Cultura & Società

Egeria, un’inviata speciale a Gerusalemme

di Elena GiannarelliLa nostra inviata speciale a Gerusalemme si chiama Egeria; è una figura in parte misteriosa, con ogni probabilità una ricca vedova dalla vocazione monastica – forse al suo rientro in Occidente riuscirà a realizzare il suo sogno –- che negli anni 381-383 d.C. ha visitato la Terra Santa, l’Asia Minore, l’Egitto. Nella prima parte del suo «Diario di viaggio» descrive i luoghi della Scrittura, riconoscendoli nella realtà, dopo averne letto per tante volte nelle pagine sacre; la seconda parte è dedicata alla scansione dell’anno liturgico in Gerusalemme, dove la liturgia era di tipo stazionale o itinerante e riproponeva un mini-viaggio sulle orme del passaggio storico di Gesù.

Il trasferirsi dell’assemblea da un posto all’altro, in un coinvolgimento totale dell’intera città, al di fuori degli edifici sacri ed oltre la stessa cerchia urbana, sulle coordinate della Scrittura, per rivivere i singoli avvenimenti proprio là dove si erano svolti, è motivo di sbalordimento per la avventurosa donna. Essa coglie anche altri punti interessanti: Cristo è al centro di ogni azione liturgica; la Scrittura è punto di riferimento spaziale e temporale; la preghiera, la meditazione, la lettura della Bibbia avvengono in una dimensione il più possibile comunitaria ed ecclesiale. Persone diverse, provenienti da luoghi lontani, parlanti lingue diverse, nel momento in cui si uniscono per celebrare i riti, diventa una comunità in cammino. Egeria lo percepisce e lo restituisce benissimo.

Ecco quello che ci narra a cominciare dalla Domenica che introduce nella «settimana di Pasqua», come la si chiamava in Occidente, la «grande settimana», come la definivano i greci. Non è ancora chiamata la domenica delle palme. Al canto del gallo, i fedeli, dopo i riti consueti all’ Anastasi o alla Croce, si riuniscono nel Martyrium, la chiesa maggiore che è sul Golgota, per la celebrazione. Quindi l’arcidiacono, prima del congedo, dà l’orario per tutta la settimana: a partire dal lunedì all’ora nona, i fedeli si raduneranno al Martyrium. Quella domenica però all’ora settima la folla sale al Monte degli Ulivi, dove è una chiesa. Il vescovo è presente e con lui si cantano inni e antifona, si fanno letture adatte al luogo e al tempo.

All’ora nona si procede fino all’Imbomon (dal greco en bounó, sulla collina), ossia alla cima del Monte degli Olivi, da cui il Signore salì al cielo. Tutto il popolo si siede, anche il vescovo, mentre i diaconi restano in piedi, per cantare inni e antifone. Poi all’ora undecima si legge il passo del Vangelo in cui i bambini con rami di palme andarono incontro al Signore. Il vescovo si alza, il popolo si mette in cammino davanti a lui fra inni e antifone, sempre rispondendo: Benedetto colui che viene nel nome del Signore. «E quanti sono i bambini in quei luoghi, anche quelli incapaci di camminare, perché troppo piccini e che i loro genitori portano in collo, tutti tengono in mano rami, chi di palme, chi di ulivo; così si accompagna il vescovo nel modo in cui fu allora accompagnato il Signore».

Dalla cima della montagna, scrive Egeria, fino alla città e poi all’Anastasi attraverso tutto l’abitato, anche grandi signori e grandi signore fanno scorta al vescovo. Una volta all’Anastasi, si fa la preghiera del Lucernale – è l’orazione della sera per l’accensione delle lampade – e con una sosta presso la Croce si congeda il popolo.Il lunedì prevede le preghiere del mattino all’Anastasi, all’ora terza e alla sesta. Alla nona tutti si raccolgono al Martyrium e fino alla prima ora della notte si dicono inni e antifone. Anche il Lucernale viene detto lì. Quindi si accompagna all’Anastasi il vescovo che benedice e congeda i fedeli.

Martedì: tutto si svolge come il lunedì. Una volta usciti dall’Anastasi, popolo e clero si recano alla chiesa dell’Eleona (il Monte degli Ulivi). Il vescovo entra nella grotta dove la tradizione voleva che il Signore fosse solito insegnare ai discepoli; riceve il libro dei Vangeli e stando in piedi legge il passo di Mt 24,4: State attenti che nessuno vi seduca. Si fa una preghiera, vengono benedetti catecumeni e fedeli, si fa il congedo e dal monte ciascuno torna a casa. È tardi, ormai notte.

Mercoledì. Alla fine della giornata, che si è svolta come la precedente, il congedo viene fatto al Martyrium; il vescovo viene accompagnato con inni all’Anastasi. Subito questi entra nella grotta del sepolcro, isolata da una cancellata; un prete davanti ai cancelli prende il Vangelo e legge il passo secondo cui Giuda Iscariota andò a trovare i Giudei e stabilì il prezzo del tradimento. Alla fine della lettura, davanti a quel vescovo figura Christi, solo come Gesù, «tale è il gridare e il gemere di tutto il popolo che non c’è nessuno che possa non commuoversi fino alle lacrime in quel momento». E su questa partecipazione emotiva si chiude la giornata con preghiera, benedizione e congedo.

