Arte & Mostre
Duccio come non avete mai visto
Il fenomeno è così complesso che la nostra preoccupazione è stata quella di dare alla mostra una scansione temporale molto rigida, suddividendola per generazioni. Si parte con i maestri precedenti a Duccio, dai quali lui ha attinto o si potrebbe dire è stato a scuola. Poi abbiamo il periodo iniziale di Duccio, il suo rapporto con Cimabue per arrivare a compiere la Maestà di S. Maria Novella, un’opera per lungo tempo creduta di Cimabue. Quindi, gli elementi più importanti della sua carriera centrale, collocabile dall’ultimo decennio del Duecento ai primi del Trecento, quando Duccio comincia a confrontarsi con le novità di Giotto combinando uno stile che è una soluzione mista: da una parte la tradizione bizantina, la «maniera greca», come diceva Vasari, ma mischiata al «moderno», cioè guardando anche alle novità di Giotto. Così abbiamo, ad esempio, la rappresentazione di troni di carattere architettonico, reali, come fa ad Assisi, che sostituiscono quei curiosi baldacchini lignei caratteristici della maniera bizantina.
Dopo questo momento si arriva alla fondamentale Maestà, che occupa Duccio dal 1308 al 1311. È la più grande tavola del primo Trecento in Italia, subito celebratissima: si sa dalle cronache che fu portata trionfalmente in processione con una venerazione del tutto particolare per questa immagine della Madonna destinata all’altare maggiore del Duomo.
Tenendo fissi questi momenti del percorso artistico di Duccio, la mostra documenta anche i maestri a lui legati. C’è una prima generazione, che parte dalla sua fase iniziale: sono i contemporanei di Duccio, influenzati dalla sua maniera forte, come il Maestro di Badia Isola, il Maestro di Città di Castello, pittori di cui non conosciamo il nome ma la cui attività è stata ricostruita grazie all’attività filologica degli studiosi del Novecento.
Nella seconda generazione abbiamo invece anche dei nomi veri, come Segna di Bonaventura e Ugolino di Nerio, che è il pittore senese più famoso, che ha una grande fortuna a Firenze, dove riesce a piazzare due pale molto importanti addirittura in Santa Croce e in Santa Maria Novella, dimostrando di avere anche buone entrature. E questo essere attivo a Firenze gli ha procurato una grande fama tant’è che è l’unico dei pittori ducceschi ad avere l’onore di una Vita del Vasari.
Infine c’è una terza generazione che è formata da pittori allievi della seconda: per esempio Niccolò di Segna e Francesco di Segna, i figli di Segna di Bonaventura, o Bartolomeo Bulgarini, un gran «conservatore» nel senso positivo del termine che mantiene molto della maniera di Duccio pur guardando con grande intelligenza alle novità gotiche, eleganti e sofisticate di Simone Martini. Bulgarini è un pittore importantissimo perché è uno dei pochi che viene ricordato anche nelle fonti contemporanee come attivo e di gran valore alla metà del Trecento.
La mostra si avvale di prestiti prestigiosi: la regina Elisabetta, ad esempio, ha concesso un Trittico eccezionale per la qualità artistica e la conservazione e che non è molto facile vedere. Da Berna viene un’altra piccola Maestà, un’opera antica di Duccio, che ci documenta la sua fase più legata alla cultura bizantina. Da Filadelfia vengono due Angeli che erano sui pinnacoli della Maestà. La parte più grande della mostra con il percorso di Duccio e quello dei suoi seguaci è all’interno del Santa Maria della Scala, ma altra sede, con la Maestà, è l’Opera del Duomo di Siena. Dall’Opera però abbiamo preso la predella e il coronamento della Maestà che sono per la prima volta ricomposti per dare l’idea di che insieme formassero.
