Alcuni giorni fa a Loppiano è stato inaugurato il Polo dell’Economia di comunione, alla memoria di Lionello Bonfanti. Il presidente della Regione, Claudio Martini, lo ha visitato, Alberto Ferrucci, imprenditore e professore ne è stato uno degli artefici. Insieme, Martini e Ferrucci sono stati ospiti di ToscanaOggi per valutare gli sviluppi e i rapporti con l’economia toscana. Ne è nata una conversazione (alla quale hanno partecipato anche l’economista Piero Tani e il responsabile per la Toscana e l’Umbria dell’Economia di comunione, Francesco Minoli) che ha posto al centro della riflessione l’uomo, con i suoi valori, le scelte future tese a coniugare sviluppo e sostenibilità, ma soprattutto cercare nuove strade per collaborare con tutti coloro, dal mondo della cooperazione alla piccola e media impresa, che desiderano dare risposte concrete allo sviluppo industriale. Cos’è l’economia di comunione e come può contagiare la Toscana?Ferrucci «L’economia di comunione applica un paradigma generale del carisma di Chiara Lubich, quello della fraternità universale, all’economia. Tutto nasce dopo una visita in Brasile, di tanti anni fa, e la volontà di dare una vita degna all’uomo, perché era intollerabile quello che Chiara aveva visto. Siamo tutti impegnati, come imprenditori a favorire una cultura del dare, una governance dove la persona umana viene messa al primo posto. Gli utili vengono condivisi per far crescere le aziende, e una parte viene data ai poveri». Martini «Per la Toscana è una esperienza molto interessante e stimolante. E vorrei fare due riflessioni. È un esperimento interessante perché coglie il bisogno di etica che è particolarmente avvertito, la domanda di etica è cresciuta e sta crescendo in modo esponenziale. Oggi credo sia necessaria una riconversione verso un modello economico dove si recuperi la partecipazione e il coinvolgimento. Inoltre c’è una questione valoriale. L’idea di tenere insieme il rendimento con l’efficienza, la guardo con molto intereresse. Riuscire a tenere insieme due concetti apparentemente inconciliabili come la qualità della vita, delle relazioni e il dinamismo produttivo è importante per il nostro futuro. Questa capacità mi intriga culturalmente». È forse necessario oggi provare a fare una riflessione culturale sui modelli economici? Ferrucci «L’aspetto culturale è importante. Sono oltre 240 le tesi di laurea che hanno studiato l’Economia di comunione. Essa è un fatto globale, non di nicchia. Oggi è sempre più studiata nelle Università, e ci sono molti convegni di studio che ne affrontano aspetti particolari. Lavorare tutti insieme per un futuro sostenibile è possibile solo se considero ogni uomo mio fratello, se tutti ci mettiamo d’accordo. È importante imparare a mettersi nei panni dell’altro. Noi siamo chiamati, come imprenditori, ad offrire modelli concreti di sviluppo sostenibile, una alternativa concreta non teorica. Qualche tempo fa c’è stato un seminario dal titolo provocatorio Felicità ed economia. Ha avuto molto successo, ben al di là delle aspettative. È importante oggi che anche nelle Università si possa dibattere questo tema, si possa analizzare e studiare l’economia di comunione come un modello proponibile per la crescita economica di un Paese». Martini «Questo progetto va studiato, si deve fare ricerca, è un valore culturale. Oggi stiamo vivendo in un tempo di grande confusione di valori, di senso. In un’ampia parte della nostra popolazione sta maturando una forte avversione all’economia, alla tecnologia, alla scienza. Le ritengono fredde, quasi danno fastidio. Al tempo stesso ci sono quelli che idolatrano queste discipline. Molti giovani vivono male questo momento, proprio perché non riescono a trovare un equilibrio. Inoltre le forti disuguaglianze stanno interpellando le nostre coscienze molto più di qualche anno fa. Noi abbiamo bisogno di chi prova a conciliare queste realtà, perché ritengo errato sia idolatrarle che opporvisi. L’economia di comunione, insieme alla cooperazione, potrebbe essere un’altra via percorribile, un’altra strada sulla quale camminare insieme». Quali le relazioni con il territorio toscano?Ferrucci «Il polo di Loppiano nasce proprio per dialogare con tutto il territorio della regione. Non avrebbe senso averlo realizzato senza aprirlo alle imprese, al territorio e agli ultimi, ai poveri. In Liguria, per esempio, ci sono 58 cooperative che con i loro utili sostengono 3 cooperative sociali che altrimenti non ce la farebbero. Questa potrebbe essere una strada da percorrere: integrarsi con cooperative già presenti nella zona per fare una educazione al lavoro, per far sistema». Martini «Sono anch’io convinto che ci debba essere un forte legame con il territorio. Sarebbe bello se all’interno del Polo si incontrassero aziende di settori diversi. Potrebbero contagiarsi e dare vita a nuove idee imprenditoriali che possono nascere da questa contaminazione. Costruiamo insieme una convenzione con i Comuni, le imprese, le associazioni. Coinvolgiamo anche coloro che sono fuori dai processi produttivi. Vedo nel Polo una doppia valenza: una sollecitazione alla riflessione seria e approfondita sull’economia di comunione, ma anche un forte legame con la Toscana». La schedaNel forum sull’Economia di comunione, tenutosi venerdì 10 novembre, presso la redazione centrale di Toscanaoggi, a Firenze, si sono confrontati il presidente della Giunta regionale Claudio Martini e l’imprenditore Alberto Ferrucci. Vi hanno partecipato anche l’economista Piero Tani, il responsabile per la Toscana e l’Umbria dell’Economia di comunione Francesco Minoli, il portavoce del presidente della Regione Remo Fattorini, Renato Burigana, che lo ha coordinato, e, per la redazione di Toscanaoggi, Andrea Fagioli e Simone Pitossi. Polo Bonfanti, la nuova idea di economia