Opinioni & Commenti
Ecumenismo, sconvolti ma non disperati
L’ecumenismo infatti rappresenta un aspetto prevalente della patologia ecclesiale; perciò in ogni Chiesa la corretta conoscenza della fisiologia ecclesiale deve precedere l’intervento diagnostico della patologia. Così l’affermazione solenne di Paolo offrirà l’occasione di passare dalla indifferenza all’attenzione o, forse, dallo sguardo distaccato alla partecipazione. Teniamo ovviamente sempre presente che l’affermazione di Paolo «annunziamo che Gesù è il Signore» è accompagnata da forti rilievi ecclesiali: «Siamo oppressi ma non schiacciati, sconvolti ma non disperati, perseguitati ma non abbandonati, colpiti ma non distrutti». Non sbaglia Paolo quando ci fa sentire degli «oppressi»; perché lo siamo davvero. Come una pianta completa nei suoi organi vegetativi, ma incapace di fioritura; e quindi senza fecondità. È una condizione che ci provoca a pensare e a constatare che Gesù ha voluto una Chiesa nello stile della convivialità.
Eppure ancora oggi, barricati dietro tante cautele, molte comunità cristiane quasi rassegnate, aumentano lo scandalo delle divisioni escludendosi a vicenda dalla partecipazione alla tavola eucaristica. E così, di fronte alla generosità del «padrone invitante», il forzato digiuno eucaristico rende ancora più facili e perduranti le divisioni; mentre quasi per contrasto, in tante chiese la tavola eucaristica viene condivisa da persone che non vogliono condividere altro. Dunque, «oppressi» ma «non schiacciati», perché esistono tuttora, nonostante le divisioni, segni di fecondità. Se in ogni cristiano traspare il volto di Cristo, le fratture lo lacerano anche. Non più perciò solo fratelli separati, ma espressioni del volto di Cristo deturpato dalla lacerazione. Si comprende allora che le divisioni non solo nascondono il volto dei fratelli ma deturpano il volto stesso di Dio. Una responsabilità tanto grande trova conforto nelle parole di Paolo «sconvolti ma non disperati». Infatti l’Ecumenismo nella sua esistenza trova sostegno in una Chiesa chiamata mai a disperarsi e sempre a ricominciare.
Questo compito di rinnovata speranza è intralciato dalla persecuzione; siamo, come dice Paolo, minacciati non da forze esterne ma da quella incapacità di comunione che grave sulle nostre comunità. Queste invece sarebbero chiamate a vivere quella vocazione alla comunione che ci coinvolge dall’inizio nella comunione trinitaria per innestarci nella comunione eterna dei santi. Anzi proprio l’ecumenismo dovrebbe risvegliare nella chiesa l’ascolto di tante urgenze comunitarie. Si fa sempre più necessaria infatti l’estensione del dialogo ecumenico al dialogo fra le diverse religioni; si risveglia per le Chiese, con l’esempio e con opere la collaborazione alla maggiore unità fra gli stati, le culture e le economie. Ma Paolo insiste ancora: «colpiti ma non distrutti».
Il futuro infatti non ci chiama solo ad una sopravvivenza, ma ad un ulteriore sforzo di comunione che dovrà portare ad una maggiore collaborazione; ad esempio con il Consiglio Ecumenico delle Chiese. Si dovrà inoltre passare dalla tutela dei vertici alla consapevolezza e collaborazione della base, soprattutto la teologia dovrà fare spazio al criterio della «gerarchia delle verità»; tenendo conto che spesso la teologia divide mentre una saggia presenza della base porterebbe le diverse confessioni a fare insieme tutto ciò che non sono costrette a fare separatamente. Ma anche gli argomenti devono essere affrontati con il coraggio di chi si sente «colpito ma non distrutto» nel trattare temi delicati quali il ministero, il celibato e l’indissolubilità del matrimonio.