Sono giunto alla fine del mio servizio come presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Per 11 anni questo è stato per me un incarico non solo impegnativo ma avvincente. Un’esperienza assolutamente marcante. Così il card. Walter Kasper si è presentato oggi in una conferenza stampa salutando i giornalisti. In vista di un avvicendamento a breve alla guida del dicastero vaticano, il cardinale ha voluto tracciare un bilancio, anche personale, di quanto è stato realizzato in questi anni di dialogo ecumenico. I miei sentimenti ha detto sono ambivalenti: da una parte a 77 anni essere emerito è una cosa del tutto normale, perfino una liberazione. Dall’altra però lascio un lavoro che ho fatto con entusiasmo, che ho sempre considerato come un cantiere della Chiesa del futuro. L’ecumenismo non è per la Chiesa un’optional di lusso ma un suo elemento costitutivo, uno dei suoi obiettivi principali, e lo stesso vale per i rapporti religiosi con l’ebraismo. A che punto siamo oggi?, si è chiesto il cardinale. Innanzitutto vorrei sottolineare che per quanto fondamentali i vari documenti di dialogo non sono l’essenziale. Essi rimarrebbero infatti lettera morta se non trovassero riscontri nei rapporti personali, nei rapporti di rispetto, di stima, di fiducia e di amicizia. Laddove non esistono tali relazioni ha proseguito il card. Kasper – non può esistere neppure un dialogo proficuo che è sempre un dialogo della vita. L’ecumenismo non si fa alla scrivania. Dialogo è vita. Dialogo è parte integrante della vita della Chiesa. Il cardinale ha quindi ricordato tutti i viaggi e gli incontri che hanno costellato il suo impegno ecumenico in questi anni parlando oggi di una solida rete di rapporti umani con cristiani che, sono sicuro, potrà resistere anche a eventi meno favorevoli e sono una base sicura per ulteriori passi in avanti. Ed ha commentato: questa è la vera novità ecumenica. Il fulcro e l’anima di un ecumenismo così vitale ha poi aggiunto è l’ecumenismo spirituale. L’unità della Chiesa non può essere pianificata né fabbricata. Il cardinale ha quindi paragonato, usando una metafora, l’ecumenismo ad un monastero invisibile in cui si vive e si prega dispersi in tutto il mondo ma uniti nella preghiera. Non è questa già una comunione ecclesiale intensa e profonda?. Il bilancio del card. Kasper ha quindi passato in rassegna gli 11 anni di dialogo. Con le Chiese ortodosse orientali (copti, siri, armeni, etiopi, ecc) a cui dopo i primi difficilissimi anni, si è giunti ad accordi che possono essere considerati oggi come un miracolo dello Spirito. Riguardo invece alle Chiese ortodosse, il card. Kasper ha ricordato la sospensione avuta nel 2000 con la sessione di Baltimora definendo quel momento come un fallimento, la peggiore esperienza ecumenica che abbia mai avuto. Ci sono voluti 5 anni di pazienti negoziati per ricucire i rapporti ed arrivare all’incontro di Ravenna che ha dato il via ad una grande svolta insperata. Del dialogo con le Chiese ortodosse, il cardinale ha voluto sottolineare anche i rapporti personali di fiducia e la presenza delle varie delegazioni ai funerali di Giovanni Paolo II e alla intronizzazione di Benedetto XVI, segno chiaro e forte del cambiamento avvenuto. Il bilancio ha poi passato in rassegna i rapporti con le Chiese e le comunità ecclesiali della Riforma. Errori o meglio imprudenze nel modo di formulare la verità ha ammesso il card. Kasper -, sono stati commessi tra noi e anche da parte nostra. Ma riguardo a questo dialogo il cardinale ha voluto rimandare al testo recentemenente pubblicato dal dicastero Harvesting the fruits in cui si fa il punto dei risultati e degli accordi raggiunti. Lascio l’ufficio ha poi concluso con speranza, che non è ottimismo umano, ma speranza cristiana. La fiaccola ora passa ad una nuova generazione che certamente guarderà ai dialoghi intrapresi con occhi nuovi.Sir