aeroporto sfidando e battendo la concorrenza toscana. Il litorale pisano poi è oggi protagonista di una grande scommessa industriale: consolidare i risultati che la nautica da diporto ha raggiunto all’ombra della Torre Pendente.
Già oggi sono attivi alcuni consorzi e numerosissime imprese del settore prosperano avvalendosi anche delle professionalità dell’industria del mobile e delle tecnologie informatiche, applicate sia all’arredamento, sia ai sistemi di comunicazione e navigazione. Insomma artigianato, design e conoscenze tecnologiche: una storia tutta italiana che rischia di lanciare Pisa nell’empireo delle piccole città che hanno avuto un’idea vincente. Tra i progetti in fase di realizzazione c’è per l’appunto il porto turistico che sorgerà presso la foce dell’Arno e lo spostamento dei principali edifici pubblici del centro storico, ospedale Santa Chiara compreso, in una zona più decentrata della città. Quando si trasferiranno anche i militari che ancora lavorano nelle caserme nate nel cuore cittadino, Pisa offrirà il suo nuovo volto. Quel giorno sapremo anche se il nuovo sindaco avrà fatto un buon lavoro.
Massa Carrara, situazione confusa guardando a Roma
di Renato Bruschi
Prove generali di elezioni a Massa. In attesa che vengano ufficializzati i nomi dei candidati, i politici locali discutono, litigano, si fanno vedere sui giornali, ma tengono ben fermo un occhio a quanto accade a livello nazionale, per evitare di fare passi falsi. Insomma fanno le prove generali prima di affrontarsi in campo aperto. Non c’è dubbio che un po’ di smarrimento sia presente tanto a destra quanto a sinistra. Probabilmente perché l’election day del 13-14 aprile fa un po’ paura, a causa del «fattore imprevisto» che pende come una spada di Damocle. Per Massa infatti significherà votare tre nomi: il premier, il presidente della provincia e il sindaco. E chi dice che debbano essere tutti dello stesso schieramento politico?
Dunque fibrillazione. Soprattutto nel Partito Democratico dove il «pomo della discordia» è rappresentato dalle primarie. Il sindaco uscente Fabrizio Neri, cattolico ed ex margherita, durante il mandato ha faticato non poco a consolidare la sua posizione all’interno del proprio schieramento. Dopo la grande affluenza di cittadini alle votazioni per il partito democratico, Neri si è sentito legittimato a riproporre, ipso facto, la propria candidatura, senza bisogno di ricorrere alle primarie, anche se ha sempre ammesso «di rimettersi alla volontà del partito».
Ma non tutti nel PD sono d’accordo. La minoranza che appoggia invece il sindaco precedente Roberto Pucci, ex ds nella cui giunta, tra l’altro, lo stesso Neri ha lavorato, per un certo periodo, come assessore all’urbanistica, pretende il ricorso alle «primarie» per dare definitivamente voce ai cittadini su chi debba presentarsi alla competizione elettorale. Insomma sembra un coro a due: mentre Weltroni lavora per accrescere la coesione nel partito, a Massa le correnti antagoniste si sfidano a colpi di dichiarazioni. Anche per la provincia il presidente uscente Osvaldo Angeli, del «correntone» di Neri e Andrea Rigoni, ritiene non opportuno celebrare le «primarie» e, di conseguenza, è come se rilanciasse la propria candidatura per un secondo mandato. L’Italia dei valori, che nel capoluogo apuano è incarnata nella figura dell’onorevole Fabio Evangelisti, si è apparentata con il PD, come accaduto a livello nazionale. I partiti minori della sinistra, confluiti nella sinistra arcobaleno, non stanno alla finestra, ma si organizzano per proporre una figura che attiri i consensi di coloro che non si riconoscono tra i moderati.
Anche per il centro destra la situazione appare ancora confusa. Nel Comune di Massa, dopo la fuoriuscita di alcuni consiglieri dalle file di Alleanza nazionale per entrare nel gruppo di Storace, l’unico superstite si è unito al gruppo di Forza Italia per dare vita al partito del Popolo delle Libertà. Alla Provincia situazione analoga. L’opposizione rimprovera alla sinistra un malgoverno che ha portato l’economia apuana a perdere ancora punti e fette di mercato. Ci sono poi le liste civiche che potrebbero condizionare non poco l’andamento della competizione elettorale.
Il Centro cerca spazio, ma è diviso
di Claudio Turrini
Fino ad un mese fa il sistema politico italiano sembrava ingessato nel bipolarismo. Chiunque aveva tentato di correre da solo era andato incontro ad una disfatta. Eppure Savino Pezzotta con gli ex Udc Bruno Tabacci e Mario Baccini avevano deciso di provarci ancora, dando vita alla «Rosa bianca». Un tentativo di intercettare quella voglia crescente di superare il «bipolarismo imperfetto» all’italiana. Nonostante la camicia di forza della legge elettorale. Ma proprio quella legge, pur non piacendo a nessuno, impediva una riforma. I piccoli partiti in cui è frammentato il Parlamento (al Quirinale da Napolitano sono salite 19 formazioni) si sentivano infatti protetti da un sistema di coalizioni che, come era avvenuto nel 2006, aveva garantito poltrone per tutti. Perché rischiare con una nuova legge?