Giovedì. La ritualità si complica. Al mattino il popolo prega all’Anastasi; poi si sposta al Martyrium dove avviene l’oblazione e il congedo. Dietro la Croce il vescovo offre l’oblazione e tutti si comunicano: ciò avviene solo in questo giorno dell’anno. Quindi all’Anastasi si recita la preghiera, si benedicono catecumeni e fedeli e si fa il congedo. «Ciascuno si affretta a tornare a casa sua, per mangiare, perché subito dopo mangiato tutti vanno sull’Eleona, a quella chiesa nella quale si trova la grotta in cui il Signore stette quel giorno con i suoi discepoli». Fino all’ora quinta della notte canti, inni, antifone si alternano con letture adatte al tempo e al luogo; poi all’ora sesta della notte si sale all’Imbomon, da dove il Signore ascese al cielo e si continua a pregare fino al primo canto del gallo.

Venerdì. Dopo la notte di veglia, si lascia l’Imbomon per il luogo in cui il Signore pregò, secondo Lc 22,41. C’è una chiesa: vescovo e popolo vi entrano per cantare un inno, leggere un passo del Vangelo e pregare. «Poi, fra gli inni, tutti, fino al bambino più piccolo, a piedi insieme col vescovo scendono nel Getsemani». La folla è stanca, cammina piano piano inneggiando e discendendo da un monte così alto (la fatica e l’emozione evidentemente dilatano le proporzioni della realtà). Più di duecento candele rischiarano la chiesa in cui si prega prima che venga letta la pagina della cattura del Signore. È un altro momento forte di commozione collettiva: il popolo geme e si lamenta, piange: «forse – scrive Egeria – fino in città si riesce ad udire il lamento di tutta la folla».

Si arriva a piedi a Gerusalemme alle prime luci del giorno: la si attraversa per intero dalla porta fino al Golgota e alla Croce. È già chiaro quando davanti alla Croce stessa viene letto il brano del Vangelo in cui il Signore è condotto davanti a Pilato. Il vescovo si rivolge al popolo «per incoraggiarlo, perché le persone per tutta la notte si sono affaticate e ancora dovranno faticare in quel giorno: che non si stanchi, ma abbia la speranza in Dio, che per quella fatica renderà loro una ricompensa più grande». Esorta ad andare a riposarsi a casa, per poi tornare alla seconda ora del giorno ad adorare il santo legno della croce e pregare poi fino a notte.

Non è ancora sorto il sole; dopo il congedo tutti di slancio vanno a Sion, a pregare presso la colonna della flagellazione. Quindi, dopo un breve riposo, viene messo sul Golgota un seggio per il vescovo, proprio dietro la Croce; davanti al lui su un tavolo coperto da un panno di lino vien esposto un cofanetto di legno dorato nel quale è il santo legno della croce. La reliquia viene tolta e offerta al bacio dei fedeli, che rendono identico omaggio all’anello del re Salomone e all’ampolla che serviva per l’unzione dei re (è evidente il richiamo alla regalità di Cristo).

Dall’ora sesta alla nona il tempo passa in letture: Salmi, Passione, profezie della passione per insegnare alla folla che nulla è avvenuto che non sia stato predetto e niente è stato predetto che non si sia compiuto. L’emozione è forte. La gente piange. E all’ora nona viene letto dal Vangelo secondo Giovanni che Cristo rese lo spirito. Si passa quindi al Martyrium, poi all’Anastasi dove si legge il passo del Vangelo in cui Giuseppe chiede a Pilato il corpo del Signore e lo pone in un sepolcro nuovo. Finita la lettura, dopo la benedizione, c’è il congedo. Il popolo è stanco, non gli si impone la veglia, ma l’usanza esiste. I chierici, i più giovani, i più forti restano, per tutta la notte a cantare fino al mattino. «Una folla immensa veglia, alcuni dalla sera, altri dalla mezzanotte, ciascuno secondo le sue possibilità».

Sabato. Tutto riprende come al solito, con in più i preparativi per le veglie pasquali al Martyrium. La pellegrina nota le differenze fra quanto avviene a Gerusalemme e al suo paese (forse la Galizia). Nota che i neofiti, una volta battezzati e rivestiti vengono condotti insieme al vescovo all’Anastasi, dove questi canta un inno e recita per loro una preghiera. Poi si va alla chiesa maggiore (Martyrium) dove tutto il popolo veglia. Da lì si fa tappa all’Anastasi, dove fra gli inni viene letto il brano evangelico della resurrezione. Dopo una preghiera, il vescovo presenta l’offerta, con estrema rapidità.

Quello che dette un morso alla croceEgeria racconta, nella descrizione dei riti del venerdì santo, un episodio divertente, che però deve far riflettere. Quando la preziosa reliquia del legno della croce vien deposta sulla tavola per essere offerta al bacio dei fedeli, «il vescovo, seduto, appoggia le mani sulle estremità del legno santo ed i diaconi, che gli stanno intorno in piedi, sorvegliano. Si fa una simile sorveglianza per questo, perché è consuetudine che, venendo ad uno ad uno, tutto il popolo, sia fedeli che catecumeni, chinandosi sul tavolo, bacino il legno santo e passino oltre. E poiché, non so quando, si dice che uno ha dato un morso e ha rubato una scheggia del santo legno, ora viene sorvegliato dai diaconi, che stanno in piedi in cerchio perché nessuno che arriva osi fare di nuovo lo stesso atto». Anche nell’antichità il sacro furore per le reliquie poteva spingere ad atteggiamenti a dir poco sconvenienti.