Vita Chiesa

Don Renzo Rossi alle Piagge. Domenica la prima Messa con la comunità

di Riccardo Bigi

“In tutte le cose che ho fatto, ho sempre dato retta al Vescovo. E anche stavolta, il Vescovo mi ha detto che c’era bisogno di me, perché dovevo dirgli di no? Per me dire di sì al vescovo è dire di sì a Cristo che mi parla attraverso il vescovo”. Don Renzo Rossi (nella foto a Salvador Bahia) racconta così i motivi per cui ha accettato l’incarico di cappellano della comunità delle Piagge dove sostituirà don Alessandro Santoro. Don Renzo (84 anni e un grande bagaglio di esperienze, dall’assistenza spirituale agli operai nelle fabbriche fiorentine alle missioni in Brasile, Africa, Asia) dirà la sua prima Messa con la comunità domenica prossima, alle 11. “Sono un vecchio prete – dice, ridendo – e ho avuto tante esperienze, non mi spaventa certo questa. Alla mia età credevo di essere messo da parte, invece mi fa piacere poter essere ancora utile. Starò lì finché sarà necessario, finché il vescovo penserà che ci sia bisogno”. Non si trasferirà alle Piagge ma ci andrà il sabato e la domenica per le celebrazioni, e poi ogni volta che serve. “A proposito – ci chiede – che autobus si piglia per andarci? Perché le altre volte che ci sono stato mi avevano accompagnato in macchina”.

Don Renzo, come pensa di essere accolto domenica dopo tutte le polemiche che ci sono state?

“Ho visto, in questi giorni, che tutti con me sono stati buoni, anche chi ha fatto notare che potevo dire di no a questa richiesta ha detto comunque di non aver niente contro di me. E perché dovrebbero? Gli spiegherò che sono alle Piagge perché me lo ha chiesto il Vescovo e per amicizia a don Alessandro. E che prima di tutto voglio ascoltarli, vedere quello che fanno, camminare con loro: non spetta a me dare giudizi. Mi aiuterò con qualche battuta, come è nel mio carattere, e con qualche sorriso. D’altra parte anche quando andavo nelle fabbriche all’inizio non ero mica ben accolto, sono rimasto tanto sulla soglia ad aspettare. E in Brasile quando iniziai a fare l’assistente in carcere non mi volevano neanche far entrare. Poi sono sempre diventato amico di tutti”.

Di ciò che ha fatto don Alessandro Santoro cosa pensa?

“Con don Alessandro siamo amici: l’ho incontrato un mese fa e gli ho detto “cerca di fare il bischero meno che puoi”. Lui è un generoso, ma ha il suo carattere e certi suoi gesti possono non essere capiti. A volte gli manca una riflessione sulle conseguenze che possono avere le cose che fa. Quando un prete parla o agisce deve essere fedele al Vangelo, a Cristo, ai poveri ma deve anche usare un linguaggio che possa essere capito da tutti”.

Qualcuno teme che le tante iniziative di tipo sociale avviate alle Piagge chiuderanno…

“Io non entrerò nella gestione di queste cose: tocca a voi, gli dirò, portarle avanti. Io sono stato tanto, come prete, tra i poveri: in Italia, in Brasile, in giro per il mondo. Amo una Chiesa che sta a fianco dei poveri. Ma non sono prete per risolvere il problema della povertà: sono prete per stare accanto a loro, per occuparmi di pastorale e di liturgia, per essere un punto di rifermento tra loro e Dio. Devono essere i laici a portare avanti certe attività: se il prete si assume direttamente certi compiti, allora tradisce i poveri. E guai se la partenza di don Alessandro volesse dire chiuderle, sarebbe un fallimento perché vorrebbe dire che non sono in grado di prendersi le loro responsabilità. In questo senso abbiamo molto da imparare dal Brasile, o dall’Africa”.

Il vescovo Betori ha detto di essere disposto a venire alle Piagge, se sarà invitato, come aveva già detto a don Santoro. Lo inviterete?

“Anche a me ha ribadito di essere pronto a venire anche presto, nel giro di un mese. Mi ha detto: giudica tu e fai i passi necessari. Quando viene deve però essere un incontro di amicizia, di dialogo: non ci devono essere cartelli di protesta o cori polemici. Per questo aspetterò il momento buono, quando ci sarà un po’ di calma. Capisco la sofferenza di questa gente, ogni distacco è doloroso, ma adesso bisogna ritrovare serenità per andare avanti”.

Questa vicenda ha qualcosa in comune con casi come quello dell’Isolotto, o di don Milani?

“Ho fatto parte della comunità dell’Isolotto, poi però la lasciai per andare in Brasile: ma preferisco le Piagge a quell’esperienza. Con don Milani ho avuto un rapporto di grande amicizia: aveva un’intelligenza fuori del normale, lo stavi a sentire a bocca aperta anche quando non eri d’accordo con lui. Verso la Chiesa è stato sempre obbedientissimo. Con don Santoro li accomuna l’amore per i poveri, il vivere per gli altri; per il resto mi sembrano due esperienze molto diverse”.