Poi è arrivata la scelta di Veltroni di correre da solo con il Partito Democratico, apparentandosi soltanto con l’Udv di Di Pietro. E a ruota quella quasi simmetrica di Berlusconi, di far confluire An e Forza Italia nel Pdl, coalizzata al nord con la Lega e probabilmente al Sud con l’Mpa di Lombardo. L’Udc di Casini si è trovata di fronte ad un diktat, o confluire anche lei nel Pdl o correre da sola. E dopo 14 anni è arrivato il divorzio. Se l’Udc può sperare di superare la soglia del 4% nazionale alla Camera e quella dell’8% al Senato almeno in due o tre regioni, Rosa bianca e Udeur rimasto da solo dopo il no di Berlusconi ad apparentarsi sembrano avere poche chanche in un centro improvvisamente troppo affollato e con l’incognita anche della lista pro-life di Giuliano Ferrara. Da qui i tentativi di dialogo che però non potranno avere come esito quello di una coalizione. La legge prevede infatti soglie ancora più alte: il 10% alla Camera e addirittura il 20% al Senato. Un suicidio. «Non è il caso di fare gli spocchiosi. Diamoci una mano, ora che siamo tutti in mezzo a una strada », ha dichiarato Mastella proponendo agli altri due di mettersi assieme. Ma se già è difficile il dialogo tra Rosa Bianca e Udc pur inevitabile , entrambi sembrano voler abbandonare Mastella al suo destino. Per gli apparentamenti c’è tempo fino al 2 marzo e qualche sorpresa ci potrebbe essere ancora. Qualcosa in più lo si capirà dopo questo fine settimana in cui si terrà a Montecatini il congresso costitutivo della «Rosa bianca».
Dibattito a San Giovanni Valdarno tra il vescovo di Prato e Savino Pezzotta
di Giacomo Gambassi
Non è solo una pietra del confronto fra i padri costituenti italiani. E non è soltanto uno dei punti fermi del pensiero politico democristiano. Il codice di Camaldoli è anche qualcosa in più. «È l’intuizione di tradurre nell’azione sociale e politica i principi della dottrina sociale», sostiene il vescovo di Prato, Gastone Simoni. «Ed è un metodo ancora valido oggi per affrontare da cattolici le questioni del contemporaneo», spiega il presidente della Rosa bianca, Savino Pezzotta.
Il vescovo e l’ex segretario Cisl si trovano l’uno di fronte all’altro nella pieve di San Giovanni Valdarno, in provincia di Arezzo, ospiti del circolo locale del «Collegamento sociale cristiano», il laboratorio di incontro fra cristiani impegnati nel sociale lanciato proprio da Simoni. «Un incontro sul contributo dei cattolici nell’elaborazione della costituzione», precisa il presidente del circolo, Edo Pierallini. Come a dire: non è un dibattito che va inserito fra gli appuntamenti della campagna elettorale. E in effetti, fra Simoni e Pezzotta, si parla del documento nato a Camaldoli nel ’43. Ma anche del futuro della politica italiana, come spiega il titolo della tavola rotonda. Inevitabile, quindi, che gli accenni al presente ci siano. Anzi, che dal vescovo di Prato e dal presidente di «Officina 2007» parta l’invito a riprendere in mano il codice come base per progettare un «nuovo modo di stare in politica in questo frangente», afferma Pezzotta.
«Se il codice spiega Simoni è figlio di un cattolicesimo associativo coeso e della convinzione che ci volesse un collegamento organizzato perché i principi della dottrina sociale potessero incidere nella realtà, oggi è necessario non essere dispersi per essere incisivi». Lo sottolinea anche Pezzotta quando evidenzia il «rischio di insignificanza» che corrono i cattolici sul fronte politico. Ecco perché lancia la proposta di «riformare la presenza dei cristiani in politica». Il che non va confusa con la nascita di una nuova Dc, sostiene l’ex segretario della Cisl. «Il pluralismo politico dei cristiani è un dato di fatto ma serve trovare il denominatore comune dell’essere cristiani». Quale? Sia nel ’43 a Camaldoli, sia oggi la dottrina sociale della Chiesa. Che «va declinata nel suo insieme», osserva Simoni. È la sfida della mediazione culturale, o dell’«incarnazione» come preferisce chiamarla il vescovo di Prato, fra gli orientamenti del magistero e l’azione sociale. Tenendo bel saldi i valori non negoziabili come «famiglia e vita», dicono entrambi. Ma non vanno dimenticati neppure «scuola e lavoro», sottolinea Simoni. Lavoro che Pezzotta definisce «la dimensione centrale di oggi». E poi l’ex sindacalista elenca sette punti che indica come cardini per l’impegno politico dei cattolici nel 2008: recupero della dimensione etica della politica; vocazione europea dell’Italia; economia solidale; rispetto della legalità; concetto positivo di laicità; attenzione a famiglia e vita; modernizzazione della pubblica amministrazione.