Per la mostra abbiamo fatto uno sforzo notevole per una stabile conservazione di tutte queste opere, una cosa a cui teniamo molto come Soprintendenza. E non solo per le opere presenti in mostra, ma anche per quelle che sono ancora nelle chiese o che sono intrasportabili. Gran parte dell’attività dei restauri è stata riservata al recupero e alla riscoperta vera e propria di cicli o frammenti di affreschi ducceschi. Una specie di pregiudizio critico nella seconda metà del Novecento aveva portato ad affermare che Duccio e i maestri legati a lui non dipingessero ad affresco. È una grossa banalità, intanto perché nel medioevo gli artisti non hanno una specializzazione come la possiamo pensare noi moderni: la bottega di un artista faceva di tutto. Tant’è che dello stesso Duccio sono venute fuori testimonianze ad affresco, come il famoso Castello di Giuncarico, scoperto nel 1980 sotto il Guidoriccio nel Palazzo Pubblico a Siena. E proprio questo pregiudizio aveva fatto arricciare il naso ad alcuni critici dubbiosi, mentre i confronti di stile di Luciano Bellosi fra questo affresco e le Storie della Maestà dimostrano senza ombra di dubbio che siamo di fronte ad un’opera della maturità di Duccio, dipinta nel 1314 per il Comune di Siena. E dopo di lui anche i maestri a lui legati, da quelli della prima a quelli della seconda e terza generazione, hanno dipinto chilometri quadrati di chiese. Tutte queste testimonianze, un po’ malamente scoperte nel corso del Novecento, non erano ben lette nel loro carattere duccesco. Oggi, liberati da questo condizionamento critico, li possiamo invece valutare come delle testimonianze duccesche di grande interesse.
Restaurando questi cicli di affreschi abbiamo fatto anche delle scoperte, come nella Collegiata di Casole d’Elsa, dove abbiamo recuperato la volta di una cappella funebre dei signori del luogo, gli Aringhieri, con affrescato il Giudizio Universale, sotto il quale vi era una grande Maestà, cioè una Madonna in trono, e ai piedi i due personaggi principali di questa famiglia. Oppure c’è una chiesetta, dall’aspetto semplice, San Lorenzo a Colle Ciupi che è piena di affreschi, scoperti agli inizi del ‘900 e poi dimenticati, prodotti da pittori ducceschi nell’arco di un trentennio a partire dagli ultimi anni del Duegento. Per questo la mostra invita il pubblico ad un itinerario in alcune chiese sia a Siena che nei dintorni per rendersi conto di questo patrimonio di pittura murale spesso sconosciuto.
Promossa dalle maggiori istituzioni cittadine, quali Banca e Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Università, Soprintendenza, Comune e Opera della Metropolitana, e posta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, la mostra prende spunto dal restauro della grande vetrata circolare duccesca che con i suoi sei metri di diametro domina l’abside del Duomo di Siena. Un’opera, questa, molto importante nel percorso artistico di Duccio che, attorno al 1287, fornì non solo il cartone preparatorio, come si riteneva finora, ma eseguì anche il disegno nero a pennello che definiva sulle lastre di vetro colorato gli aspetti più minuti delle figure dai lineamenti dei volti ai panneggi delle vesti e che è in assoluto una delle più belle realizzate in questa tecnica nell’Italia medievale.
Attorno a questa vetrata ed alla Maestà la mostra raccoglie un centinaio di opere fra dipinti, sculture, codici miniati, oreficerie, che ci restituiscono il clima culturale di Siena fra la fine del Duecento e i primi decenni del Trecento. La grande varietà delle opere esposte ha suggerito ai curatori della mostra, che peraltro è dedicata al grande storico dell’arte Enzo Carli, di articolare un percorso in otto sezioni. Una prima sezione sarà dedicata ai pittori che godevano di una buona fama prima dell’affermazione di Duccio come Dietisalvi di Speme, Guido da Siena, Vigoroso da Siena ed altri, ma soprattutto in questa sezione si potrà godere di opere normalmente inaccessibili come la straordinaria tavola con Cristo e la Vergine in trono, custodita nel convento di clausura delle Clarisse di Siena, ancora completamente legata alla tradizione bizantina.
La seconda sezione indaga sui rapporti intercorsi tra Cimabue, Duccio e il giovane Giotto, ben rappresentati dalla Madonna col Bambino del Museo di Arte Sacra di Castelfiorentino, già attribuita allo stesso Duccio, ma oggi ritenuta frutto della collaborazione fra i due maestri fiorentini, ed accostata alla Madonna di Crevole dove si riscontrano forti similitudini iconografiche e compositive. Questo celebre capolavoro giovanile di Duccio introduce al percorso sul grande maestro: una quindicina di capolavori provenienti da Siena e da musei stranieri, fra i quali la Maestà, visibile al Museo dell’Opera, che ci forniscono una panoramica della sua opera.
