Lettere in redazione
Don Milani sdoganato dal centrodestra
Don Milani sdoganato anche dal centrodestra? Era l’ora. Finalmente verrà meno, lo spero, le strumentalizzazioni di parte, le facili etichette e le indebite annessioni, che hanno limitato una comprensione più profonda dell’opera e del pensiero del priore di Barbiana. Don Milani fu un prete, un uomo di Dio e del Vangelo: su questo non ci sono dubbi. Però dalla radice di una forte esperienza di fede e di ortodossia ecclesiale, è cresciuto un tronco d’albero, un pensiero civile, culturale e sociale che può essere usufruibile da quanti lottano per una società più democratica, socialmente giusta, pacifica e non violenta. Un pensiero che fa di don Milani uno degli intellettuali più profondi del secondo Novecento. In vent’anni ha scritto tre opere che hanno affrontato temi cruciali della nostra società: la riforma della Chiesa, la pace, la scuola.
Nel 1958 uscì «Esperienze pastorali», che anticipò il concilio Vaticano II: l’uomo al centro dell’universo e la Chiesa al suo servizio in spirito missionario. Nel 1965 è stata la volta di «L’obbedienza non è più una virtù»: la pace, il no alla guerra, il primato della coscienza. Infine nel 1967 «Lettera ad una professoressa»: la scuola, la selezione scolastica e la formazione del cittadino sovrano. Vent’anni, tre opere fondamentali. Un pensiero e una vita esemplari, di grande attualità. Da studiare con rigore scientifico. Da farci i conti senza sconti. Don Milani appartiene alla sua Chiesa, ma anche alla società italiana.
Un esempio forse poco conosciuto dell’attualità milaniana? Nel mio libro (scusami l’autocitazione), «Don Milani, la vita», edito da Piemme, riporto un carteggio poco noto, ma stupendo tra il giovane don Milani e un suo cugino che si trovava in America. Era il 1947, nell’Occidente incombeva la paura del comunismo, come oggi, si potrebbe dire, dell’islamismo. Don Lorenzo (aveva solo 24 anni) rassicura il cugino che non è il comunismo la causa del venir meno dei valori spirituali e dell’ateismo. E al cugino offre una straordinaria lettura del comunismo in chiave di teologia della storia: dalle epoche più oscure e drammatiche può nascere un cristianesimo della speranza. Alla condizione di uscire dai nostri fortini («L’America non è più il Nuovo Mondo, il Vecchio, quello che sta morendo…», scrive don Lorenzo) e affrontare la storia con speranza, con spirito di dialogo ecc. Don Milani fa il parallelismo con i barbari e con la Chiesa di Gregorio Magno, noi oggi possiamo farlo con l’Islam e il mondo altro rispetto all’Occidente.
Le considerazioni di Mario Lancisi sono un buon contributo per un’ulteriore riflessione sulla personalità e il pensiero di Don Milani. Lo ringraziamo, anche perché ben si ricollegano al recente Convegno, promosso dalla Fondazione Magna Charta, che si è svolto a Firenze il 23-24 maggio scorso. Don Milani con La Pira e Padre Balducci fu indubbiamente un protagonista «nel laboratorio Firenze nelle scelte politiche dei cattolici dal fascismo a fine Novecento». Al di là delle polemiche che non sono mancate, credo sia importante approfondire il pensiero di questi uomini sia dal punto di vista storico, ma soprattutto per cogliere e valorizzarne quegli aspetti che pur in un contesto culturale, sociale e politico tanto mutato possono indicare la strada. Ed è questo un impegno che non può circoscriversi al mondo cattolico, perché se è indubbio che «appartengono alla Chiesa» penso all’amore fedele di La Pira alla barca di Pietro anche in tempi di contestazione è altrettanto vero che «appartengono anche all’intera società italiana, di cui sono stati davvero protagonisti, anche se in modi diversi: Milani e Balducci, a mio parere, sono più legati alle problematiche del tempo in cui vissero, mentre le intuizioni e l’azione politica di La Pira hanno un’attualità che meraviglia e colpisce. Questo oggi lo riconoscono anche i tanti che lo osteggiarono e deridevano come utopista. Fu inoltre un uomo profondamente libero, di quella libertà dei figli di Dio e fuori da ogni schema. Proprio per questo ogni appropriazione da qualunque parte provenga è indebita.
La Pira, Don Milani, Padre Balducci furono indubbiamente dei protagonisti, ma non protagonisti solitari, sia perché vissero e operarono in un contesto ecclesiale e civile ricco di stimoli, sia perché vi furono intorno a loro persone il cui ruolo andrebbe approfondito. Cito solo due nomi: Fioretta Mazzei che emerge sempre più non come semplice esecutrice, ma come autentica ispiratrice.
Come pure non può essere lasciata in ombra la figura di Don Bensi, la cui opera di formatore di coscienze merita di essere evidenziata, perché anche lui fu un protagonista, e non certo secondario, di quella stagione.