Vita Chiesa

Dopo Colonia: I frutti della GMG? Maturano in parrocchia

di Riccardo BigiLa domanda ricompare, puntuale, dopo ogni Giornata Mondiale della Gioventù: e adesso? Come evitare il rischio che l’evento, con le sue emozioni, la sua intensità, i suoi messaggi resti un fatto isolato? Come riversare questa ricchezza nella vita ordinaria delle parrocchie e delle diocesi?

Don Enrico Cassanelli, salesiano, responsabile della pastorale giovanile della diocesi di Prato, si dice fiducioso: «L’esperienza del passato ci dimostra che le varie GMG, da Denver, a Manila, a Parigi, a Toronto, per non parlare del Giubileo dei Giovani, hanno sempre lasciato una traccia, un’impronta profonda. Magari sull’immediato è difficile vedere i frutti, ma nel lungo periodo vengono fuori».

Quella di Colonia è stata una Giornata Mondiale segnata anche da molti disagi, da un’organizzazione spesso insufficiente. Quali sono invece i segni positivi?«Prima di tutto la grande partecipazione, da tutte le diocesi della Toscana: tanti ragazzi pronti a viaggiare, a andare lontano indicano che ormai la GMG è un appuntamento a cui si sente di non poter mancare, un evento che fa parte di un progetto di largo respiro iniziato da Giovanni Paolo II vent’anni fa. E poi, il fatto che a eventi come questo partecipano anche ragazzi che non sempre sono assidui nel frequentare le iniziative di pastorale giovanile: la GMG è un’occasione per coinvolgerli, per agganciarli. È un ottimo momento in cui “gettare la rete” e vedere cosa viene su».

Qualcuno dice che la Chiesa riesce a riempire gli stadi di giovani, e poi la domenica si ritrova in parrocchia solo gli anziani. Come si spiega questo paradosso?

«Più che un paradosso, direi che è la grande sfida: farsi comprendere dai giovani, usare un linguaggio che loro possano capire. Spesso la liturgia domenicale per loro è incomprensibile, lontana dal loro modo di vivere, anche di vivere la fede. Va detto anche che quella di cercare sempre l’evento è una tendenza generale dei nostri giorni, le piccole iniziative non riescono più a smuovere le persone: questo è vero non solo per la Chiesa, succede anche in altri campi. Giovanni Paolo II è stato tra i primi a capirlo. Poi magari è vero che tanta gente arriva alla GMG richiamata dall’attenzione mediatica, dall’amicizia, dalla curiosità. Ma quando è qui, ha la possibilità di incontrare Cristo».

Da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI: come è stato il passaggio?

«È come quando cambia un parroco, anche se si devono fare le dovute proporzioni: ogni persona porta le proprie caratteristiche, ma raccoglie anche i frutti del predecessore. Giovanni Paolo II ha creato la GMG, e l’ha plasmata su di sè. Benedetto XVI è un intellettuale, è più introverso, meno comunicativo. Ma ha la capacità di unire una profondissima cultura a una grande semplicità, riesce a farsi capire, a dire con chiarezza cose importanti, per questo sono sicuro che continuerà ad affascinare i ragazzi».

Adesso cosa devono fare le parrocchie e le diocesi per non disperdere quel patrimonio che è la GMG, e per trasmetterlo anche a chi a Colonia non c’era?

«Molte iniziative sono già presenti nei programmi pastorali dei prossimi mesi. Ma io credo molto anche nell’intuizione dei ragazzi, nella loro fantasia e capacità comunicativa. Da eventi come questo nascono scintille che è difficile prevedere. Un valore aggiunto è rappresentato dai legami d’amicizia nati tra i ragazzi di parrocchie diverse: questo renderà più facile organizzare iniziative comuni, dove il ritrovarsi è già un evento».

Un’altra critica che a volte viene fatta è che i giovani che vanno ad incontrare il Papa, in realtà nella vita privata non seguono gli insegnamenti della Chiesa…

«Questo è un rischio reale, che non riguarda solo i giovani e non riguarda solo la Chiesa: la crisi di valori morali abbraccia tanti ambienti. Aiutare i ragazzi ad essere consapevoli di questa schizofrenia sarebbe già un risultato. Questo deve avvenire nella normalità quotidiana: il grande evento come la GMG, da solo, non basta. Questo non significa puntare il dito e dire “ma come, sei stato a Colonia e guarda invece come vivi”. Sarebbe troppo facile, e inutile. Dobbiamo essere più delicati, portare i giovani a scoprire da soli questa contraddizione, a sentire l’esigenza di eliminarla».