Tre sezioni sono dedicate ai seguaci di Duccio, iniziando dal Maestro di Badia ad Isola, per proseguire con i cosiddetti pittori della seconda generazione, fra i quali Segna di Bonaventura, e finire con i pittori della terza generazione rappresentato da un nutrito gruppo di tavole fra le quali la Crocifissione dell’Ermitage, opera di Bartolomeo Bulgarini.
La mostra non si limita a presentare dipinti e a testimonianza della grande influenza del magistero duccesco vengono esposte una serie di oreficerie di assoluta eccellenza realizzate da grandi orafi come Guccio di Mannaia.
Per chi volesse approfondire la conoscenza della pittura duccesca, accanto alla mostra vera e propria, sono stati predisposti alcuni itinerari che si snodano tra monumenti notissimi e suggestive località appartate. L’itinerario prende avvio dal grandioso ciclo di pittura murale duecentesca rinvenuto nella cripta del Duomo di Siena ed ora accessibile al pubblico per la prima volta proprio in occasione della mostra. Sulle pareti si snodano scene dell’Antico e del Nuovo Testamento, motivi geometrici e vegetali, realizzati fra il 1270 e il 1275, che colpiscono per la vivacità dei colori, non sbiaditi da una secolare esposizione alla luce solare, e al contempo arricchiscono la conoscenza della pittura senese gettando una luce sulla diffusione della tecnica dell’affresco nell’ambiente duccesco.
Si passa poi nel Palazzo Pubblico di Siena, straordinario «contenitore» di capolavori come il Guidoriccio da Fogliano di Simone Martini e il ciclo del Buongoverno di Ambrogio Lorenzetti e dove si può ammirare una delle ultime realizzazioni di Duccio: la Consegna del castello di Giuncarico, databile al 1314 ed eseguito per celebrare una conquista territoriale dello stato senese durante la sua espansione in Maremma.
Ancora a Siena si trovano testimonianze della larga diffusione della pittura murale due-trecentesca in un ambiente alla base del campanile della chiesa di San Martino, dove resti della decorazione di una cappella recante la data 1333 sono in gran parte attribuibili a Francesco di Segna, fratello del più noto Niccolò. Appartiene invece alla cerchia di Simone Martini, pur riecheggiando ancora modelli ducceschi, la Crocifissione affrescata sotto il finestrone.
Sempre in città, nella chiesa di Santa Maria dei Servi, si conserva la Madonna del Bordone eseguita nel 1261 da Coppo di Marcovaldo, e in due cappelle attigue all’abside, la cappella Petroni e la cappella Spinelli, si trovano degli affreschi dovuti per la maggior parte a Niccolò di Segna e ad un anonimo artista aggiornato sui modi di Pietro Lorenzetti.
Una trasferta a Casole d’Elsa consentirà di ammirare non solo il grandioso affresco con la Madonna in maestà con angeli e santi del «Maestro degli Aringhieri», oggi nel Museo d’arte sacra, ma anche i resti di affreschi della cappella Aringhieri e quelli riferibili al «Maestro di Badia a Isola» nella stessa Collegiata.
In San Lorenzo al Colle Ciupi (Monteriggioni) inediti affreschi decorano la piccola chiesa romanica. Sono figurazioni eseguite da diversi maestri tra la fine del Duecento e gli anni ’30 del Trecento, un raro esempio che permette di mettere al confronto tre diverse generazioni di pittori ducceschi.
Sempre a Monteriggioni, nella vicina pieve dei Santi Giovanni e Paolo a Santa Colomba, troviamo due grandi scene ispirate alla vita di Maria e di Cristo, opera di due pittori che, ancora nel terzo decennio del Trecento, si dimostrano ancora legati alla lezione di Duccio.
Infine a Monteroni d’Arbia, nella chiesa dei Santi Giacomo e Cristofano a Cuna, si trovano affreschi restaurati negli anni ’90, con un piccolo ciclo di Storie di Cristo e immagini di Santi, attribuiti a Niccolò di Segna.
Il sito ufficiale della mostra