Cultura & Società

Educare i cittadini alla legalità

di Luigi Cappugi

Ci si pone qui di seguito davanti ad alcuni fatti di cronaca, probabilmente rivelatori di un disagio sociale profondo, molto preoccupante soprattutto perché non se ne vede una possibile via d’uscita. Se ne tenta una prima analisi, e si tenta infine di disegnare una terapia. I fatti di cronaca da cui partire sono fondamentalmente i seguenti, tra loro interrelati più strettamente di quanto non appaia: – la nascita di forme embrionali di «milizia privata» volte formalmente a garantire la sicurezza, che il nostro Paese ha già in passato sperimentato con risultati tragici; – la presenza diffusa di forme di corruzione e malgoverno, di travaso – impunito – di danaro pubblico in tasche private, di evasione fiscale patologica. Tutto ciò non solo viene sanzionato penalmente solo raramente e forse solo casualmente, ma nemmeno è oggetto di riprovazione etica pubblica condivisa. Addirittura alcuni ne danno pubblica penosa giustificazione;  – l’esibizione di modelli di vita esagerata, mai sobria, con esibizione impudica di ricchezza e di immoralità, di egoismo e di egotismo, ove non si sa se sia più urgente curarne la stupidità intrinseca, oppure condannarne l’inaccettabilità sociale prima che etica.

Tutto ciò è aggravato dalla crisi economica, ma non dipende dalla crisi economica: è problema che è da tempo presente nel nostro corpo sociale ed è irrisolto. Non è questione morale o peggio moralistica. È problema che prima di essere etico, prima di toccare i valori fondanti di qualsiasi società sana, concerne il buon funzionamento delle istituzioni, è problema di politica economica, è problema di cultura delle regole che ogni comunità deve condividere per potersi sviluppare correttamente, per poter avere dentro di sé anticorpi, contrappesi, logiche, senso e memoria della storia, tali da autocorreggere le derive pericolose cui stiamo assistendo, ed infine potersi sviluppare economicamente per ridurre (e non aumentare) le differenze tra ricchi e poveri, in modo corretto e condiviso.

La tesi che qui si vuole sinteticamente sviluppare e la terapia che qui si propone, può essere così sintetizzata: – l’idea che il benessere materiale delle popolazioni nasca dalla deregolamentazione del mercato è ormai defunta quasi ovunque, per i disastri che ha causato. Ciò premesso, l’idea politica oggi prevalente nel nostro Paese non solo sembra essere ancora quella che sia bene deregolamentare il mercato, ma addirittura che sia ancora meglio deregolamentare o «smontare» lo Stato, perché lo Stato non funzionerebbe come deve. Di qui, come diretta conseguenza, i fatti prima elencati; – lo «smontaggio» dello Stato non è ovviamente casuale, ma finalizzato ad un utilizzo «astuto» delle risorse pubbliche, è «asimmetrico». Da un lato si espande l’area pubblica, soprattutto a livello locale, fuori del cosiddetto «perimetro di Maastricht», dentro il quale vi è ancora una qualche forma di controllo, più difficile da eludere perché eterodiretto da Bruxelles. D’altro lato si evita in tutti i modi possibili di «rendere il conto»: si evitano forme di contabilità pubblica che obblighino in qualche modo a rendere pubblico «dove vanno i soldi pubblici» e i dati di gestione delle strutture pubbliche. Si cerca di alzare quasi ovunque barriere contro la concorrenza (meno gare possibile per le forniture pubbliche; più mercati «protetti», quali i servizi pubblici; meno «intrusi» possibile nei mercati protetti, quali i prodotti farmaceutici e più in generale la sanità pubblica, oppure i servizi professionali; l’utilizzo «finto» dei cosiddetti «fondi europei», massime il Fondo Sociale, etc.); – tutto ciò porta ad una forma notissima di gestione della cosa pubblica basata su una «discrezionalità furbesca» diffusa (che è l’opposto della «discrezionalità responsabile»), che non solo è funzionale all’acquisto ed al mantenimento dei voti, alla «fidelizzazione della clientela elettorale», oltre che all’arricchimento personale, ma anche a due ovvi meccanismi micidiali per la tenuta sociale del nostro Paese: da un lato si innesca un ovvio meccanismo di «emersione dei peggiori», dei più «svelti» ad approfittarne, mentre dall’altro chi è escluso o si è autoescluso dal «banchetto», vive spesso comprensibilmente forme patologiche di invidia o di divisione e rancore sociale prima che politico, innescate dal messaggio «io furbo tu scemo» che chi partecipa o addirittura dirige il «banchetto» non manca di rivolgere consapevolmente od inconsapevolmente a chi ne è escluso;  – pensare di uscire da questo meccanismo perverso con prediche morali o moralistiche, con campagne di comunicazione o comunicati stampa, è non solo inutile, ma probabilmente dannoso poiché non interviene sulle cause prime del problema. Prima di essere un problema di denuncia di valori più o meno sbagliati o giusti, è problema insieme più difficile e più semplice. La terapia sta nell’elaborare una teoria politica e sociale dello sviluppo accettabile, nello spiegarla, e nell’appoggiare chi ci sta e nel combattere nei limiti della legge, con chiarezza e senza furbizia , chi non ci sta, coinvolgendo il massimo possibile di persone. Il fine non giustifica i mezzi, mai. I «mezzi» sbagliati o illeciti o inaccettabili, siano essi uomini o leggi o istituzioni, vanno denunciati e combattuti, anche quando i fini appaiono buoni o addirittura sacrosanti; – la teoria dello sviluppo accettabile che qui si suggerisce, è più o meno nota da tempo, e le vicende economiche mondiali degli ultimi due anni ne hanno rafforzato le conclusioni e le indicazioni «terapeutiche». L’effetto della crisi è stato paradossalmente benefico. Vi è stata una «sbornia» politica e morale durante la quale si è finto di credere (ancora una volta) ad una infinita «età dell’oro», ove in definitiva tutti erano diventati «novelli re Mida» che trasformavano la carta in oro, tutti mostravano di credere a «leggende» circa «la medicina miracolosa che ci renderà tutti ricchi».

