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E la storia ha dato ragione a San Francesco

di Umberto SantarelliMartedì prossimo sarà il 4 d’ottobre, festa di san Francesco d’Assisi. Vien fatto di chiedersi che senso possa avere, oggi, questa festa; che cosa di nuovo e di decisivo può suggerire questo singolarissimo personaggio a chi vive la vita che noi viviamo. Intanto non si può dimenticare che c’è un’immagine, divulgata ma falsa e insignificante, d’un Francesco sognatore: una specie di ecologista in anticipo di qualche secolo, capace d’ammansire i lupi e di conversare coi passerotti; che magari potrebbe anche affascinare qualche «anima bella», ma che alla fine non avrebbe da dire nulla di decisivo a nessuno.

Come tutti i grandi santi, invece, Francesco seppe inventare e vivere l’esperienza sua e dei suoi frati con totale libertà rispetto ai modelli che al momento sembravano trionfanti. Mentre tutti erano intenti a dettar definizioni e a costruir sistemi (di pensieri e di norme) che apparissero in sé perfettamente appaganti, Francesco, quasi avesse letto e condividesse l’antica ammonizione secondo la quale «omnis definitio periculosa est», fermò la sua attenzione e costruì il proprio ideale di vita sull’immagine del Crocifisso da inverare nel vissuto quotidiano, e chiese a chi voleva condividere la sua avventura di restar fedele a questo ideale in modo semplice (e perciò intransigente), abbracciando uno stile di vita disciplinato da una regola che bisognava accettare ed osservare sine glossa. Il prodigio di San Damiano, anche se dapprima apparve di difficile interpretazione, trovò così la sua spiegazione e Francesco coi suoi frati seppe dare una mano decisiva all’indispensabile restauro della Chiesa, riuscendo però a salvarsi dal rischio mortale d’improvvisarsi «riformatore»: alla fine l’esito più alto, ma non certo trionfale in senso mondano, di quest’opera di ripristino fu raggiunto alla Verna.

In una società che stava scoprendo, per la prima volta, il valore della mercatura fondata sul danaro che nelle mani sapienti del mercante era in grado di produrre altro danaro, il figlio brillante d’un mercante d’Assisi scelse per sé e per i suoi frati il carisma esigente d’una rigorosissima povertà. Non per disprezzo del mondo in cui viveva e di cui conosceva di persona lo spirito e la cultura, ma per procurargli «dal di dentro» una carta di navigazione che lo salvasse senza condannarlo alla sterilità. La storia alla fine gli dette ragione: basterebbe solamente pensare ai Monti di Pietà, dove una parte non piccola delle ricchezze che i mercanti guadagnavano erano impiegate a vantaggio dei più poveri.

Pensò anche di partire Crociato; ma anche questa, che lì per lì poteva apparire un’ispirazione, ha dato i suoi frutti lungo un itinerario assai diverso, ma che alla lunga è stato, anche quello, fecondo di storia. Certi fatti accaduti di recente a Betlemme hanno dimostrato all’evidenza che dove ancor oggi si soffre per l’incapacità dei cosiddetti protagonisti di costruire una pace vera, le posizioni più rischiose ma più semplici e immediatamente convincenti sono occupate da chi ha ascoltato e messo in pratica – anche qui sine glossa – la lezione di Francesco.