Cultura & Società
Economia, Biggeri (Etica Sgr): “Con le criptovalute si rischia un «Far West» finanziario”
Ma in quello che appare come un girone dantesco di mala finanza, intrighi geopolitici, crisi economiche e disastri ambientali sopravvivono fondi che propongono un modello diverso. Si definiscono «banche etiche» e conciliano la ricerca del profitto con le più urgenti esigenze di sostenibilità. Resistendo spesso a crisi feroci.
«Finanza etica significa fare valutazioni sociali e ambientali su tutte le voci del proprio conto», sintetizza il fondatore di Banca Popolare Etica e presidente di Etica Sgr (società di gestione del risparmio) Ugo Biggeri. Il suo istituto di credito amministra oggi i patrimoni di 400mila clienti fra Italia e Spagna per un totale di oltre 7 miliardi di euro. Il successo del progetto è suffragato dai numeri: solo dal 2020 al 2021, mentre la concorrenza era in crisi per la pandemia di Covid-19, il credito della società è cresciuto del 7,5%. Ma a distinguere il gruppo «Etica» dalle banche tradizionali sono le modalità di impiego del credito stesso: «Non abbiamo mai investito nel petrolio o nelle armi», spiega Ugo Biggeri. Non solo. Nel 2021 Banca Etica ha erogato ben 249 milioni di euro in finanziamenti a imprese impegnate nel sociale, assistendo oltre 500 famiglie nel pagamento del mutuo per la prima casa, aiutando circa 20mila persone a sostenere le proprie spese mediche e contribuendo a riciclare più di 750mila tonnellate di rifiuti. In altre parole, l’istituto seleziona i propri clienti e – soprattutto – sceglie quali società finanziare, operando a beneficio dell’economia reale e dell’ambiente.
«La protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del calcolo finanziario di costi e benefici. L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente», ammoniva ormai 8 anni fa l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco. Non solo, dunque, un altro paradigma finanziario è possibile, ma è addirittura necessario per affrontare le sfide poste dall’ecologia. «Fino a oggi l’economia e la finanza si sono disinteressate degli impatti delle loro azioni – racconta Biggeri – anche le banche nate con intenti sociali si sono trovate a competere con un mondo in cui conta quanto è grande il portafoglio». Del resto, neppure dai vertici internazionali sono giunte nel tempo risposte più incoraggianti: nella scorsa Conferenza Onu sui cambiamenti climatici (Cop27), ad esempio, non è stato preso alcun impegno sulla riduzione o l’eliminazione dei combustibili fossili. In altre occasioni, invece, gli accordi stipulati non sono mai stati rispettati, come nel caso dei 100 miliardi di dollari destinati ad aiutare i paesi in via di sviluppo nella transizione energetica. Tanti «nulla di fatto» che hanno indotto la stessa enciclica Laudato si’ a porre un importante interrogativo: «È realistico aspettarsi che chi è ossessionato dalla massimizzazione dei profitti si fermi a pensare agli effetti ambientali che lascerà alle prossime generazioni?»La risposta, secondo Banca Etica, è in mano alla politica: sono necessarie leggi per disincentivare l’uso del petrolio fino alla sua proibizione. A questo sono utili i meccanismi di compensazione, con cui finanziare i paesi meno responsabili delle emissioni globali e pungolare – tramite disincentivi – i più riluttanti alla transizione. Ma serve anche un cambiamento culturale: «Ognuno deve fare la propria parte – spiega Ugo Biggeri – è fondamentale che ciascuno si chieda “dove vanno a finire i miei soldi”?» In Italia tre quarti della popolazione non è oggi in grado di rispondere a questa semplice domanda: secondo la società di analisi Standard & Poor’s, infatti, ben il 74% degli italiani non ha alcuna educazione finanziaria. E il problema potrebbe persistere anche con le future generazioni, una cui sparuta minoranza (15%) frequenta lezioni di economia a partire dagli anni delle superiori.
Nel frattempo, l’articolato mondo della finanza si evolve rapidamente, arricchendosi di nuovi strumenti tecnologici come le criptovalute. Sono monete digitali, le cui transazioni vengono memorizzate in una rete delocalizzata, pubblica e modificabile da tutti. Per dirla con parole semplici, è denaro che non circola in forma fisica e non è gestito da alcuna autorità centrale. Il successo degli scorsi anni ha permesso alle criptovalute di diventare una forma di pagamento accettata da svariate aziende digitali (e non solo), generando nuove incognite di natura etica. «La tecnologia in sé non crea problemi – sostiene Ugo Biggeri – ma l’uso fatto finora è inaccettabile da un punto di vista etico: per uno che guadagna tanto ce ne sono molti che perdono». Non solo. Poiché non tracciabili, le monete digitali sono diventate il veicolo più sicuro per operazioni illecite come il riciclaggio di denaro, il traffico di stupefacenti o l’acquisto di armi. A lanciare l’allarme è lo stesso Ugo Biggeri: «Non si può fare a meno di un’autorità centrale: il mercato civile ha bisogno di regole. Il Far West non è etico».