La Chiesa invia i governi a rivedere le politiche e le regole che compromettono la tutela dei diritti fondamentali delle donne migranti, come la lotta contro gli abusi sul lavoro e gli abusi sessuali, l’accesso ai servizi sanitari, all’alloggio, alla nazionalità, ai ricongiungimenti familiari e all’assistenza delle giovani madri. Ad esempio non ci sono ancora, in tutto il mondo, leggi al servizio della maternità e che tengano nel dovuto conto il fatto che la donna ha un proprio modo di gestire le diverse realtà. E’ l’appello che mons. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei migranti e degli itineranti, lancerà domani a Saly, in Senegal, in apertura del convegno sul tema Il volto femminile delle migrazioni, organizzato da Caritas Internationalis fino al 2 dicembre. A questo proposito si esortano gli Stati a ratificare la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, firmata solamente da 42 Stati. Nella relazione diffusa oggi mons. Vegliò ricorda che l’emigrazione femminile ha oramai superato, in alcuni Paesi, quella maschile, soprattutto perché le donne vengono chiamate a svolgere lavori domestici, di assistenza agli anziani, ai bambini, ecc. Ma spesso, evidenzia mons. Vegliò, sono coinvolte nel lavoro sommerso, private dei diritti umani più elementari e a volte abusate nella sfera domestica. Le cifre della prostituzione citate dal vescovo parlano di 4 milioni di donne nel mondo (di cui 2 milioni minorenni), per un giro d’affari di 12 miliardi di dollari l’anno, la terza attività illegale più redditizia al mondo, dopo il commercio di armi e di droga. Uno sguardo sulla storia osserva ci fa constatare che solitamente la donna è stata considerata a lungo come subordinata all’uomo. Molte cose sono cambiate nel corso dei secoli, ma la comunità internazionale presta ancora una insufficiente attenzione a certe questioni fondamentali. Mons. Vegliò ricorda, inoltre, che la Chiesa si mobiliterà affinché la legislazione sulla libertà religiosa sia improntata ad uno spirito di correzione e di rispetto reciproco. La Chiesa continuerà anche ad accogliere fraternamente i migranti provenienti dalle Chiese sorelle, a condividere con loro la ricchezza della diversità. Mons. Vegliò auspica anche, nella Chiesa, il riconoscimento di una presenza adeguata e di una giusta ministerialità della donna.Si tratta ha affermato il presidente del dicastero vaticano – di riconoscerne il ruolo specifico in un progetto di Chiesa nel quale l’uomo e la donna, con doni e compiti particolari e complementari, possano realizzare il meglio di sé secondo il progetto di Dio. In quest’ambito non mancano segni positivi, ha precisato mons. Vegliò, ma rimangono ancora numerose difficoltà da superare, pregiudizi da vincere, principi e obiettivi da realizzare. L’insufficiente possibilità concreta di partecipazione sociale, politica e culturale che la società civile garantisce oggi alla donna ha sottolineato si ripercuote anche sulle nostre comunità cristiane, chiamate perciò a valorizzare prima di tutto i valori di riferimento, il vissuto quotidiano e la cultura della donna immigrata.Sir