Arte & Mostre
Duccio e i suoi «fratelli» riuniti dopo un secolo
L’idea di fondo di questa mostra, diretta dal soprintendente di Siena Bruno Santi e alla quale sta lavorando un comitato scientifico composto oltre che da Alessandro Bagnoli anche da Roberto Bartalini e Luciano Bellosi, dell’Università di Siena, e Michel Laclotte del Museo del Louvre di Parigi, è di «documentare il percorso artistico di Duccio e di metterlo a confronto con l’attività degli allievi, che sono tanti, che seguitano nello stile di Duccio per almeno due generazioni. Quindi ci spiega ancora Bagnoli ci sono opere dei nipoti, dei pronipoti. Poi ci sono anche esempi di opere dei grandi maestri che partirono da Duccio ma che fortunatamente presero strade indipendenti, come Simone Martini, Ambrogio e Pietro Lorenzetti. Sarà una grande raccolta, una sorta di museo virtuale di grande valore».
Accanto all’esposizione è stato poi organizzato un itinerario che permette di visitare tutti i luoghi in Siena e nelle vicinanze dove ci siano ancora testimonianze di pittura murale di Duccio e dei suoi seguaci. «Questa è una novità da sottolineare precisa Bagnoli perché la storiografia degli ultimi decenni era arrivata ad una convinzione del tutto diversa che addirittura Duccio e i suoi seguaci, ma soprattutto Duccio, non avessero dipinto mai all’affresco. Il che è una convinzione poco storica perché nelle botteghe tardomedievali si produceva di tutto, non c’era una specializzazione alla moderna. Duccio, come Giotto, faceva di tutto: i grandi affreschi, le grandi tavole, ma non disdegnava nemmeno di decorare lo scudo di un cavaliere o l’insegna di una bottega». Ecco perché «oggi si vuol ribadire l’attribuzione a Duccio del bellissimo affresco che fu scoperto nel 1980 nel Palazzo pubblico di Siena, poco sotto il Guidoriccio da Fogliano di Simone Martini, con un castello e due personaggi». Quella scena con la Consegna del castello di Giuncarico ne è convinto Bagnoli «è opera di Duccio del 1314 come aveva proposto Luciano Bellosi». Da questo affresco «la visita si diffonde nella chiesa dei Servi o nella chiesa di S. Martino o in una chiesetta sulla montagnola senese dove ci sono numerosi affreschi ducceschi finora inediti». E in questo percorso sarà inserita anche la visita alla cripta del Duomo, che tanto ha fatto parlare i giornali, «che è l’ultima scoperta e che soprattutto ci permette di vedere una serie di affreschi di artisti di grande importanza ma della generazione precedente a Duccio, affreschi che documentano la grandezza della scuola senese da cui il maestro è partito».
Rispetto alla mostra del 1912, che celebrava, seppure con un anno di ritardo, il sesto centenario dell’esecuzione della celebre Maestà che stava sull’altare maggiore del Duomo, cosa porta di nuovo questa rassegna alla conoscenza di Duccio? «Quella del 1912 fu una tappa importante per gli studi ducceschi che stavano partendo proprio allora. Dietro a quella mostra c’erano le personalità di Giacomo De Nicola, funzionario della Soprintendenza e poi direttore del Bargello e di un vecchio erudito, il canonico Vittorio Lusini che è stato lo storico del Duomo di Siena. Furono loro ad organizzare la mostra e a porre le basi per lo studio di Duccio. Da allora la bibliografia è diventata enorme, quasi ingestibile. E oggi si fa un po’ il punto su cent’anni di storiografia. Oggi però si ha una coscienza più chiara, per cui si può organizzare la mostra come un itinerario che segue tre generazioni di pittori. Questa mostra è più contestualizzata nel suo tempo e con una chiarificazione di cronologia interna, per cui ci sono i precedenti, Duccio, i maestri contemporanei che guardano Duccio, la prima generazione di maestri ducceschi e una seconda generazione».
Ma qual è, in estrema sintesi, la grandezza di Duccio, così come emergerà da questa mostra? «È quella nota ci risponde Bagnoli di un grande pittore che fonda la scuola senese, sa guardare alle novità di Cimabue, sa subito guardare anche alle novità di Giotto. Si pensa sempre alla Maestà come un’opera tutta bizantina, per il suo aspetto così aulico, così regale. Invece è moderna e risente molto delle novità giottesche per quanto riguarda le indicazioni dello spazio, della concretezza delle figure. Ovviamente Duccio poi la vede sotto tutto un altro aspetto, anche per il soggetto della Passione che lo portavano ad essere così alto, ma è un pittore che sa stare al passo coi tempi. E poi i suoi seguaci. Alcuni seguono il suo stile in maniera fedele, altri, come Simone i fratelli Lorenzetti, partono da lui, cioè hanno una formazione probabilmente nella sua bottega o comunque lo guardano da giovani, per poi prendere strade che porteranno la scuola senese a dei livelli di grandezza e di novità che nemmeno a Firenze ci sono. Rispetto ai pittori giotteschi fiorentini, Simone Martini e i fratelli Lorenzetti, hanno un passo in più».
In questi mesi si sta finendo di mettere a punto il nuovo ambiente; è stato completato lo svuotamento, perché il locale, abbandonato nel XIV secolo, era stato interrato come piano di posa per il pavimento del commesso marmoreo del Quattro-Cinquecento. Adesso si sta lavorando al restauro degli affreschi che saranno visibili a piccoli gruppi su prenotazione e a numero chiuso, perché è un locale molto delicato. «Di molto duccesco» secondo Bagnoli, c’è qualcosa in una figura di santo vescovo benedicente: «La situazione della cripta è molto complicata: è un insieme figurativo che si può datare negli anni ’70 del Duegento, quindi i maestri sono piuttosto Guido da Siena Diotisalvi di Speme, Rinaldo da Siena: i maestri che Duccio ha visto da giovane. Poi c’è questo santo vescovo, forse dovuto al grande maestro, aggiunto nell’ultimo momento in cui questa cripta era ancora in servizio».