« Ricordatevi delle vostre guide, quelli che vi hanno annunciato la Parola di Dio. Considerate attentamente l’esito finale della loro vita, imitatene la fede». Questo si legge nella lettera agli Ebrei. In questi giorni sono stato nel cimitero di Loro Ciuffenna per pregare presso la tomba di don Otello Branchi.Mi ha accolto come di solito faceva con un sorriso. Un sorriso che adesso ho avvertito più che mai di una vita assorta in Dio. La sua eternità era iniziata già quaggiù. Anche le anime che guidava se ne accorgevano. E di anime ne ha guidate tante. Nell’interno di un libro che mi diede a leggere, gli era sfuggito un biglietto, nel quale proprio una persona da lui guidata scriveva: «Lei è troppo prezioso, per tante, tante persone!».Venuto ad Arezzo, è stato uno dei confratelli che ho conosciuto subito e offrendomi la sua amicizia mi è stato tanto vicino. Il venerdì sera, poche ore prima della sua morte, volle ricevere da me i sacramenti e dopo aver parlato a lungo del sacerdozio, della sua bellezza e di questo grande dono che ci ha fatto il Signore, recitammo le Litanie del Sacro Cuore e a ogni mia invocazione don Otello rispondeva con tanta fede e amore. Ci lasciammo con un bacio ed è stato l’ultimo che ho potuto dargli.Mi ha colpito di lui la sua spiritualità e gli aiuti per meglio realizzarla offerte dall’Unione apostolica del clero e dell’Istituto del Sacro Cuore, sulle quali don Otello puntava decisamente e induceva fraternamente alla condivisione. Ma soprattutto sono stato colpito da come ha affrontato la malattia, il dolore, la morte. Come per tutti i cristiani, soprattutto per noi preti, «l’esito finale della nostra vita» incide e verifica tutta la nostra missione. Prima o poi si presenta la richiesta di offrire al Signore ciò che abbiamo di più caro e questo è il momento della nostra morte. Da don Otello ho avuto questo esempio indimenticabile.L’altro esempio che mi ha toccato, insieme a tanti confratelli presenti alle esequie, è stata la sua volontà testamentaria, letta al termine dal nostro vescovo. Mi ha fatto sentire più che mai che noi preti veniamo come uomini dal grembo di una mamma e per tutti noi questa presenza va oltre lo stacco della morte e ci raggiunge dall’eternità ma noi come preti veniamo anche dal grembo della Chiesa e questa «Madre» la lasciamo sulla terra che ancora porta avanti missione che le ha affidato Gesù. La riconoscenza a questa «Madre« deve essere tenuta presente, anche nelle nostre disposizioni testamentarie. Dalla Chiesa abbiamo ricevuto tanto e alla Chiesa dobbiamo pensare. La nostra gente guarda spesso a questo esito della nostra vita e ne rimane edificata come coronamento del nostro ministero. Il contrario è invece qualcosa che lascia un segno negativo in una comunità.don Giorgio Basacca