Vita Chiesa

Don Vincenzo Savio: un libro racconta «l’avventura del vescovo sorridente»

di Renato Burigana

«Ho sempre ammirato  in lui uno splendore di virtù umane e sacerdotali: il calore umano che si fa prossimo a tutti nella stima e nell’attenzione a ciascuno, scelto e cercato come figlio di Dio». Sono le parole con le quali il cardinal Bertone presenta il libro di Antonio Miscio, Vincenzo Savio. La meravigliosa avventura di un vescovo sorridente. Elledici, 2008, pp. 436.

Innanzi tutto è doveroso un ringraziamento a don Miscio, prete salesiano, che ha avuto la pazienza di incontrare i tanti amici e collaboratori di don Vincenzo (nella foto al momento dell’ingresso in diocesi di Belluno) e di ripercorrerne tutte le tappe della sua vita e della sua storia. Breve ma intensa. Lavoro non facile, perché don Savio è stato protagonista della storia ecclesiale di Livorno, Firenze, Savona e Belluno. Accanto alla sua attività di salesiano, sempre impegnato anche all’interno della Congregazione del quale faceva parte.  Un libro scritto, con freschezza narrativa e quindi di facile lettura, che narra  la stupenda vita di questo cristiano, amante di Gesù e della sua Chiesa. Nel volume si ripercorre la vita di don Savio dalla sua infanzia, alla formazione, ai suoi numerosi e prestigiosi incarichi, sempre accettati e ricoperti con una completa docilità alla volontà di Dio e dei suoi superiori.

Un volume che può aiutare i cristiani, come scrive il cardinale Piovanelli, nella sua introduzione, a camminare nella Chiesa con rinnovato vigore e con nuovi stimoli. «E don Vincenzo – scrive Piovanelli, che lo volle come segretario del Sinodo Fiorentino, il primo dopo il Vaticano II – è stato sempre la sentinella che vegliava per scoprire e indicare le vie del domani, lo studioso attendo dei fenomeni e delle idee e il sostenitore del confronto e della libertà di intervento, l’amico che ti si metteva accanto per farti capire accompagnando i tuoi passi» (pag. 9).

Il volume realizzato utilizzando scritti di don Vincenzo, lettere, discorsi, interventi pubblici si avvale di una serie di testimonianze raccolte con pazienza, spostandosi da un capo all’altro dell’Italia. Testimonianze di vescovi (Piovanelli, Ablondi, Andrich), sacerdoti e laici. Dei laici soprattutto Vincenzo ne era uno scopritore e un valorizzatore unico, e ne sono testimonianza le comunità religiose dove ha vissuto, le parrocchie di Livorno, i mille rapporti che aveva allacciato e che continuava a mantenere vivi, nonostante i suoi spostamenti. La sua famiglia di origine per lui è sempre stata punto di riferimento, i genitori, i fratelli  e le sorelle. Il padre il giorno del pranzo, subito dopo l’ordinazione, non avrà il coraggio di leggere la breve poesia che aveva scritto, ma gli dirà »ricordati che tu sei nato povero, che siamo stati poveri» (pag. 83), e per don Vincenzo queste furono parole veramente scolpite nel cuore e realizzate nella vita. Ma è con la mamma che aveva un rapporto speciale, e padre Miscio lo mette bene in evidenza. «Mamma, le disse (quando quest’ultima stava per lasciarlo). Facciamo un patto. Io sono stato sempre molto vivo, vitale, in salute. Quel che penso di fare riesco in genere a realizzarlo. Non conosco malattia. Eppure un giorno dovrò pur fare anche questa esperienza. Facciamo allora come Elia ed Eliseo, che quando Elia fu portato in cielo gli chiese di lasciargli il mantello dei profeti. Ebbene, tu stai per andare in cielo. Io ti chiedo di lasciarmi un po’ del tuo mantello di donna che ha saputo portare e vivere il dolore» (pag. 165). Don Vincenzo vivrà la sua malattia, da vescovo di Belluno, con questo spirito. E vorrà, come ultimo gesto e segno di quell’amore del «pastore per le sue pecore», ricevere i suoi sacerdoti per pregare con loro e ricevere la loro benedizione.