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E alla Corte di Giustizia si decide il futuro della feta greca

«La feta è sinonimo della Grecia» esclamava – indignato – il rappresentante del governo ellenico davanti ai giudici della Corte di Giustizia della Comunità Europea (Corte di Giustizia) durante l'udienza del 15 febbraio scorso. «La feta esprime una cultura – proseguiva – una storia, una tradizione gastronomica e non una semplice ricetta diventata generica». Non erano dello stesso parere i rappresentanti del governo danese e tedesco, che avevano introdotto il 30 dicembre 2002, con l'appoggio della Francia e del Regno Unito, un ricorso per annullare il regolamento n. 1829/2002 della Commissione Europea che faceva della feta, appunto, una «denominazione di origine protetta». DI ASEM KHALIL

di Asem Khalil«La feta è sinonimo della Grecia» esclamava – indignato – il rappresentante del governo ellenico davanti ai giudici della Corte di Giustizia della Comunità Europea (Corte di Giustizia) durante l’udienza del 15 febbraio scorso. «La feta esprime una cultura – proseguiva – una storia, una tradizione gastronomica e non una semplice ricetta diventata generica». Non erano dello stesso parere i rappresentanti del governo danese e tedesco, che avevano introdotto il 30 dicembre 2002, con l’appoggio della Francia e del Regno Unito, un ricorso per annullare il regolamento n. 1829/2002 della Commissione Europea che faceva della feta, appunto, una «denominazione di origine protetta».

Ora la Corte dovrà scegliere tra le due posizioni: considerare la feta come un alimento generico (come la pizza, per esempio), oppure no, assicurando così la protezione necessaria al nome, come avviene, per esempio, per lo champagne. Nel secondo caso, la decisione della Corte di Giustizia avrà ripercussioni economiche consistenti sugli stati membri. Prendiamo la Francia per esempio: nel 2003, la feta costituiva il 6,96% delle 86.339 tonnellate di formaggio francese esportato verso 149 paesi.

Oltre a imparare la ricetta di quel formaggio bianco delizioso, essere tra il pubblico – stranamente numeroso e particolarmente attento – mi ha introdotto nel modo più «digeribile» (visto che parliamo di gastronomia!) alla conoscenza dell’organo giurisdizionale del sistema comunitario, sempre più presente nella vita dei cittadini dell’Ue. Oltre gli stati e le istituzioni comunitari, anche le persone fisiche e morali hanno accesso diretto davanti alla Corte di Giustizia, pur essendo un accesso limitato (atti comunitari in violazione della libera concorrenza, per esempio). Il rinvio pregiudiziale offre, invece, ai cittadini la possibilità di adire alla Corte di Giustizia, in via indiretta, tramite le domande rivolte dai giudici nazionali nell’ambito delle cause pendenti davanti a loro.

Il giudice nazionale, infatti, rimane il giudice di diritto comune per assicurare l’applicazione del diritto comunitario. Questo compito non è per niente facile. In questo senso, il trattato che istituisce la Costituzione europea sembrerebbe il benvenuto favorendo l’accessibilità del diritto comunitario di base. Purtroppo non è così. Prendiamo un solo caso: per la prima volta, i diritti fondamentali faranno parte di un trattato comunitario. Il giudice nazionale, dunque, sarà tenuto ad osservare tre diversi elenchi di diritti fondamentali, che non coincidono necessariamente: primo, quelli della propria costituzione nazionale; secondo, quelli della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (Convenzione) sotto il controllo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) e, terzo, quelli del trattato costituzionale, sotto il controllo della Corte di Giustizia. In più, il trattato costituzionale abilita la comunità europea a far parte della Convenzione. Nell’articolo II.325.6. si legge infatti che, previa approvazione del Parlamento europeo, il Consiglio adotta l’«adesione dell’Unione alla Convenzione». Una novità rivoluzionaria rispetto alla giurisdizione della Corte di Giustizia che dichiarò, in un parere emanato il 26 marzo 1996, che «nello stato attuale del diritto comunitario, la Comunità non ha competenza per aderire alla Convenzione».

La situazione attuale ha due limiti: uno teorico e l’altro reale. La Corte di Giustizia rimane libera di respingere la Convenzione e allontanarsi dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, anche se non lo ha mai fatto perché essa considera quei diritti come principi generali impliciti nel diritto comunitario e deducibili dalle costituzioni degli stati membri. Rimane invece un altro limite più reale: il giudice comunitario non può, per definizione, rimettere in discussione gli atti comunitari originari (i trattati).

La Cedu si è sempre considerata, giustamente, incompetente, ratione personae, a ricevere ricorsi contro la Comunità Europea. La possibile adesione dell’Ue risponderebbe, dunque, alle legittime inquietudini di coloro che temono che il progresso del diritto comunitario porterebbe al regresso della Convenzione. Questa possibile adesione, però, fa sorgere due interrogativi che necessitano una riflessione seria: primo, quale sarà il ruolo che la Cedu (istituzione, ricordiamolo, «estranea» all’Ue) ha sul diritto comunitario? Secondo, quale sarà il rapporto tra la Cedu e la Corte di giustizia?