Cultura & Società

E Benigni portò l’Inferno in piazza

di Andrea FagioliAlla fine è riuscito nel suo intento: far apprezzare la poesia di Dante ai 5 mila che affollavano la fiorentinissima piazza Santa Croce per la prima della tredici serate del «TuttoDante». Eppure, lui, Roberto Benigni, era partito da lontano, anzi da vicino: dall’attualità delle sentenze di «calciopoli». Lui, che di calcio notoriamente non s’intende e non s’interessa, non poteva non esordire (il 25 luglio sera) con la notizia di qualche minuto prima circa la «salvezza» della Fiorentina: «Se si andava in serie B lo spettacolo non si faceva. C’era pronta una bomba qui in Santa Croce e si buttava giù anche Palazzo Vecchio» nonostante «che Dante in serie B ci fosse finito e anziché bloccare le stazioni scrisse la Divina Commedia, il poema più grande di tutti».

Ma prima dei versi immortali («che soltanto gli occhi di una donna possono ispirare»), c’è il tempo di un dialogo con la severa statua del divin poeta che sovrasta il palco allestito ai piedi della basilica francescana.

Benigni si scusa se a leggere la Divina Commedia in questa piazza c’era Boccaccio e adesso c’è lui, «ma i tempi sono questi: basti pensare che il ministro della giustizia è Mastella». E se a Dante non piace l’attuale presidente del Consiglio, «tu dovevi vedere quello che c’era prima», risponde Benigni. Ma ce n’è per tutti, anche per il ministro Bersani, «inseguito dai taxi-armati», o per Biscardi, che «fa errori di grammatica anche quando sta zitto».

Un vero e proprio fiume in piena che lentamente si placa quando il comico toscano (originario di Misericordia in provincia di Arezzo e cresciuto al Vergaio nei pressi di Prato) si avvicina al leggio con su il testo del primo Canto dell’Inferno: Nel mezzo del cammin di nostra vita… «Versi famosissimi, più ancora dell’essere o non essere di Shakespeare», che poi anche l’amico d’infanzia, Marione del Vergaio, in qualche modo ripetè quando si trovò a decidere se lasciare il mestiere di tessitore per andare a fare il meccanico: «Tessere o non tessere, questo è il problema». Poi, Marione scelse di fare il meccanico e sulla porta della bottega mise un cartello: «Qui si raccomodano biciclette e motorini anche rotti».

Ma il vero problema, dice Benigni, «è che Shakespeare non ha sfiorato il divino, Dante sì. E quando leggiamo un verso della Divina Commedia diventiamo anche noi un po’ Dante Alighieri. La poesia ha il grande dono di tirare fuori i sentimenti che noi non siamo capaci di tirare fuori. Non si può rendere facile la Divina Commedia ma io cercherò di renderla meno difficile». Ed è così che Benigni s’improvvisa professore: legge e spiega da par suo, fa esegesi del testo, interpreta i protagonisti, Dante stesso e Virgilio, «due ragazzi, due grandi amici, che si sono voluti un bene dell’anima».

Benigni esalta il Medioevo, «un secolo spettacolare, pieno di colori», che non è poi così lontano: «Il 1300 era ieri, basta mettere in fila dieci vecchi di 70 anni per arrivare a Dante, a colui che ha reso nobile il verso. E se stasera sentirete l’inesprimibile, forte, arcana bellezza dei versi, stasera sarà accaduta una cosa grande».

Le luci si abbassano, Santa Croce s’illumina d’azzurro, i palazzi di rosso, Benigni declama a memoria l’intero primo Canto dell’Inferno: «…Allor si mosse, e io li tenni dietro». Parte l’applauso, i 5 mila si alzano in piedi.Qualcosa di grande è accaduto davvero.

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