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Ecumenismo: gesti e parole per un cammino senza ritorno
I giorni in Turchia sono stati ricchi di incontri, di parole, di gesti che hanno rafforzato lo stile di papa Francesco per un annuncio evangelico che sappia trasformare il mondo a partire da una nuova stagione nei rapporti tra i cristiani, chiamati a superare lo scandalo delle divisioni che per secoli ha segnato la vita delle comunità cristiane rendendo meno efficace la missione della Chiesa.
Proprio la dimensione ecumenica ha costituito uno dei punti salienti di questo viaggio, come era facile attendersi, anche alla luce del rapporto di amicizia che si è creato tra papa Francesco e il patriarca Bartolomeo, fin dai primi giorni del pontificato; Pietro e Andrea si sentono sulla stessa barca – per riprendere l’immagine scelta in occasione del pellegrinaggio di papa Francesco in Terra Santo lo scorso maggio per il 50° anniversario dell’incontro tra Paolo VI e il Patriarca Atenagora – condividendo la missione della Chiesa, nel rispetto delle proprie tradizioni, con alle spalle secoli di silenzi e di pregiudizi, che sembrano però parte di un’eredità della quale tener conto senza farsi condizionare da essa, nel comune cammino che cattolici e ortodossi stanno compiendo per la piena e visibile comunione. In questa ottica vanno lette le parole di papa Francesco che ha detto di voler «assicurare a ciascuno di voi che, per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune, e che siamo pronti a cercare insieme, alla luce dell’insegnamento della Scrittura e della esperienza del primo millennio, le modalità con le quali garantire la necessaria unità della Chiesa nelle attuali circostanze: l’unica cosa che la Chiesa cattolica desidera e che io ricerco come Vescovo di Roma, “la Chiesa che presiede nella carità”, è la comunione con le Chiese ortodosse».
Il dialogo ecumenico è quindi una scelta irrevocabile, una strada senza ritorno, nell’obbedienza alle parole di Cristo, come è stato detto, più volte, anche in questa occasione, da Francesco e Bartolomeo, che hanno firmato una Dichiarazione comune, nella quale non si fa semplicemente il punto sullo stato del dialogo tra Roma e Costantinopoli, ma si indicano nuovi passi da compiere insieme, da una parte per un ulteriore approfondimento teologico, tanto da chiedere una preghiera per il lavoro della Commissione teologica cattolico-ortodossa, istituita nel 1979, dopo una visita di Giovanni Paolo II al Fanar, e dall’altra per rafforzare le iniziative condivise nel mondo, soprattutto per la costruzione della pace.
Nella Dichiarazione, che è la seconda firmata da papa Francesco e da Bartolomeo, dopo quella del 25 maggio a Gerusalemme, la denuncia delle sofferenze e delle persecuzioni dei cristiani, in particolare in Medio Oriente, e l’appello per la ricerca di nuove strade per la pace è centrale, mentre si offre una riflessione particolare sulla situazione dell’Ucraina.
Proprio per la costruzione della pace, nella Dichiarazione, Francesco e Bartolomeo auspicano una collaborazione quotidiana con l’islam; il dialogo con l’islam è stato un altro temi centrali del viaggio di papa Francesco. Esso ha assunto un carattere del tutto particolare, proprio alla luce della situazione della Turchia, nel quale convivono istanze diverse, talvolta confliggenti, all’interno del mondo islamico, nella ricerca di una strada che possa conciliare i valori della tradizione islamica con un paese che viva una convulsa fase di crescita economica e che è chiamato a confrontarsi con l’instabilità politica della regione, nella quale gioca un ruolo da protagonista.
Papa Francesco ha messo ben in evidenza, con le sue parole e con i suoi gesti, quanto egli ritenga importante proseguire sulla strada della reciproca conoscenza tra cristiani e musulmani, nella scoperta quotidiana di quei valori con i quali rimuovere i pregiudizi che condizionano in tanti luoghi i rapporti islamo-cristiani, condannare ogni forma di violenza, tanto più quella che cerca giustificazione nella religione, e costruire una pace, fondata sui diritti umani e sulla riconciliazione della memoria. Non sono stati temi facili da affrontare in Turchia, dove la libertà religiosa è spesso evocata, come in tanti altri paesi, ma poi non è assolutamente vissuta, soprattutto nei confronti delle minoranze, tanto che il papa ha raccomandato che «i cittadini musulmani, ebrei e cristiani – tanto nelle disposizioni di legge, quanto nella loro effettiva attuazione –, godano dei medesimi diritti e rispettino i medesimi doveri».
In Turchia papa Francesco ha così riaffermato l’impegno della Chiesa per favorire l’incontro e il dialogo tra le culture e la centralità del cammino ecumenico verso la piena comunione in modo che i cristiani possano essere testimoni sempre più credibili della luce di Cristo.