LA SCHEDAAll’origine della vicenda che ha portato alla nomina di don Renzo Rossi come cappellano delle Piagge c’è il (finto) matrimonio, privo di ogni valore, celebrato da don Alessandro Santoro tra due persone, una delle quali diventata donna a seguito di un’operazione chirurgica. Un gesto in contrasto con le disposizioni che don Santoro aveva già ricevuto in più occasioni, e che ha spinto l’Arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori a sollevarlo dall’incarico invitandolo a un periodo di riflessione e di preghiera.

A proposito di questa vicenda vale la pena ricordare i motivi per cui questo sacramento non poteva essere celebrato: Toscana Oggi ha già ospitato, su questo caso, i pareri di alcuni esperti. Un anno fa padre Luigi Sabbarese (leggi l’articolo), decano della Facoltà di diritto canonico della Pontificia Università Urbaniana, spiegava in un’intervista che ad ogni persona, per la Chiesa, «non può essere riconosciuta altra identità se non quella insita nella originaria struttura metafisica». Per questi motivi, «nel matrimonio con una persona transessuale non si può realizzare la eterosessualità propria del patto coniugale» e l’idea di celebrare un simile matrimonio «non fa altro che creare confusione, in una società dove è già messa gravemente in crisi la struttura naturale del matrimonio».

Già nel 2007, Toscana Oggi aveva cercato di aiutare i propri lettori a orientarsi in questa complessa vicenda con un articolo di padre Maurizio Faggioni, docente di teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia Centrale. «Nel matrimonio – scriveva padre Faggioni (leggi l’articolo)- l’uomo e la donna si impegnano l’uno con l’altro in quanto persone sessuate con tutto il loro essere, anima e corpo. Nonostante i notevoli risultati della medicina, anche per quanto riguarda la possibilità di avere rapporti fisici nel nuovo sesso, non sembra che un soggetto che abbia assunto le fattezze di un maschio o le fattezze di una donna possa dirsi uomo o donna nel senso forte che i cristiani – e non solo loro – hanno finora dato a queste parole». Questo significa, allora, che la Chiesa chiude le porte a queste persone? Assolutamente no. «L’impossibilità di essere ammessi alle nozze cristiane – scriveva padre Faggioni – non significa affatto che le persone transessuali debbano essere considerate escluse dalla comunità ecclesiale». In questo senso possiamo richiamare la formula (antica di secoli ma sempre attuale: non a caso è anche il titolo dell’ultima enciclica di Benedetto XVI) secondo cui i cristiani devono esercitare «la carità nella verità». I gesti di amore, di accoglienza, di fraternità verso gli altri si possono (e si devono) compiere senza contraddire gli insegnamenti dottrinali. Anzi: accogliere e amare qualcuno può anche voler dire aiutarlo a comprendere i motivi di una impossibilità; vuol dire farlo sentire partecipe della vita della comunità ecclesiale ricordandogli che questa impossibilità non impedisce o sminuisce la sua appartenenza alla Chiesa. Senza aggiungere di più, per ovvi motivi di rispetto delle persone, possiamo dire che ci sono state a Firenze situazioni in cui questi percorsi sono stati seguiti, senza clamori e con buona pace di tutti. Potremmo domandarci invece se in questo caso le persone che si sono trovate al centro della vicenda siano state veramente aiutate a vivere meglio la loro fede e la loro vita, o non siano invece diventate lo strumento di una battaglia «contro» che non ha giovato a nessuno.

Alla comunità delle Piagge, intanto, l’Arcivescovo Betori ha annunciato la nomina di don Renzo Rossi con una lettera in cui li ringrazia per l’attenzione dimostrata su questa vicenda (MONS. BETORI SCRIVE ALLA COMUNITA’ DELLE PIAGGE). Le nomine e i trasferimenti che riguardano le parrocchie e le altre realtà ecclesiali, ricorda però Betori, «sono parte della responsabilità propria dell’Arcivescovo» e non possono essere affidate a confronti assembleari. La speranza a questo punto è che don Renzo Rossi venga accolto alle Piagge con serenità, e che la comunità possa continuare insieme a lui il cammino fatto finora perché non vada disperso quel ricco patrimonio di evangelizzazione e di promozione umana realizzato in questo quartiere della periferia fiorentina. Per don Santoro invece si apre, secondo le indicazioni dell’Arcivescovo, «un periodo di riflessione e di preghiera», in un luogo particolare che il sacerdote ha individuato, concordandolo con l’Arcivescovo, nella Fraternità di Romena (Pratovecchio).

Renzo Rossi, il prete dei lontani