La sala del Castel dell’Ovo dove, sullo sfondo di Capri e del golfo napoletano, si sta svolgendo il decimo forum di Greenaccord quest’anno intitolato (con l’ottimismo della volontà) «un mondo senza rifiuti», si è riempita fino all’inverosimile. Non solo con i circa 50 giornalisti stranieri, davvero da ogni continente, che formano la rete globale di Greenaccord. Non solo con gli altrettanti giornalisti italiani e con le decine di studenti qui impegnati per lavori multimediali sul tema rifiuti. Ma anche con cittadini e rappresentanti di associazioni campane, comprensibilmente interessati all’argomento.La “chicca” iniziale é però venuta da un sociologo messicano, il prof. Hector Castillo Berthier, che ha raccontato le affascinanti modalità da lui utilizzate per una ricerca sui raccoglitori nelle grandi discariche di rifiuti nel mondo. Ha scelto di farsi lui stesso spazzino e raccoglitore in discarica, a Città del Messico, per studiare meglio il fenomeno. Ed è venuta fuori non solo una robusta ricerca sociologica ma pure un affascinante quadro umano con volti e storie di povertà ma anche, avrebbe detto Totó, di nobiltà. Un solo dato – riferito dal “Tacchino”, questo il nome d’arte di Hector, affibiatogli dai colleghi spazzini nella enorme discarica della capitale messicana. Sono circa 15 mila le persone che, ogni giorno, qui lavorano e qui traggono sostentamento con gli scarti altrui.Hector a parte, a ” rallegrare” gli animi sulle cattive conseguenze dello smaltimento dei rifiuti, in particolar modo con gli inceneritori e soprattutto con gli inceneritori più vecchi, ci ha pensato il prof. Federico Valerio (INCR di Genova). Impossibile qui dar conto di tutti i dati (chi è interessato può trovarli su http://federico-valerio.blogspot.com). Il senso, fidatevi, é che anche gli inceneritori migliori, quelli delle ultime generazioni, bene bene proprio non fanno. Anzi fanno proprio male. Con una postilla: la soluzione, per i rifiuti, é almeno doppia: produrne di meno e valorizzarli per il valore che essi hanno. Non sono solo ” scarti”.Intensa la tavola rotonda fra Ermete Realacci (deciso il suo appello perché venga istituito, finalmente, il reato di “avvelenamento ambientale”. Oggi non esiste. Trafficare con i rifiuti sporchi può risultare assai più conveniente e molto meno rischioso che trafficare in cocaina), Franco Roberti (fra i tanti spunti possibili del Procuratore ne raccolgo solo due: bloccare la prescrizione dei reati perché oggi é troppo facile farla franca; non scordare mai gli intrecci tra mafie e colletti bianchi, massonerie comprese), mons. Angelo Spinillo (troppo spesso il riconoscimento della natura di “peccato sociale” verso i comportamenti della criminalità organizzata é stato, nella Chiesa, limitato purtroppo solo ai documenti scritti. Ma ora si fa sul serio). Ad appassionare i napoletani e i comitati della Terra dei fuochi è stato soprattutto il prof. Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute di Philadelphia, con i suoi dati sullo stretto rapporto fra cattivo uso dell’ambiente e malattie tumorali (“qui tutti sapevano e qui tutti hanno volutamente ignorato il problema. Bisogna colpire in alto, perché è in alto che stanno menti molto sofisticate”).I cinque “consigli” finali di Ermete Realacci, sul nostro rapporto di cittadini consapevoli con un ambiente spesso purtroppo avvelenato, hanno un valore universale. Valgono, ad esempio, anche in Toscana (a proposito: il Procuratore antimafia ha citato la nostra regione non solo come terra che, in passato, esportava i suoi rifiuti tossici ma anche, oggi, come terra che – grazie a un certo know how raggiunto dalle mafie – certi smaltimenti criminali finisce per … ospitarli), valgono anche in Toscana i “consigli” di Ermete: tenere gli occhi sempre aperti, amare la propria terra, combattere per la propria terra, cambiare i nostri personali comportamenti, tenere stili i vita diversi.