«La piaga dellantisemitismo sembra inestirpabile nel mondo di oggi». Per questo «la Chiesa cattolica è obbligata a denunciare l’antigiudaismo e il marcionismo come un tradimento della sua stessa fede cristiana e ad affermare che la fraternità spirituale tra Ebrei e Cristiani ha il suo fondamento essenziale ed eterno nella Sacra Scrittura». Parola del card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e della Commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi con l’ebraismo, che oggi è intervenuto nell’Aula Minor della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino, all’edizione 2012 dell’annuale «Berrie Lecture» promossa dal Centro Giovanni Paolo II per il dialogo interreligioso. Nel suo lungo ed articolato intervento, il cardinale ha affermato che anche oggi «riemergono nella teologia cristiana il vetero-marcionismo e l’antigiudaismo» e «non solo da parte dei tradizionalisti ma anche allinterno dei filoni liberali della teologia attuale». Per questo, «si deve continuare ad accordare la dovuta attenzione alla richiesta da parte del Concilio Vaticano II, di favorire la comprensione reciproca e il rispetto tra ebrei e cristiani. Essa è il presupposto indispensabile per garantire che non ci sarà alcuna ricaduta in quel pericoloso estraneamento tra cristiani ed ebrei, che rimangono consapevoli della loro parentela spirituale». L’intervento oggi del cardinale Koch era dedicato alla dichiarazione conciliare Nostra Aetate che è il «documento base” e la “Magna Charta” del dialogo della Chiesa cattolica con lebraismo. Il cardinale ha fatto notare come il documento conciliare non si è sviluppato a partire da un «vacuum», «dal momento che da parte cristiana vi erano già stati approcci con lebraismo, sia allinterno che allesterno della Chiesa cattolica prima del Concilio. «Ma – ha aggiunto il cardinale – dopo il crimine senza precedenti della Shoah, si è fatto uno sforzo nel periodo post-bellico per avviare una riflessione circa la ridefinizione teologica del rapporto con lebraismo». «Dopo lomicidio di massa degli ebrei europei pianificato ed eseguito dai nazionalsocialisti – ha proseguito Koch – iniziò un profondo esame di coscienza su come sia stato possibile un tale scenario di barbarie nell’Occidente cristiano». Il cardinale ha quindi posto all’assemblea di Roma una serie di interrogativi: «Dobbiamo supporre che tendenze anti-ebraiche presenti allinterno del cristianesimo per secoli sono state complici nel antisemitismo dei nazisti»?. E ancora: «Tra i cristiani vi erano sia colpevoli che vittime, ma le grandi masse erano sicuramente composte da spettatori passivi che tenevano gli occhi chiusi di fronte a questa realtà brutale». «Perché la resistenza cristiana contro la brutalità senza limiti dei crimini nazisti non ha dimostrato la misura e la chiarezza che ci si sarebbe legittimamente dovuti aspettare?». La Shoah – ha detto il cardinale – «è stata certamente una delle maggiori motivazioni che hanno condotto la Chiesa cattolica a scrivere la Nostra Aetate». La dichiarazione conciliare, ha insistito Koch, «rimane la bussola fondamentale di tutti gli sforzi verso il dialogo ebraico-cattolico, e dopo 47 anni possiamo affermare con gratitudine che questa ri-definizione teologica del rapporto con lebraismo ha portato frutti abbondanti». Nel corso degli ultimi decenni, ha proseguito il card. Koch, Nostra Aetate «ha reso possibile a gruppi che inizialmente si rapportavano con scetticismo a diventare passo dopo passo partner affidabili e anche buoni amici, in grado di far fronte a crisi insieme e superare i conflitti in modo positivo». Nel delineare quindi i progressi compiuti nel dialogo, il cardinale ha parlato del contributo che il Pontificato di Giovanni Paolo II ha dato al dialogo ebraico-cattolico. Ed ha aggiunto: «Sullo sfondo di queste convinzioni teologiche non ci può sorprendere che Papa Benedetto XVI porta avanti e progredisce il lavoro di riconciliazione del suo predecessore». Ma «Mentre Papa Giovanni Paolo II ha avuto un senso raffinato per i grandi gesti e le immagini forti, Benedetto XVI si affida soprattutto al potere della parola e dell’incontro umile». (Sir)