La «sbornia» è passata. Siamo tornati con i piedi per terra: stiamo iniziando a rivalutare serietà, sobrietà, lavoro, applicazione (in definitiva moralità). Alla base della teoria dello sviluppo, vi è l’accettazione consapevole di un presente mai facile in cambio di una fondata e costruita speranza di un domani che si spera migliore e meno incerto dell’oggi. Siamo tornati, dopo secoli, attraverso percorsi particolari e un po’ misteriosi (provvidenziali?), a riconoscere attualità ed efficacia scientifica ad una «via pastoral-pedagogica» di uscita dai nostri problemi mondani (si vedano i lavori di D.North (Nobel), ed il recentissimo «animal spirits» di Akerlof (Nobel) e Shiller, per trovare conferme inaspettate di questa conclusione). Lo sviluppo economico, il benessere nostro e dei nostri figli, trova radici nei nostri comportamenti, nelle nostre «pulsioni», che vanno «educate», indirizzate «verso il bene», senza più credere in improbabili «vitelli d’oro» , misteriose «mani invisibili», od altro. Corruzione, malaffare, malgoverno, egoismo ed egotismo, fanno male allo sviluppo economico: non c’è alcun dualismo tra valori etici e buona politica, tra essere per bene e sviluppo economico. I «nostri» premi Nobel dicono proprio che i comportamenti virtuosi sono condizione necessaria per lo sviluppo economico.

Ed ora la proposta. La rete delle parrocchie dovrebbe essere indirizzata a costruire una nuova cultura per la riforma dei valori dello Stato. Dovrebbe essere indirizzata per costruire una cultura di gestione della cosa pubblica che faccia perno sui valori cui deve fare riferimento ogni società sana, senza alcun compromesso, comunque giustificato o giustificabile da fini apparentemente superiori.

Il modo di organizzare tutto ciò viene dopo (internet, videoconferenze, etc.etc.). Prima deve venire la consapevolezza che i danni sociali ed economici che derivano al nostro paese dai fatti di cui al punto 1, sono intollerabili. Si deve agire, con un programma «pastoral-pedagogico» che faccia chiarezza nella coscienza e nell’intelletto dei fedeli del «costo» che certi comportamenti hanno nel breve e certamente avranno nel medio termine. Si devono indicare le ipotesi di soluzione. Meglio tardi che mai.

Probabilmente ci sono le condizioni per riavviare da parte della Cet un discorso con un Documento che riprenda, in un contesto storico diverso e anche con contenuti aggiornati all’evoluzione dei tempi attuali, il testo significativo sull’«educazione alla legalità» degli inizi degli anni ’90.

Per non fermarsi allo stadio delle dichiarazioni, sarà però importante che ad esse seguano delle direttive pastorali condivise dai Vescovi e trasferite in iniziative concrete che vedano coinvolte le strutture ecclesiali in rapporto alle diverse realtà e ambiti della vita civile.

Ci si può chiedere se una sede appropriata per tutto ciò non possano essere i lavori preparatori della 46ª Settimana Sociale, il cui svolgimento è previsto per ottobre prossimo.

Nel testo di presentazione elaborato dal Comitato Scientifico e Organizzatore si ritrovano molti spunti e interrogativi circa le problematiche descritte.

Ci sono molti anni di lavoro possibile per stimolare sensibilità e assunzione di responsabilità in un’ottica di servizio che aiuti ad andare oltre le categorie oggi usurate della dialettica politica.

Sarebbe però necessario che questo impegno di analisi, di riflessione e di iniziativa venisse assunto come una priorità della Chiese toscane e italiana e non fosse vissuto come un adempimento burocratico destinato a rimanere sterile.