Italia
Economia, politica, società, riforme: dove sono i cattolici?
di Andrea Bucelli
La storia italiana degli ultimi trent’anni è fatta di tante riforme annunciate e puntualmente mancate o, peggio, proposte ed approvate a colpi di maggioranza. Non parlo delle riforme (pensioni, liberalizzazioni, mercato del lavoro) all’ordine del giorno nell’attuale fase di «sospensione» della politica, che ha delegato ad un Esecutivo tecnico il compito di fronteggiare l’emergenza economico-finanziaria. Mi riferisco invece al paradosso del Parlamento in carica che, pressoché inerte già prima che cominciasse quest’ultimo scorcio di legislatura, difficilmente riuscirà a varare quelle riforme istituzionali di cui ci sarebbe bisogno, a cominciare dalla legge elettorale.
L’agenda delle riforme resta dunque aperta: il superamento del bicameralismo paritario (Senato delle Regioni); la salvaguardia della democrazia «dei» e «nei» partiti (tuttora associazioni private non riconosciute, con quali bilanci e controlli è la cronaca di questi giorni a mostrarcelo!); le istanze di una democrazia partecipativa da coniugare con una revisione della forma di governo tale da garantire una «democrazia governante» le sfide del nostro tempo; e da ultimo ma non per ultimo, un federalismo fiscale sussidiario e solidale, in grado di soppiantare quel sistema di «finanza derivata» dai risultati devastanti che purtroppo ci affligge da anni. L’indice degli argomenti è più che sufficiente per persuadere del fatto che la transizione istituzionale deve tuttora ed in larga parte compiersi.
Ma i cattolici, nella stagione delle riforme mancate, dov’erano? Ed oggi, dove sono? E dove stanno andando? Si ha l’impressione che i cattolici impegnati in politica siano stati finora abbastanza sparpagliati e disuniti da risultare marginali. Forse dediti a conquistare posizioni di (relativo) potere nei partiti in cui si erano collocati negli anni novanta. Forse delusi, strada facendo, della «casa» in cui erano andati ad abitare. Quei cattolici mi sembrano ancora influenzati dalla logica degli opposti schieramenti che ha segnato gli ultimi decenni.
Ognuno rimarca il proprio confine, si relaziona ai propri potenziali elettori con i propri argomenti: si parla molto – che so? – di bioetica e famiglia, ma poco di lavoro e giustizia sociale, e viceversa, come se l’etica della vita fosse disgiunta dall’etica sociale. Oltre ai cattolici «attivi», vi sono quelli del tempo trascorso, che magari hanno vissuto stagioni vitali della nostra democrazia, che assistono, ma che probabilmente avrebbero da trasmettere ai giovani le loro esperienze, i loro pensieri. Ma sembra quasi che non ci s’incontri: dove sono i giovani mancano gli anziani, e dove si trovano le generazioni più âgées non s’incrociano i giovani. È quel che ho constatato nel mio piccolo sarà che ho partecipato a poche riunioni; naturalmente sarei contento di essere smentito dalla realtà.
Non si vede comunque un disegno unitario se ancora di recente il card. Angelo Bagnasco, Presidente della CEI, avvertiva l’esigenza di un «nuovo soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica che sia grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni». Certamente da alcuni mesi il mondo cattolico è in fermento, il dibattito sull’impegno in politica si è dilatato e non sono mancate iniziative su scala anche nazionale. Ma la domanda che rimbalza qua e là – se sia in gestazione un nuovo partito dei cattolici – secondo me semplifica troppo, non coglie nel segno e non sta ai fatti.
Proprio per stare ai fatti ne voglio citare uno che la grande stampa (ma non solo) ha accuratamente evitato. La 46ª Settimana sociale dei cattolici italiani, svoltasi a Reggio Calabria a metà ottobre del 2010, è stata un evento di Chiesa. Chi c’era può testimoniare di un momento unitario e plurale della Chiesa: vescovi, clero e più di mille fedeli laici, delegati dalle diocesi sparse su tutto il territorio nazionale, riuniti dalla celebrazione della messa mattutina al confronto nelle sessioni di lavoro, una delle quali poneva a tema per l’appunto l’urgenza di Completare la transizione istituzionale. L’evento ha lasciato tracce, anche in Toscana. C’è infatti un appuntamento che sta maturando in quel solco: sabato 17 marzo 2012, a Firenze, nella Basilica di San Lorenzo, si troveranno tutti i vescovi delle diciassette diocesi regionali e, con loro, una presenza – speriamo – significativa di presbiteri, religiosi e laici. L’incontro avrà per titolo Cattolici protagonisti nella Toscana di oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del Paese; sarà la prima tappa di un percorso promettente ed impegnativo (per maggiori dettagli si veda il sito www.toscana.chiesacattolica.it). Una sfida per i cattolici toscani.
Ma quando diciamo Cattolici protagonisti in Toscana, occorre intendersi. Non si pensi – ripeto – alla costituzione di un partito, anche se riecheggia l’esortazione di Benedetto XVI, che invoca una nuova generazione di cattolici coinvolti nella politica. Ma una nuova generazione non nasce dal nulla. Ecco allora la sfida educativa, che giustamente la CEI ha posto al centro degli orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020. E la sfida educativa chiama a raccolta tutto un tessuto che ancora c’è, ma che va messo all’opera, rilanciato, rinnovato, allargato: dalle famiglie alle parrocchie, dalle associazioni alle reti di volontariato ai movimenti, dalle scuole alle università cattoliche.
Tutto ciò, alla fin fine, rimanda ad un’altra sfida, più profonda, integrale, per certi versi scomoda e sicuramente sottovalutata, dalla quale però dipende l’apporto più vero che i cattolici possono dare al bene comune: questa ulteriore sfida consiste nel ridurre la frattura, sempre più scomposta, che noi credenti viviamo tra la fede che professiamo, tra la buona novella evangelica in cui – a parole – diciamo di credere e le azioni quotidiane che (non) ci contraddistinguono. Ripartire da qui è il primo passo per risvegliarsi da un lungo sonno, per rigenerarsi ed incarnare un nuovo umanesimo, anche per formare una generazione di ragazze e ragazzi da «prestare» alla politica.