Vita Chiesa

E noi, sappiamo ascoltare il flauto?

Uno dei problemi più drammatici del mondo occidentale è l’indifferenza religiosa. Ma anche Gesù dovette fare i conti con una situazione simile alla nostra. Nel Vangelo, il Signore si rivolge alla sua generazione con un esempio che ci offre anche un vivace affresco della vita quotidiana del tempo. Egli, infatti, la paragona a quei «bambini seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto”» (Mt 11,17).

La novità del Nuovo Testamento sta in questo: Gesù «suona il flauto» per me. E attende che io inizi la mia danza personale, seguendo però la sua musica, le sue note, il suo ritmo. Non si tratta più delle imposizioni del Decalogo, che Dio diede a Mosè sul Monte Sinai in mezzo a un fuoco divorante, a lampi e tuoni. Eppure, quella legge resta. Gesù non ne ha eliminato neanche «un iota» (Mt 5,18). Ha però trasformato i no in sì, le imposizioni in inviti, il dovere in amore. Il comando di «non avere altri dèi», così, in Lui si è trasformato in un invito a riversare in Dio tutta la nostra capacità di amore, la passionalità e ogni energia; il «non nominare il nome di Dio invano» è divenuto certezza che solo nel nome di Gesù e nell’invocazione di Lui c’è la salvezza; l’imposizione di «non uccidere», è diventata esortazione a prenderci cura del fratello con la stessa dedizione che Lui, Gesù, ha avuto per tutti noi; il «non rubare» si è trasformato in invito a donare ciò che abbiamo e, prima di ogni altra cosa, ciò che siamo. La musica che Gesù suona nel nostro tempo, ma già da 2000 anni, è quella che richiede coraggiose prese di posizione e cui, purtroppo, spesso rispondiamo con la nostra indifferenza. «Ho suonato il flauto», continua a dirci, «ma non hai ballato. Ho preparato per te una festa, ma non ti decidi a venire al mio banchetto. Ti seguo ovunque tu vada, ti cerco, ti aspetto. Ma non rispondi». Come gli israeliti del tempo di Mosè, abbiamo una paura tremenda di accostarci a quel «fuoco divorante». Anche noi, come loro, pensiamo: «Ma ora, perché dovremmo morire? Questo grande fuoco, infatti, ci consumerà; se continuiamo a udire ancora la voce del Signore nostro Dio moriremo» (Dt 5,25). Eppure, è il Signore stesso a rassicurarci che ogni suo invito è «perché tu sia felice» (Dt 6,3). Le beatitudini sono il coronamento di questa promessa: lì è il culmine della vita cristiana, lì tutte le apparenti contraddizioni trovano finalmente il loro equilibrio e un senso compiuto. Non si tratta più di «non fare» questo o quello, ma di agire, di vivere in pienezza, di attivare tutte le nostre capacità di amore, intelligenza, passionalità, volontà. Nelle beatitudini è la vera realizzazione dell’uomo. Cristo, che le ha vissute, è il nostro modello. Lui ha suonato il flauto. A noi, ora, tocca danzare.Suor Mirella Caterinadelle contemplative domenicane di Pratovecchio